
Il controllo
È vero, in ambiente scolastico tale termine non viene praticamente utilizzato, preferendo parlare di verifica e di valutazione, sicuramente più consoni al luogo ed alle finalità. Ed allora perché controllo? Ho preferito usare questo termine perché è molto più generico e può essere utilizzato, non tanto per quanto comporta l’operato degli studenti, bensì su quanto fatto dagli adulti.
L’uomo ha sempre cercato di correre da solo per quanto la sua natura sia quella di animale sociale, come ci dicono gli etologi. Il correre da solo era ed è finalizzato ad una presunta supremazia, ad una sete di potere che, anche questa, è connaturata nell’uomo. La voglia di prevaricare rende conto di tante delle cose che oggi, come ieri, rattristano.
La complessità sempre maggiore delle numerose e diversificate attività richieste dalla modernità ha fatto guardare con occhi diversi al vecchio adagio “Chi fa da sé fa per tre”. È ben difficile nella società in cui ci troviamo immersi fare sempre e solo da sé. Diventa sempre più pressane, infatti, il lavoro in team, il lavoro di squadra. Ma lavorare in team comporta il dover delegare azioni semplici e parziali a singoli individui o a gruppi di lavoro meno numerosi. Le competenze richieste, infatti, per superare i problemi che ci troviamo ad affrontare quotidianamente non sono e non possono normalmente essere presenti in una sola persona per cui il ricorso al lavoro di gruppo è una necessità. Ne consegue l’insorgere di ulteriori problemi. Il primo riguarda la coerenza delle azioni dei singoli, individui o gruppi, nei confronti del progetto originario. Lavorare in gruppo, inoltre, ha bisogno di leader e di gregari e noi oggi non abbiamo sufficiente disponibilità né degli uni né degli altri.
È facile trovare persone che sono o si sentono capi, qualifica che indica qualche cosa di ben diverso da leader. La maggior parte, invece, compone il gregge che segue acriticamente colui che si atteggia a pastore.
Il capo è colui che comanda per affermare la propria supremazia ed il gregge esegue quanto gli viene impartito senza porre e porsi domande sulla liceità e sull’efficacia degli ordini ricevuti.
Il leader, invece, è colui che consiglia, che dialoga, che promuove la partecipazione di tutti, che pungola ognuno dei suoi collaboratori -non dei suoi cavalier serventi– a dare il meglio di sé, è colui che promuove la partecipazione attiva di tutti, che dà l’esempio, che ha una visione, che ha lo sguardo lungo su un orizzonte ampio.
Il gregario, spesso connotato erroneamente da un’accezione negativa, non è un mero esecutore di ordini, bensì una persona che condivide la visione del leader e che dà il suo contributo critico per realizzarla. Il gregario è il giusto complemento di un leader, perché il leader da solo potrebbe realizzare ben poco. Il gruppo dei gregari ha un’importanza pari o superiore al leader, merito riconosciuto dallo stesso leader.
Il lungo preambolo per affrontare un’attività mal digerita da molti: il controllo. Esso rappresenta spesso la scaturigine di conflitti tra controllore e controllato. Nella sua attuazione peggiore il controllore si comporta da capo mentre il controllato è convinto di subire un attentato alla propria autonomia, per altro sancita dalla Costituzione, dimenticando che anche il controllo è sancito dalle norme.
L’uomo, da soggetto raziocinante, vuole ragionare ed agire per proprio conto con la mal disposizione a rendere conto del proprio operato. In una società strutturata, però, e quella umana lo è storicamente e naturalmente, vi debbono necessariamente essere delle strutture di coordinamento che, ascoltate le numerose istanze del territorio e dei soggetti coinvolti, diano delle linee guida che a volte possono essere poco più che semplici indicazioni ma a volte hanno lo status di vere e proprie imposizioni, per quanto condivise.
Una simile situazione si verifica in ogni comunità, piccola o grande che sia, a cominciare dalla famiglia. Il problema vero e più pressante risiede nell’efficace e strumentale scelta delle persone che vengono indicate come componenti degli enti di coordinamento. Si pensi alle varie forze politiche che si contendono un posto in Parlamento ed al Governo.
Il pensare comune, da non confondersi con il pensiero unico, deve convivere con la libertà del pensiero critico, strettamente personale ed individuale. Le visioni e le riflessioni individuali, però, per quanto siano auspicabili, debbono trovare una sintesi per dare i loro frutti migliori. Questo comporta una filiera che parte dall’individuo per giungere all’anello più alto della catena, cioè all’organismo deputato a prendere decisioni vincolanti per tutta la comunità.
Il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 -Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della L. 15 marzo 1997– ha normato l’autonomia scolastica introdotta con la legge richiamata nel titolo. In base a tale norma ogni scuola è libera di seguire il percorso ritenuto migliore per raggiungere gli obiettivi comuni fissati dalla Repubblica. Qualcuno, però, ha frainteso il concetto di autonomia, per cui è bene ribadirne il significato.
