
L’OBBEDIENZA NON È PIÙ UNA VIRTÙ
Era l’11 febbraio 1965 quando l’assemblea dei cappellani militari toscani in congedo votò un documento in cui l’obiezione di coscienza veniva considerata «un insulto alla Patria ed ai suoi caduti». Il documento continuava affermando che l’obiezione di coscienza era «estranea al comandamento cristiano dell’amore» e che doveva essere considerato «un atto di viltà». Il documento dell’assemblea dei cappellani fu pubblicato su La Nazione, quotidiano fiorentino, ed una copia capitò nelle mani di don Lorenzo Milani, il famoso priore di Barbiana.
La reazione del priore non si fece attendere e non fu certo tenera e tanto meno politicamente corretta, secondo i dettami dell’odierno atteggiamento. Anzi!
Confutò con molta energia le parole quanto meno avventate dei cappellani militari sia dal punto di vista cristiano, sia dal punto di vista civile sia ancora dal punto di vista politico.
Nell’ottica cristiana riprese le parole di San Pietro: «Si deve obbedire agli uomini o a Dio?». Dal punto di vista civile citò la Costituzione riportando l’art. 11 «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…» e l’art. 52 «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». Infine, dal punto di vista politico portò esempi che davano forza all’ipotesi secondo cui le guerre sono fatte per garantire il potere della classe dominante.
Molto polemicamente dice ai suoi confratelli che se loro preferiscono suddividere i cittadini in italiani e stranieri, lui preferisce suddividerli in ricchi e poveri, oppressori ed oppressi, e se loro benedicono strumenti di morte e distruzione, lui intende promuovere strumenti, non di morte, ma di sano contrasto civile come lo sciopero ed il voto. E non mancò, il nostro priore, di tirare in ballo la Curia e la gerarchia ecclesiastica che avallava simili comportamenti.
Tutta questa polemica finì, poi, in un libro –L’obbedienza non è più una virtù– che consiglio vivamente di leggere, anche in classe come proficuo esempio di cosa debba voler dire educazione civica.
Perché questo lungo (e spero non noioso) incipit? Perché penso che sia un buon viatico a quanto sto per dire. L’obbedienza “cieca, pronta, assoluta”, spesso pubblicizzata come primaria virtù, va molto ridimensionata. Riprendiamo per un attimo la domanda retorica di San Pietro: «Dobbiamo obbedire agli uomini o a Dio?». Noi, molto più modestamente, dovremmo chiederci se siamo tenuti ad obbedire o meno ad ordini che vanno contro i nostri principi. E dovremmo essere coerenti con la nostra risposta. La coerenza, inutile dirlo, dovrebbe stare primariamente nella fede nei nostri principi valoriali.
La coerenza nei propri principi e nei propri valori, però, può derivare soltanto dall’averli maturati fino in fondo, dall’averli acquisiti in modo assoluto. Questa non è un’evenienza che si improvvisi dalla sera alla mattina, ma è il frutto di un lungo percorso di maturazione al quale la scuola non è e non deve essere estranea. Proprio la scuola, infatti, dovrebbe promuovere e potenziare l’autoanalisi e l’introspezione per stimolare l’emersione delle competenze di ognuno. Insieme alle competenze personali verrebbero fuori anche le convinzioni e le cose in cui si crede.
La scuola dovrebbe, quindi, promuovere lo spirito critico, bisognerebbe che essa si facesse promotrice di un modo di pensare personale, che portasse il ragazzo a ragionare con la propria testa ed a non accettare passivamente tutta quanto gli viene detto, in buona o in mala fede, dalla rete o dalla TV. In questi giorni si è molto parlato di due personaggi, accomunati per un verso, ma tanto diversi per tutte le altre prospettive. Da una parte il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, che insegnò ai suoi ragazzi la coerenza ed il rigore morale, prima verso sé stessi e poi verso gli altri, senza lasciarsi sedurre dalla comodità di un’obbedienza cieca, un’obbedienza che non chiede di pensare. Dall’altra parte, invece, abbiamo Silvio Berlusconi. Non voglio entrare in campi che non mi competono, ma penso di non discostarmi molto dal vero dicendo che ha creato la sua poliedrica fortuna sulla comunicazione e sulla voglia di disimpegno del popolino, come ampiamente dimostrato dai programmi delle sue televisioni.
