La cittadinanza digitale

La cittadinanza digitale

13 Agosto 2023 0 Di giuseppe perpiglia

L’informatica, piaccia o meno, ha colonizzato ogni più piccolo anfratto della società e della vita di ogni individuo. È uno strumento dalle potenzialità solo in parte esplorate ed in parte ancora minore utilizzate. Si pensi all’immenso potenziale dell’intelligenza artificiale.

Solo pochissimi decenni fa sono apparsi i primi computer con dimensioni compatibili con un ambiente domestico. La loro capacità di calcolo si misurava in kilohertz (KHz), cioè migliaia di operazioni al secondo, e la loro memoria permetteva di archiviare qualche megabyte (Mb), cioè milioni di caratteri. Le memorie di massa consistevano in “grandi” dischi magnetici flessibili e delicati il cui nome, floppy disk, è sopravvissuto alla loro scomparsa.

Gli odierni calcolatori, sempre più piccoli e potenti, sono in grado di effettuare miliardi di operazioni al secondo, hanno cioè una velocità che si misura in Gigahertz, e possono contare su memorie di massa la cui capacità supera tranquillamente il Terabyte, cioè i mille miliardi di byte! Nelle tasche di molti cittadini sono presenti chiavette USB (acronimo di universal serial bus) in grado di contenere diversi terabyte: un’intera libreria ben fornita.

A questa enorme potenza va aggiunta la flessibilità e la connettività della rete che permette il trasferimento di informazioni, sotto forma di file di vario tipo, in tempo reale, tra due punti qualsiasi del globo terracqueo.

Come capita sempre più spesso, però, la società è molto più avanti rispetto alla capacità di assimilazione del singolo individuo. Se la società nel suo insieme, infatti, propone un utilizzo alquanto razionale e strumentale di questo mezzo tanto potente quanto flessibile, il singolo individuo, il generico cittadino, non sempre è altrettanto pronto, non sempre è culturalmente ed eticamente attrezzato a sfruttare al meglio tale patrimonio.

L’evoluzione della società, da sempre, è dovuta alla forza trainante di pochi che propongono strumenti materiali ed immateriali innovativi, mentre la società, intesa come sommatoria di singoli cittadini, ha bisogno di tempo per accettare e digerire tali novità, fino a farle diventare parte integrante del background culturale genericamente condiviso.

Fino a tutta la prima metà del secolo scorso, tra un’innovazione e la successiva vi era abbastanza tempo perché la società potesse impadronirsi in modo adeguatamente soddisfacente delle novità proposte, potesse farle effettivamente proprie.

In seguito, l’eccessiva velocizzazione delle acquisizioni tecnologiche non ha lasciato più il tempo necessario affinché le stesse potessero venire acquisite in tutte le loro sfaccettature fino a diventare parte integrante della cultura del cittadino medio. Ciò ha portato all’instaurarsi di un gap, di un divario culturale tra le novità tecnologiche messe a disposizione delle masse ed il loro pieno utilizzo razionale e strumentale.

Tale gap tra potenzialità dello strumento e suo efficace e corretto utilizzo è ancora maggiore tra i ragazzi. I nativi digitali, quella fetta di comunità i cui componenti sono nati e stanno crescendo nel mondo dei computer e nell’infosfera, non è adeguatamente preparata a sfruttarne appieno il potenziale culturale.

L’utilizzo principale del computer, in tutte le sue varie forme, che ne fanno i ragazzi ricade nell’ambito ludico oppure nella fruizione e condivisione, sempre a scopo esclusivamente ricreativo, di post, di video e di brani musicali. A questo bisogna aggiungere l’utilizzo del computer come protesi per perpetrare offese anche molto pesanti che vanno dal cyberbullismo, agli haters (gli odiatori), al revenge porn, cioè alla diffusione non autorizzata di materiale sessualmente esplicito come vendetta per la fine di una relazione.

L’età dei soggetti coinvolti, come carnefici e come vittime, in episodi del genere è sempre più bassa e questa costatazione ci deve allarmare come genitori, come adulti e come educatori.

In una simile situazione gli adulti sono chiamati in correo perché non hanno approntato le condizioni migliori per creare, stimolare e potenziare un corretto utilizzo degli strumenti informatici al fine di migliorare l’uomo e la società.

La scuola non poteva stare a guardare e si è attrezzata per sfruttare in modo adeguato il potenziale educativo insito in uno strumento che ha influenzato, e continuerà a farlo, la nostra quotidianità ed il nostro modo di pensare.

La legge 13 luglio 2015, n. 107 (la Buona scuola del Governo Renzi), costituita da un unico articolo, al comma 56, recita: «Al fine di sviluppare e di migliorare le competenze digitali degli studenti e di rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in generale, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca adotta il Piano nazionale per la scuola digitale, in sinergia con la programmazione europea e regionale e con il Progetto strategico nazionale per la banda ultra larga».

La proposta formativa aveva già contemplato il coinvolgimento strutturale dell’informatica con il documento Indicazioni nazionali 2012, coinvolgimento ripreso con maggiore enfasi nel documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari del 2018 voluto dalla ministra onorevole Valeria Fedeli. Quest’ultimo documento si spinge molto più in là promuovendo il pensiero computazionale ed il coding. Non si tratta di acquisire una semplice abilità nel programmare, bensì la proposta formativa è finalizzata a far acquisire competenze di pensiero, di ragionamento e di riflessione.

L’odierna società è caratterizzata da un’affannosa ricerca della velocità. Tutti noi abbiamo sempre fretta in ogni istante della nostra quotidianità. Cerchiamo di acquistare il cellulare più moderno, il computer più veloce, consumiamo il pranzo in uno dei numerosi fast food perché abbiamo un’insaziabile fame di tempo. E per questo stiamo trascurando i momenti dedicati alla riflessione. Secondo numerose ricerche in campo pedagogico, i ragazzi, con il ricorso a sigle e ad abbreviazioni rese necessarie dai pochi caratteri a disposizione negli SMS e nelle chat, hanno un vocabolario sempre più ridotto e questo incide negativamente anche sulla capacità di pensiero.

Non si vuole demonizzare il computer e l’informatica, si vuole semplicemente promuoverne un uso più razionale e produttivo. L’amministrazione pubblica ha messo in rete numerose opportunità che bisogna essere in grado di saper cogliere. Ricordo le lunghe file da fare al momento dell’iscrizione alle superiori, ore ad aspettare in fila il turno per raggiungere l’agognato sportello dell’Ufficio anagrafe, seguite da file parimenti lunghe all’ufficio postale per pagare i bollettini previsti. Oggi queste cose si possono fare restandosene tranquillamente a casa, magari in pigiama e pantofole, a qualunque ora.

Ecco, saper utilizzare gli strumenti messi a disposizione dei cittadini è il fine della cittadinanza digitale. In particolar modo la pubblica amministrazione, ma anche tanti privati, si pensi alle banche, hanno delocalizzato molte attività sulla rete il che ha stimolato diversi malintenzionati, pronti ad attivarsi per carpirci dati e fondi. Anche la questione legata alla gestione dei nostri dati e la conoscenza degli strumenti che abbiamo per tenerli al sicuro ricadono nelle competenze della cittadinanza digitale.

Oggi giorno le regole di cittadinanza non bastano più perché debbono essere integrate dalle regole inerenti alla cittadinanza digitale. Vivere pienamente il sociale, godere fino in fondo di tutte le opportunità offerte dalla società, essere pienamente inseriti nella società sono tutte attività che richiedono conoscenze e competenze specifiche di cui la scuola, per la sua quota parte, deve farsi carico.

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