Il dono

Il dono

25 Giugno 2023 0 Di giuseppe perpiglia

L’insegnamento dell’educazione civica e della cittadinanza attiva è ormai un fatto compiuto, un’attività entrata a pieno titolo nella quotidianità del vissuto scolastico di alunni e docenti. Qualche dubbio rimane ancora su cosa insegnare, fatto salvo l’insieme dei documenti che regolano e normano la vita delle diverse comunità sociali. Come si può insegnare, oltre la convivenza civile, anche la cittadinanza attiva? È una domanda retorica, una domanda senza risposta o con numerose risposte, a seconda del punto di vista degli interlocutori.

Una prima ed istintiva risposta potrebbe essere: «con l’esempio». È senza dubbio una risposta piena di senso e di significato, però non entra nello specifico. Per entrare nello specifico bisogna proporre effettivamente esempi adatti allo scopo.

La scuola autonoma ha la possibilità ed il dovere etico di cogliere le opportunità offerte dal territorio per perseguire sempre più efficacemente i suoi obiettivi. Fra le risorse presenti sul territorio inerenti alla cittadinanza attiva il primo posto dovrebbe spettare, di diritto, al volontariato.

Il volontariato, quello puro, quello coerente con i propri principi valoriali, è un esempio vivo e reale di cittadinanza attiva e di maturità umana in grado di coinvolgere totalmente gli alunni che, per la loro giovane età, sono affascinati ed attratti dai grandi sogni e dalle sfide che sembrano impossibili perché basate su grandi ideali.

Il volontariato nasce dalla voglia, appunto, di fare il bene dell’altro e si manifesta in una miriade di attività diverse. È vero, però, che qualcuno si vorrebbe avvicinare a questo mondo ma si ferma sull’uscio nel senso che fa del volontariato di facciata, un volontariato di superfice. Non è l’elemosina o la donazione estemporanea di qualche euro a fare un volontario, bensì sono le azioni concrete e costanti nella propria quotidianità.

Sicuramente nella contingenza anche la donazione di risorse economiche è un fatto importante ed utile, da non sottovalutare. In occasione della recente alluvione in Emilia-Romagna, sarebbe stato senza dubbio bello e significativo organizzare una raccolta fondi in classe o nell’istituto per quelle molte persone che, in un attimo, hanno perso tutto. Dietro tale attività, però, ci dovrebbe essere un’adeguata riflessione per darle un senso profondo e formativo.

Per la mia storia che ha segnato più di tre decenni della mia vita, mi soffermo a parlare del volontariato del dono, anche se quanto dirò vale per il volontariato in genere. In un certo senso possiamo affermare che dono e volontariato sono sinonimi in quanto portano allo stesso risultato. Chiunque faccia volontariato, in effetti, dona qualche cosa, se non altro dona attenzione e cura, oltre a parte del proprio tempo e delle proprie competenze.

Quando si dice di far volontariato, le prime domande che fanno sono due: «Quanto ti danno?» e subito dopo aver appreso che non vi è nessun guadagno materiale, aggiungono «Ma allora perché lo fai?». Ai più riesce difficile capire fare qualche cosa che richiede tempo ed impegno per risolvere problemi di un altro he non si conosce senza ricavarne alcunché. Sono due domande dettate dalla non conoscenze dello spirito che anima i volontari e su cui si regge il variegato mondo del volontariato tutto e che rappresenta la parte bella della natura umana. Non voglio fare l’elegia del volontario come eroe impavido, ma solo affermare che chi fa volontariato si pone delle domande sulla finalità dell’uomo, chi fa volontariato è solo una persona che ha deciso di dare un senso forte e compiuto alla propria vita. Si tratta di una persona che ha fatto una scelta di campo, per quanto non sia e non si senta migliore di chi una tale scelta non l’ha neanche considerata.

Organizzare un incontro con un’associazione che si occupa del dono è una grande opportunità di crescita per tutti. In particolare, sarebbe altamente positivo vedere e capire in cosa consiste il dono del sangue, quanta organizzazione e quante competenze stiano dietro una giornata di donazione.

