
Autovalutazione di istituto
E venne il tempo dell’autonomia.
L’approvazione del DPR 8 marzo 1999, n. 275 “Regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59” ha introdotto l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. Dopo poco meno di tre decenni di applicazione, l’autonomia dovrebbe essere patrimonio condiviso, ben acquisito e, soprattutto, adeguatamente sfruttato. Purtroppo, almeno a mio parere, così non è, almeno non lo è in modo completo e pienamente soddisfacente.
L’autonomia ha avuto, sulla scuola, lo stesso effetto di uno tsunami. Ha, infatti, spazzato vie cose che sembravano immutabili e destinate a durare in eterno. Prima fra tutte il programma a cui era strettamente legata la didattica trasmissiva, basata sulla quantità di nozioni da proporre e da apprendere. Si preferiva la quantità alla qualità.
Ha anche spazzato via, però, certezze funzionali a garantire un buon grado di sicurezza. Il preside ed il docente non erano, infatti, chiamati a prendere decisioni, ma solo a seguire il solco tracciato dall’autorità centrale.
Con l’autonomia vengono richiesti spirito di iniziativa e creatività personale, viene richiesta la presa in carico di responsabilità personali, viene richiesto di tracciare da sé la propria strada, pur rimanendo all’interno delle linee guida alquanto ampie dettate dall’autorità centrale e finalizzate a garantire un servizio di livello essenziale su tutto il territorio della Nazione.
Questa libertà di manovra, però, presenta un rovescio della medaglia che non può essere trascurato. Andare per la propria strada, infatti, non dà certo la garanzia di procedere nella giusta direzione. Vi è la necessità di riflettere sulle mete da perseguire ma anche su quanto si è fatto e su come lo si è fatto.
Altra variabile che ha segnato pesantemente la vita scolastica, sempre conseguenza dell’autonomia, è la possibilità di concorrenza tra istituzioni scolastiche che insistono sullo stesso territorio o su territori molto vicini. Per tale ragione ogni scuola viene portata a differenziarsi, non ha più spazio un’istituzione generalista, che poi altro non è se non un modo diverso per dire un’istituzione senza identità.
L’identità non è una caratteristica che nasce per genesi spontanea. L’identità di un’istituzione scolastica la si crea con scelta a monte che tengano conto anche dell’utenza alla quale l’istituzione si rivolge, scelte da rinnovare giorno per giorno selezionando attività e percorsi educativi ed anche cerandone di nuovi, se reputati strumentali. In questo modo si dà un orizzonte di senso alla libertà di scelta da parte delle famiglie. Non avrebbe, infatti, senso alcuno fare scegliere tra scuole tutte uguali.
La scelta del percorso di fondo, però, non può coinvolgere il solo dirigente o il solo Consiglio di Istituto, ma deve coinvolgere e deve essere condivisa da tutto il personale, pena la perdita di credibilità.
E proprio per questo bisogna riflettere sulle scelte operate, sugli obiettivi da raggiungere e sul percorso effettuato.
L’identità dell’istituzione va fatta conoscere alle famiglie per permettere loro una scelta ragionata. Il documento deputato a tale scopo è il PTOF – Piano triennale dell’offerta formativa.
Non sempre è possibile mettere in pratica quanto di è progettato, così come non sempre i risultati sono perfettamente sovrapponibili a quelli attesi. Questo dovrebbe portare l’istituzione a riflettere sui propri punti di forza, sulle proprie criticità e sulle discrepanze tra risultati attesi e risultati ottenuti nel tentativo di un continuo miglioramento del servizio offerto.
Il primo passo in questa direzione è l’autovalutazione di istituto che rappresenta anche il necessario ed imprescindibile punto di partenza solido e razionale su cui stilare il piano di miglioramento.
Ma quali sono i criteri per un’autovalutazione di istituto che possa definirsi efficace? È la classica domanda retorica alla quale è difficile, se non impossibile, dare una risposta esaustiva ed univoca. È possibile, però, fissare alcuni paletti.
