Ricordi e riflessioni

Ricordi e riflessioni

22 Ottobre 2023 0 Di giuseppe perpiglia

In una delle mie frequenti navigazioni in internet, sono incappato in un sito sul quale ho potuto leggere un brano di Giovanni Mosca, La conquista della V C, tratto dal volume Ricordi di scuola, edito per i caratteri di Rizzoli nel 1939.

Che il contesto sia storicamente datato lo si capisce sin da subito quando il protagonista, al suo primo incarico, recandosi alla scuola che gli era stata assegnata, dichiara di avere vent’anni. Oggi è molto difficile, anche per il più inguaribile degli ottimisti, sperare di entrare a far parte del personale docente a vent’anni.

Quelle che seguono sono solo modeste considerazioni personali espresse a ruota libera, senza un nesso logico che le leghi se non il racconto di Giovanni Mosca, che a me ricorda tanto il libro Cuore di Edmondo de Amicis.

Riprendiamo. Al tempo non vi erano Dirigenti scolastici, ma presidi e, per le scuole elementari, Direttori didattici. Il nostro eroe, dicevamo, viene presentato al Direttore che, vedendolo, va nella disperazione perché avrebbe voluto “un uomo con grinta, baffi e barba da Mangiafuoco, capace di mettere finalmente a posto quei quaranta diavoli scatenati!

In questa iniziale presentazione del neo-maestro viene messo in luce il luogo comune, ancora oggi presente, che vuole un docente che incute timore e soggezione come garanzia di successo con la scolaresca. Qualcuno è rimasto ancorato all’epoca in cui si consideravano i ragazzi come soldatini che dovevano obbedir tacendo e tacere obbedendo, parafrasando il motto dell’Arma dei Carabinieri. Ma la scuola non è una caserma, per quanto anche in aula vengano richiesti ordine e disciplina.

In una caserma, specialmente in situazioni operative, è legittimo pretendere ordine e disciplina, sempre e comunque, e farli rispettare anche con mezzi coercitivi. Non così a scuola. Con i ragazzi, infatti, più dell’autorità deve prevalere l’autorevolezza. Il docente deve essere in grado di farsi rispettare, non solo per il proprio ruolo, rispetto già di per sé dovuto e che deve essere impartito ed appreso in famiglia, ma anche, anzi in misura maggiore, per le sue caratteristiche umane, per la sua empatia, per le sue capacità di dialogo e di mediazione fra tutte le personalità degli alunni che vanno rispettati sia come singoli sia come gruppo.

Non è un’attività facile, ma proprio per questo andrebbero riviste le regole di ingaggio per i docenti ed il relativo livello di gratificazione da parte della società.

«Quaranta diavoli, organizzati, armati, hanno un capo, si chiama Guerreschi; l’ultimo maestro, anziano, e conosciuto per la sua autorità, se n’è andato via ieri».

In questo brano del racconto troviamo uno schizzo sintetico ma pregnante di una tipica classe degli anni ‘40-‘50 del secolo scorso. Con termine moderno, potremmo definirla una classe pollaio con ragazzi ben poco scolarizzati. Oggi non arriviamo a questi numeri, ma la mancata o inadeguata scolarizzazione è ancora una costante per una serie di motivi da non ricercare tutti nella scuola. I sempre più frequenti episodi di violenza perpetrati a carico dei docenti sono il sintomo di una situazione che è sfuggita di mano alla scuola stessa, alle famiglie ed alla politica.

Alla scuola perché in non pochi casi ha preferito seguire l’andazzo di un mal compreso modernismo scadendo in un permissivismo ed in un buonismo che non permettono, anzi ostacolano, la crescita morale e sociale dell’individuo in formazione.

È dato comune che i dirigenti scolastici mal sopportano sentir parlare di alunni non ammessi alla classe successiva, convinti come sono che più promossi sfornano, più la loro scuola acquisisce prestigio. Non si rendono conto che tali comportamenti portano alla completa abdicazione da parte della scuola e del corpo docente dal ruolo precipuo di guida comprensiva e dialogante nei modi, ma intransigente nell’applicare e nel perseguire principi morali e valori universali.

La famiglia, dal canto suo, preferisce assecondare tutte le richieste, lecite e meno lecite, dei propri figli, di fatto crescendo ragazzi che non hanno il senso della conquista dovuta al merito e della responsabilità, individui fragili che pretendono tutto e subito. I genitori, infatti, sono portati a realizzare i propri sogni e le proprie manie di rivalsa tramite i loro figli per cui non sono disposti ad ammettere che anche i loro pargoli possano sbagliare perché ciò vorrebbe dire ammettere il proprio fallimento. E questo non è contemplato.