Ancora più istruttivo è prendere coscienza di cosa voglia dire essere donatore di sangue. Infatti, il gesto della donazione non si esaurisce in quei pochi minuti necessari al personale medico e paramedico per prelevare una sacca di sangue intero oppure di plasma, ma coinvolge ogni momento della vita del donatore.

Per poter donare, infatti, è richiesto non solo un’età di almeno 18 anni ed un peso che superi i 50Kg, ma anche valori ematochimici nei parametri previsti, cioè le analisi debbono essere normali. È un risultato che dipende da tante variabili, ma anche, se non soprattutto, dallo stile di vita che deve essere corretto. Uno stile di vita corretto non prevede eccessi ed abusi, quindi, niente sostanze da abuso, niente rapporti promiscui, niente eccessi alimentari o alimentazione comunque sbagliata. Da evitare il frequente consumo del cosiddetto cibo-spazzatura. Sono richiesti comportamenti virtuosi che, per avere effetto, debbono essere esperiti ogni giorno e non solo di tanto in tanto, quando ce ne ricordiamo.

L’incontro con il volontariato del dono non deve essere finalizzato a portare il giovane a donare, bensì deve porsi l’alto ed ambizioso obiettivo di buttare i semi della solidarietà e del rispetto profondo ed eticamente attivo nei confronti dell’altro.

La cosa più importante deve essere lo spirito con cui si diventa donatori o soci collaboratori, cosa che si può fare a qualsiasi età. E proprio lo spirito è il punto focale che riguarda il processo di insegnamento e che fa sì che il volontariato del dono venga proposto non solo ai neo-diciottenni per spingerli alla donazione, ma anche ai ragazzi più giovani, sempre più giù fino alla scuola dell’infanzia. Il nodo che impatta con il momento educativo è la vicinanza all’altro ed ai suoi bisogni e per questo non esiste un limite di età. Al contrario, prima si opera in questa direzione, migliori e più profondi saranno i risultati.

Il dono come dono di sé è il punto più alto dell’umanità che dovrebbe caratterizzare l’uomo. Il dono come riconoscimento dell’altro e riconoscimento del proprio senso di finitezza. Donare, in fondo, è anche un’ammissione di bisogno, è acquisire la consapevolezza di far parte di un corpo solo, quello che con molta superficialità indichiamo con il termine comunità, senza riflettere su cosa esso comporti in termini etici.

Il termine comunità riconosce la radice comune, che a sua volta richiama la locuzione come uno e così dovrebbe essere intesa la comunità: un solo corpo con tante teste e tante anime ma con una sola radice. Le tante teste e le tante anime non servono a dividere, bensì ad arricchire ed a diversificare le potenzialità dell’unico corpo che in tal modo diventa sempre più forte. E la forza dell’unico corpo si traduce anche in forza di ogni singola testa e di ogni singola anima.

Come succede in un corpo, quando una parte si trova in sofferenza o nel bisogno, tutte le altre parti accorrono in aiuto, perché quella singola parte è funzionalmente necessaria all’intero corpo. Far capire questo concetto è il traguardo ultimo, verrebbe da dire escatologico, dell’educazione civica, il punto più elevato che la cittadinanza attiva possa raggiungere e per questo la scuola, l’istituzione deputata, prima ancora che all’istruzione, alla maturazione dell’uomo e del cittadino, ad esso dovrebbe tendere.

Articoli correlati:

  1. Perché l’educazione civica
  2. Educazione civica, educazione viva
  3. Una lezione di civiltà
  4. Bullismo e patto di corresponsabilità
  5. La solidarietà
  6. Educare al dono
  7. Il buon senso
  8. Educazione civica: perché?
  9. Per una sostenibilità consapevole
  10. Competenze di cittadinanza

Breve sitografia:

Immagini: Tutte le immagini sono state scattate a Lorica (CS) dall’autore dell’articolo.