
Perché l’educazione civica
Abbiamo modo di leggere o, molto più probabilmente, di ascoltare quotidianamente fatti di cronaca che ci mettono al corrente di episodi di violenza, spesso gratuita ed ingiustificata. Non che la violenza si possa mai giustificare, ma vi sono casi in cui si riesce a trovare una spiegazione, a dare un senso, per quanto non condivisibile. Potrebbe trattarsi, ad esempio, di un comportamento violento dovuto ad uno scatto d’ira per un fatto contingente. Ma spesso non è così in quanto c’è fredda premeditazione anche per cause risibili.
Non viene più lasciato spazio al dialogo, al confronto, magari acceso, ma finalizzato ad una sintesi, ad un’intermediazione fra posizioni legittimamente diverse e discordanti.
La violenza, e questa è una cosa molto grave, è da tempo entrata anche nelle scuole ed in un simile caso le vittime designate sono spesso i docenti perché si permettono di dare un voto, brutto quanto meritato, ad un pargolo che non ha voglia di studiare venendo meno alle sue primarie responsabilità, oppure di scrivere una nota di biasimo per comportamenti ben sopra le righe dell’educazione e del rispetto.
Salvo poi scadere nel grottesco con alcune decisioni delle autorità costituite che lasciano attoniti. Giorni addietro una docente è stata sospesa dall’incarico in quanto si è permessa di far recitare una preghiera ai bambini della sua classe di scuola primaria. La motivazione è che la scuola è laica. Negli stessi giorni, però, i mass media hanno riportato la notizia di una istituzione scolastica che ha allestito un’aula per la preghiera dei musulmani. Allora in questo caso la scuola riconosce il diritto ad un credo religioso, ad una professione di fede. Spero di non essere frainteso: non voglio accendere nessuna polemica che possa essere lontanamente accostata ad una prevenzione verso questa o quella confessione religiosa.
Voglio solo far notare che anche la scuola, cioè lo Stato, spesso alza polveroni che creano solo confusione e disorientamento. Potrebbe anche rivelarsi un fattore, indiretto quanto si vuole, alla violenza o almeno alla divisione ed alla discordia, già in atto per altre motivazioni ben più pregnanti. Ci si perde dietro queste problematiche che potrebbero essere risolte mettendo sul tavolo le diverse visioni e cercando di trovare una quadra che crei vicinanza ed inclusione, ma forse è chiedere troppo.
La violenza nella società è un dato oramai acquisito e non riguarda più soltanto dei gruppi più o meno ben definiti. È, infatti, emotivamente devastante l’esplosione del fenomeno delle baby gang, così dette perché formate da ragazzini, anche al di sotto dei 13 anni, il cui passatempo consiste nel compiere azioni molto violente, senza ragione alcuna. A questo si aggiungano i challenge, cioè delle sfide che spesso finiscono in tragedia, proposte su alcuni social, primo fra tutti il famigerato Tik tok. È molto recente un’altra sfida che interessa le ragazze. Il nuovo challenge consiste nel fare sesso non protetto con molti ragazzi e perde colei che per prima rimane incinta. Stiamo parlando di ragazzine poco più che bambine.
La violenza è entrata anche, come abbiamo già detto, nella scuola, ma questa volta vede tra i protagonisti coloro che dovrebbero spiegare, illustrare e far acquisire le regole del vivere civile, in primo luogo con l’esempio di una vita specchiata.
È di questi giorni la notizia di una dirigente scolastica, già insignita del titolo onorifico di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Mattarella, posta agli arresti domiciliari per truffa ai danni dello Stato e per appropriazione indebita. La dirigente era a capo di un istituto che, ironia della sorte, è intitolato a Giovanni Falcone. La dirigente faceva la spesa razziando gli alimenti destinati alla mensa scolastica, acquisiva per esigenze proprie o di amici, PC e tablet destinati alla didattica a distanza per ragazzi disagiati, tutti strumenti comprati grazie a progetti finanziati dal Consiglio europeo oppure dallo Stato italiano. I contributi erano finalizzati all’attivazione di progetti che la dirigente si premuniva di documentare adeguatamente ma non si sognava di svolgere effettivamente. Dalle intercettazioni ambientali dei Carabinieri, in audio e in video, discendono prove incontestabili, tra cui anche la falsificazione, grazie all’aiuto di persone di fiducia, delle firme di frequenza relative ad alunni che se ne stavano beatamente a casa.
Tutto è nato dalla denuncia di una docente che ha notato una discrepanza eccessiva tra i pochissimi alunni frequentanti i corsi organizzati rispetto alle cifre poste in bilancio per detti corsi.
Sono notizie che riempiono le prime pagine dei giornali e che vengono urlate a gran voce dai numerosi mass media.