Dulcis in fundo la politica che continua, a prescindere dal colore del Governo in carica, ad operare sulla scuola con i famigerati tagli lineari e con dichiarazioni altamente lesive della dignità della classe docente e della legittimazione di un’istituzione che dovrebbe rappresentare il motore trainante verso il progresso socio-economico e morale dell’intera società. La classe politica, inoltre, non è stata ancora capace di proporre una riforma della scuola organica e di ampio respiro, limitandosi a mettere qualche pezza qua e là, qualcuna anche di notevole impatto ed altamente funzionale.

«“Credo che costruiscano barricate”, disse il Direttore. Mi strinse forte un braccio, se n’andò per non vedere, e mi lasciò solo davanti alla porta della V C. Se non l’avessi sospirata per un anno, quella nomina, se non avessi avuto, per me e per la mia famiglia, una enorme necessità di quello stipendio, forse me ne sarei andato, zitto zitto, e ancora oggi, probabilmente la V C della scuola “Dante Alighieri” sarebbe in attesa del suo dominatore: ma mio padre, mia madre, i miei fratelli attendevano impazienti, con forchetta e coltelli, ch’io riempissi i loro piatti vuoti; perciò aprii quella porta ed entrai. Improvvisamente silenzio».

Di questo brano voglio sottolineare due punti che mi sembrano focali: il primo è la motivazione del maestro, il secondo il silenzio che si crea al suo ingresso in aula.

D’accordo, la motivazione del maestro non poggia su grandi ideali ma solo su un fattore molto reale e tangibile: la necessità di uno stipendio. Anche oggi vi sono persone che si rivolgono all’insegnamento per agguantare l’agognato, per quanto ancora?, posto fisso senza, però, dimostrare la necessaria gratitudine e l’altrettanto necessario senso di responsabilità verso una funzione altamente impegnativa. Alcuni colleghi, infatti, si comportano come i ragazzi: sempre pronti a chiedere, anzi a pretendere, ma ciechi e sordi verso i loro doveri contemplati dal contratto di lavoro e dai canoni dell’etica professionale.

Il silenzio che si stabilisce all’ingresso del nuovo maestro può avere significati diversi, tutti, però, legati alla relazione che sta per instaurarsi. Una relazione che sarà importante per tutti, anche se per motivi diversi, ma tutti riconducibili all’incontro tra personalità diverse che debbono convivere. È un silenzio di studio reciproco, un silenzio di concentrazione finalizzato a prendere le misure. È, questo, un momento topico. Checché se ne dica, infatti, la prima impressione è molto importante e cambiarla successivamente è alquanto difficile.

Il pestifero Guerreschi, dopo il momento di studio passa all’attacco lanciando un’arancia nella direzione del maestro che la schiva con un leggero spostamento del capo. L’episodio potrebbe sembrare eccessivamente sopra le righe, ma oggi nelle classi succede anche di peggio. Pensate alla professoressa colpita con una lama. Il maestro, con un semplice gesto, ha dimostrato di essere all’altezza del suo sfidante perché ha reagito con razionalità, senza gesti inconsulti, senza dimostrare paura.

Il terribile Guerreschi passa, allora alla fase due: la fionda. Insieme a lui prendono la fionda in mano tutti gli altri 39 alunni pronti ad impallinare con proiettili di carta insalivata il malcapitato maestro. Ma…

«Il silenzio si era fatto più forte, intenso. I rami carezzavano sempre i vetri delle finestre, dolcemente. Si udì d’improvviso, ingigantito dal silenzio, un ronzio: un moscone era entrato nella classe e quel moscone fu la mia salvezza». Il Guerreschi a questo punto è dibattuto tra il maestro, soggetto abbastanza facile per la sua quasi immobilità, ed il moscone, molto più gratificante per il suo volo instancabile e molto più imprevedibile. Sceglie il bersaglio più difficile ma lo sbaglia!

E qui c’è il coup de théâtre, l’evento imprevisto. Il maestro non prende provvedimenti contro Guerreschi, ma lo sfida sul suo campo facendosi dare la fionda per provare lui stesso a colpire il malcapitato moscone. Ovviamente ci riesce guadagnandosi, in tal modo, il rispetto della classe.

È il maestro che si è abbassato a livello dei ragazzi per avere la loro attenzione. Non ha imposto la sua visione, ma ha accettato, con il rischio di sbagliare miseramente, la visione ed il mondo valoriale dei ragazzi. E questa è la strada più efficace per creare un rapporto vero, profondo e proficuo in classe con ogni singolo alunno.

Articoli correlati:

  1. L’empatia
  2. Autoritarismo o autorevolezza
  3. Una scuola a maglie larghe
  4. La fionda
  5. Professionalità docente
  6. La competenza dell’ascolto
  7. La legittimazione del docente
  8. Tra buonismo e lassismo
  9. Il patto di corresponsabilità educativa
  10. La motivazione

Breve sitografia

Immagini: Tutte le immagini sono scatti dell’autore dell’articolo e rappresentano Caccuri (KR)