Ritornando alla scarsa propensione all’impegno ed alla riflessione, non è un caso se sono sempre più diffuse le bufale, o fake news se si preferisce l’anglicismo, tanto che spesso se ne servono anche politici senza scrupoli per fini non certamente condivisibili.
Sappiamo tutti, da genitori e da docenti, che i ragazzi, alla continua ricerca di una loro identità, per affrancarsi dalla potestà genitoriale, cercano rifugio e sicurezza nel gruppo dei pari e farebbero di tutto per esservi accettati. Questo li porta ad accettare anche comportamenti che non sempre condividono ma che abbracciano per essere accettati ed entrare a far parte del gruppo, appunto. A volte, poi, il gruppo perde gli ultimi freni inibitori e si trasforma in branco con le conseguenze che non di rado, purtroppo, apprendiamo dai giornali o ascoltiamo dai notiziari televisivi. Quante volte abbiamo sentito i nostri figli chiedere a gran voce qualche cosa perché “ce l’hanno tutti”?
L’insegnamento lasciatoci da don Lorenzo Milani, ed oggi ancora più valido e necessario, è quello di ragionare sui fatti, di osservare con attenzione la realtà non lasciandoci fuorviare dai preconcetti, di fornire spiegazioni che siano suffragate da prove. È un’attività che richiede partecipazione attiva, che richiede impegno e per questo cosata fatica, ma è il solo modo per vivere la realtà e tentare, se reputato necessario, di cambiarla.
Molto spesso, invece, la realtà ce la facciamo scivolare addosso in una sorta di fatalismo deleterio basato sull’autolesionismo. Altre volte, invece, ci buttiamo a capofitto, strenuamente, in battaglie le cui ragioni non ci sono tanto familiari solo per sentirci vivi.
Simili atteggiamenti portano ad un appiattimento del pensiero, ad una falsa partecipazione alla vita pubblica e, quindi, diventano agenti in grado di corrodere, giorno dopo giorno, quella democrazia che generazioni precedenti hanno conquistato a costo della loro stessa vita e che oggi permette di vivere in un regime di libertà sostanziale. Si pensi per un attimo alle scarne percentuali di votanti nelle ultime elezioni politiche. In alcuni casi è stata inferiore al 50%, il che vuol dire che un partito che arriva a prendere il 51% dei voti, pari al 25% degli aventi diritto, va al governo decidendo la vita di tutti, anche di quel 75% che non lo ha votato. È l’ossimoro della democrazia!
«La libertà non è star sopra un albero non è neanche il volo di un moscone la libertà non è uno spazio libero libertà è partecipazione» cantava Giorgio Gaber in un suo brano (La libertà).
Oggi il potere ci vuole come individui addomesticati, decerebrati funzionali, individui tenuti buoni con l’antica tecnica del panem et circenses.
La scuola ed ogni docente dovrebbero avere la piena consapevolezza del loro potere di fortificare e di immunizzare le menti delle nuove generazioni ed è un potere che bisognerebbe sfruttare al meglio, con tanta onestà intellettuale, se effettivamente si vuole collaborare a creare una società migliore.
Articoli correlati:
- Perché l’educazione civica
- Il service learning
- WebQuest sul dono
- Emozioni? Boh!
- Bias cognitivi
- La warm cognition
- Una lezione di civiltà
- Attivare l’ascolto
- La scuola come fattore di cambiamento sociale
- Oppressi dal sonno
Risorse:
- http://www.stradebianchelibri.com/uploads/3/0/4/4/30440538/milani_don_lorenzo-lobbedienza_non_%C3%88_pi%C3%99_una_virt%C3%99.pdf
- https://www.giorgiogaber.it/discografia-album/la-liberta-testo
Immagini: Le immagini sono tutti scatti dell’autore dell’articolo e rappresentano scorci di Crotone.