L’autovalutazione costituisce la base di dati su cui costruire qualsiasi azione di modifica dell’esistente. Essa, inoltre, deve essere intesa, in primo luogo dal personale della scuola, come assunzione delle proprie responsabilità. Il punto dirimente della questione è lo spirito con cui l’autovalutazione viene affrontata. Se ci si accomoda su un’ipocrita autoassoluzione, il tutto si riduce ad una pantomima perché sarebbe un’azione muta, un’azione che si basa sul nulla e non porta a nulla, se non a soddisfare la necessità di un obbligo burocratico.
Il percorso di autovalutazione di istituto rappresenta il punto di raccordo tra le attività interne e la propria proposta educativa e didattica con i criteri di riferimento esterni, stabiliti dall’autorità centrale, ma anche con le aspettative dell’utenza.
L’autovalutazione deve essere condotta con rigore analitico e con spirito criticamente oggettivo perché rappresenta il viatico necessario di una qualsiasi azione di miglioramento.
Il dirigente scolastico, nel suo ruolo di responsabile principale, dovrebbe essere abile nel creare un circolo virtuoso proprio a partire dall’attività di autovalutazione. Un’efficace autovalutazione, infatti, porta ad un piano di miglioramento con proposte e progetti parimenti efficaci il che, a loro volta, sono forieri di risultati migliori che vanno a gratificare tanto i docenti quanto le famiglie. La conseguenza di tutto ciò è la creazione di un clima relazionale disteso e produttivo.
Il processo di autovalutazione deve interessare i risultati, ma deve interessare anche i processi che hanno portato ai risultati ottenuti. Non de e, inoltre, essere basato soltanto sul livello professionale, sul percorso educativo e didattico, ma deve analizzare anche la sfera dei rapporti e delle relazioni interpersonali.
L’autovalutazione deve essere intesa come un puzzle complesso che non può esaurirsi nella somministrazione di un semplice questionario, ma deve essere un puzzle formato da numerose tessere: gli apprendimenti, gli insegnamenti, l’organizzazione, i rapporti interpersonali, il clima relazionale. A tutto ciò va aggiunta la relazione dialettica con l’ambiente esterno e con la gerarchia del sistema nazionale di istruzione e formazione.
L’attività autovalutativa è punto molto alto ed altrettanto impegnativo della professione docente in cui si manifesta la propria libertà di insegnamento ed in cui deve prevalere lo spirito etico che comporta la tensione verso un miglioramento continuo. Mettere in atto il processo di autovalutazione è compito primario ed imprescindibile di ogni soggetto che svolge la sua opera lavorativa nella scuola, a prescindere dagli obblighi normativi. Prima che un obbligo di legge dovrebbe essere sentito e vissuto come un obbligo etico e morale.
Il dirigente ed il DSGA dovrebbero concentrarsi sull’organizzazione e sulla coordinazione delle innumerevole esigenze di vario tipo connesse alla gestione burocratica, amministrativa ma anche, se non soprattutto, relazionale connesse alla vita di un’istituzione scolastica. Il dirigente dovrebbe, inoltre, capire, far emergere e valorizzare le competenze di ogni singolo lavoratore stimolandone l’apporto proattivo per il bene dell’istituzione ma anche dell’individuo.
Il compito dei docenti è ancora più difficile ed impegnativo perché hanno di fronte più persone e per più tempo, inoltre c’è un ricambio molto più veloce e molto più intenso.
Il docente è chiamato ad un continuo lavorio di riflessione sulle conseguenze del suo operato ed in questa attività deve essere molto critico cons sé stesso ed estremamente razionale nel valutare il contesto in cui opera.
Il modo più fuorviante per affrontare l’autovalutazione è quello di considerarla un’attività burocratica da svolgere solo per “mettere la carte a posto”. In un simile caso il tutto sì risolverebbe in una perdita di tempo e di autostima con negative ricadute sulla motivazione personale.
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Breve sitografia
- orizzontescuola.it/
- istruzione.it/
- funzioniobiettivo.it/
- https://www.istruzione.it/sistema_valutazione/rapporto.html
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