La mancanza di regole è individuata con il termine anomia, dal greco a- senza e -nomòs regola, ma in una società organizzata le regole non possono certo mancare. Le regole sono finalizzate ad una vita ordinata ed efficiente della comunità per cui il passo successivo è la creazione di un ente, variamente denominato, che le faccia rispettare. L’utopia sarebbe una società i cui membri rispettino le regole senza alcuna costrizione, per autonoma scelta dell’individuo responsabile e maturo. Peccato si tratti, appunto, di utopia.
Il soggetto deputato a far rispettare le regole è genericamente indicato come autorità. La condizione di assenza di un’autorità accettata come tale dalla comunità è conosciuta come anarchia. Il termine deriva ancora una volta dal greco: a- mancanza e -arknò comando.
L’autonomia, infine, etimologicamente significa darsi da sé le proprie regole, il che non vuol dire assenza di regole e di autorità. L’autonomia dell’individuo deve essere sempre agita all’interno delle regole valide per tutta la comunità nel rispetto delle autorità costituite. Entro questi limiti l’individuo è libero di comportarsi come meglio crede. Lo “spazio di manovra” lasciato al libero arbitrio dell’individuo è molto ampio e non rappresenta una limitazione, al contrario permette all’individuo di godere appieno dei vantaggi offerti e resi possibili dalla convivenza civile.
Per far sì che ogni individuo rispetti le regole comuni è necessaria la funzione di controllo. Il termine controllo deriva dalla fusione delle parole francesi “contre” e “rôle”, rispettivamente contro e ruolo, da rotolo, che nell’antica Roma indicava il registro delle leggi. Il senso del termine è quello di un’azione finalizzata a verificare se una certa attività sia stata eseguita o meno secondo quanto prescritto. Il controllo è, quindi, da intendersi come una verifica sull’operato svolto e non come giudizio sul soggetto coinvolto.
Il controllo serve, quindi, a noi e ad altri per capire se abbiamo fatto bene. Controllare, cioè esperire una verifica, sia essa autonoma o esterna, serve a sapere ed a rendersi conto se si è agito secondo le direttive stabilite finalizzate al bene comune. Questa, però, sarebbe una finalizzazione ben poco utile se non si prevede anche uno sbocco rivolto al futuro. Se si capisce o ci viene detto che abbiamo operato in modo difforme a quanto programmato o semplicemente se avremmo potuto fare meglio, dobbiamo riflettere su dove saremmo potuti intervenire in modo migliore oppure farcelo spiegare da chi è deputato al controllo.
Proprio nella ricerca di miglioramento sta tutta la valenza formativa e tutta l’efficacia del controllo perché ci permette di acquisire la necessaria padronanza e di rendere sempre più strumentali le nostre attività nella visione degli obiettivi programmati.
Una simile visione richiede, però, da parte del controllato, la disponibilità al cambiamento e l’umiltà di riconoscere che egli ha potuto agire, per un qualsiasi motivo, in modo non congruo. Se invece ci si arrocca sulle proprie convinzioni senza lasciare spazio ai consigli, ai suggerimenti oppure alle necessarie correzioni si rimane ancorati ad una visione personalistica che non ha, né potrà mai avere, un’evoluzione positiva.
Con ciò non si vuole affermare che, da parte del controllato, non sia opportuno e addirittura doveroso fare presente tutte le critiche che possono o potrebbero migliorare il sistema. Si pensi a don Lorenzo Milani ed al suo L’obbedienza non è più una virtù. Dovrebbe, invece, crearsi un continuo scambio di vedute tra controllore e controllato perché è questa la strada maestra che porta ad un continuo miglioramento del sistema e di tutti i soggetti coinvolti.
Purtroppo, a volte capita che il controllore non si pone come colui che guida e che consiglia, ma come il portatore di una verità indiscutibile e come colui che usa ed abusa del proprio potere per limitare il raggio d’azione del controllato.
D’altra parte l’errore che commette il controllato è quello di vivere il controllo come una limitazione della propria libertà, come un attentato al proprio io raziocinante. È portato a vivere il controllo come un’offesa personale. Entrambi gli atteggiamenti sono da stigmatizzare perché portano tendenzialmente ad una involuzione del sistema, qualunque esso sia.
Ritornando in ambito scolastico, il dirigente deve richiamare, quando se ne presenti l’occasione, al rispetto delle regole, ma diventa dirimente il modo come il richiamo viene effettuato. È quanto si richiede al docente nei confronti del discente. Spiegare, se necessario, ancora una volta la norma, metterne in evidenza il valore in vista del bene comune e proporne la corretta operatività.
Il controllato, dal proprio canto, deve capire che quanto gli viene contestato non è un attentato alla sua persona ed alla sua intelligenza, ma solo un aiuto per far sì che la sua azione sia più incisiva.
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Immagini: Tutte le immagini sono scatti effettuati dall’autore dell’articolo e rappresentano il castello Del Gaudio nel comune di Melissa (kr)