Passa, invece, quasi sempre sotto silenzio come fatto acquisito e normale, l’illegalità diffusa, l’illegalità di ogni giorno, quella spicciola. Quell’illegalità che fa da substrato e che alimenta gli episodi prima citati. Non viene stigmatizzata la violenza verbale profusa a piene mani, anzi a pieni polmoni, dai diversi politici, nazionali e stranieri, che, non avendo la capacità e le competenze, e forse neanche la voglia, di impegnarsi in un confronto serio e fattivo sulle problematiche, e sono tante, che affliggono quella stessa società che hanno sgomitato e continuano a sgomitare per amministrare, pensano bene di far confusione ed alzare polveroni per un nonnulla per affermare la loro presenza. Viene in mente Franceschiello, re di Napoli che, per impressionare gli inglesi sulla consistenza delle sue truppe, le invitava a fare ammuina, cioè, appunto, a fare confusione muovendosi di qua e di là in un andirivieni il cui unico scopo era creare confusione e dare l’idea di un attivismo inesistente. Questa categoria di politici, alquanto numerosa, nella sua attività inconsistente ed incongruente, per la sua pochezza, non riesce a trovare niente di meglio se non offendere e additare capri espiatori nei soggetti più deboli e degli avversai politici di turno.
È, ancora, diventato tratto comune ed acquisito del comportamento della massa il non rispetto delle regole, anche le più semplici, della convivenza civile. Basti pensare a quanti parcheggiano in doppia fila o, magari, occupano un posto riservato ai portatori di handicap, a quanti buttano i rifiuti fuori dal cassonetto, a quanti fumano in posti dove è vietato. Questi atteggiamenti, ormai, non vengono, dai più, neanche considerati incivili, ma solo furbate o ragazzate.
Di converso siamo subito pronti ad additare i colpevoli, veri o presunti per qualunque episodio non sia allineato con i nostri interessi e le nostre aspettative. Tra i colpevoli un bersaglio comune è, oltre la famiglia, la scuola, vista, di volta in volta, come un’istituzione il cui immancabile destino sia quello di sanare e di prevenire tutti i mali della società, salvo lasciarla sola e negletta in questa sua opera, o come un buco nero, in cui tutte le risorse che vi si immettono spariscono senza lasciare traccia alcuna, un carrozzone istituito al solo fine di dare uno stipendio immeritato a persone senza voglia di lavorare.
Altro bersaglio, sicuramente di stampo più qualunquista, è la società. Come se la società fosse un’entità altra da noi, da ognuno di noi. Questo atteggiamento è figlio prediletto di quella cultura della delega e del disinteresse che tanto successo sta riscuotendo in questa nostra epoca caratterizzata dal pensiero debole e dal ripudio di valori forti ed universali.
Con queste premesse ben si capisce verso quali obiettivi dovrebbe essere finalizzato l’insegnamento di educazione civica. Ritornando alla dirigente posta agli arresti domiciliari, andrebbe enfatizzato il comportamento della docente che, occupandosi criticamente della vita scolastica, ha denunciato il malaffare. Non può non venire in mente don Lorenzo Milani, di cui stiamo ricordando il centenario dalla nascita, ed il suo i care, io mi preoccupo, io mi interesso, come antidoto forte ed efficace contro la negazione della cittadinanza attiva e dell’umanità rappresentato dal me ne frego che risuonò nelle strade italiane per un ventennio.
Ecco, l’insegnamento dell’educazione civica dovrebbe mirare a creare una comunità matura e coesa, una comunità fatta di individui ben consapevoli dell’interdipendenza tra tutti i cittadini, ben consapevoli che la crescita di una società non può verificarsi al di fuori della coesione sociale e dell’aiuto reciproco.
La scuola, con l’insegnamento dell’educazione civica dovrebbe alzare una barriera contro tutti quei comportamenti di ordinaria illegalità che sono quelli più numerosi e che fungono da incubatore per fatti ben più gravi perché erodono il senso del limite: «Se posso parcheggiare come e dove mi pare in barba alle regole, allora le regole non servono e possono essere bellamente ignorate».
Ogni docente dovrebbe, quindi far rispettare, lui per primo, tutte le regole che la comunità scolastica si è data e che debbono essere prima spiegate e condivise con la classe. Non si dovrebbe lasciar correre neanche il più piccolo sbaglio. Non sto sostenendo che ad ogni piccolo errore bisogna intervenire con una punizione esemplare: nota disciplinare o allontanamento dalla classe. Basta far riflettere colui che ha sbagliato, ma anche tutta la classe, sulle conseguenze del gesto non consentito, fuori dalle citate regole, e riproporre, ogni volta se necessario, quale debba essere il comportamento corretto e perché sia necessario rispettarlo. Bisogna rifuggire da atteggiamenti di cieco autoritarismo per non ottenere l’effetto contrario. I ragazzi sono contestatori per definizione, più li si riprende, senza loro spiegare perché, più si mettono contro. Se, invece, ci si dialoga i risultati non possono se non essere positivi e gratificanti sia per il docente sia per lo stesso ragazzo.
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