
La necessità di bellezza
«Di che cosa avete parlato? È vero principe che una volta avete detto che la “bellezza salverà il mondo”? Signori» prese a gridare a tutti, «il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato. Signori, il principe è innamorato, non appena è arrivato, me ne sono subito convinto. Non arrossite principe, mi impietosite. Quale bellezza salverà il mondo?» è il grido che Fëdor Dostoevskij ne L’idiota mette in bocca al giovane Ippolit.
La frase estrapolata da questo brano, “La bellezza salverà il modo”, per quanto usata ed abusata, mantiene una grande forza evocativa e dall’accezione negativa conferitagli nel testo riportato ha acquisito, invece, un significato positivo.
Il termine bellezza ne richiama immediatamente un altro: estetica. Questo secondo termine deriva da una parola greca che significa sensazione. In filosofia l’estetica riguarda quell’aspetto della conoscenza che viene acquisito per mezzo dei sensi. Il legame tra bellezza ed estetica, quindi l’insieme delle sensazioni evocate dalla realtà e da quanto si percepisce, è da ricercare nel fatto che ci sembra bello quello che colpisce i nostri sensi provocando una qualche forma di piacevole sensazione. Un quadro, una musica, un panorama, una persona sono “belli” perché stimolano piacere, così come bella può essere una stoffa perché è delicata al tatto oppure un qualunque oggetto che stimola i nostri sensi in modo piacevole.
La bellezza, quindi, essendo legata alle sensazioni individuali, non è una caratteristica assoluta, bensì relativa. Infatti la saggezza popolare ci ricorda che «Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace». Diciamo che una cosa è bella quando induce sensazioni piacevoli nella maggioranza della comunità. Ma la sensazione evocata nel soggetto è mediata anche dalla cultura corrente e dal livello di cultura del soggetto interessato. Davanti alla Monna Lisa, o Gioconda che dir si voglia, rimaniamo tutti a bocca aperta dallo stupore perché percepiamo subito, quasi istintivamente, il primo significato dell’opera, quello estetico, appunto. Essa ci piace perché rispetta ed enfatizza tutti i canoni della bellezza condivisi dalla nostra cultura. Di fronte a Guernica di Pablo Picasso, invece, riusciamo ad apprezzarla a pieno solo se abbiamo un critico che ci illustra i numerosi particolari ed i relativi significati. Abbiamo, in altri termini, bisogno di un’interfaccia, di un mediatore, che si frapponga fra l’opera ed il fruitore per farne apprezzare il valore. Senza intermediazione l’opera picassiana perderebbe molto del suo fascino e del suo valore artistico e culturale, appunto. Ma non è detto che fra un secolo o due, cambiando la cultura dominante, molte di quelle che oggi consideriamo opere d’arte non perdano in tutto o in parte il loro fascino.
Nel mese di ottobre del 2021, è sorta una polemica in seguito all’inaugurazione, nella cittadina di Sapri, in provincia di Salerno, della statua “La spigolatrice di Sapri”, opera dello scultore Emanuele Stifano. La polemica è partita dall’accentuazione che l’autore ha riservato al lato B della figura plasmata. Questa caratteristica ha fatto sì che la statua venisse etichettata come sessista. Considerare bella o brutta una statua afferisce alla sensibilità artistica di chi guarda. A proposito di sessismo o, secondo alcuni, addirittura di volgarità, mi permetto di non essere d’accordo. Volgare e sessista è quanto accaduto sabato 27 novembre dello stesso 2021 all’uscita dallo stadio “Carlo Castellani” di Empoli alla fine della partita Empoli-Fiorentina. La giornalista di Toscana TV, Greta Beccaglia, sta facendo il suo lavoro raccogliendo le impressioni dei tifosi. Un signore, ammesso che lo si possa definire tale, passandole vicino allunga una mano per palpeggiarle il fondoschiena, imitato poco dopo da qualche altro “signore”. Altri, invece, hanno preferito, durante l’intervista, soffermarsi, non già e non solo sulla partita, bensì sulle caratteristiche fisiche della giovane giornalista. Sia nel caso della spigolatrice che in quello della giornalista stiamo parlando di bellezza e di sensazioni, ma vissute in modo molto diverso.
Il nudo, soprattutto quello femminile, è stato da sempre soggetto preferito dell’arte figurativa, tanto da essere molto presente anche nell’arte sacra. Nel 1564, giusto un anno dopo il concilio di Trento, quello della Controriforma, papa Pio IV ordinò di “mettere le mutande” alle innumerevoli figure nude presenti nel magnifico affresco del Giudizio Universale, per coprire le parti intime dei santi e delle altre figure rappresentate. La Controriforma, infatti, aveva ordinato di censurare le nudità presenti nei luoghi di culto ed in seguito a tale imposizione molte opere vennero addirittura distrutte per sempre. Il nudo come tale non è necessariamente volgare, basti pensare al David di Donatello o alla Paolina Bonaparte del Canova.
“Honni soi qui mal y pense” (svergognato sia chi pensa male), ebbe a dire Edoardo III d’Inghilterra quando, ad un ballo di corte, alla sua concubina, la contessa di Salisbury, cadde la giarrettiera. Il regale intervento era finalizzato a sopprimere i risolini di dame e cavalieri che avrebbero messo sicuramente a disagio la nobildonna. Il corrispettivo, che meglio si adatta al nostro contesto è “La bellezza sta negli occhi di chi guarda”, che è un adeguamento della frase “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le contempla” del filosofo inglese David Hume. Per concludere, anche la saggezza popolare si è espressa sull’argomento con la frase in vernacolo napoletano “Ogni scarrafone è bell’a mamma soja”. Il significato del famoso detto napoletano ricalca quello delle frasi prima citate e ben più paludate. Ogni mamma, inutile dirlo, nonostante il reale aspetto, vedrà il proprio figlio con gli occhi dell’amore e cioè bello.
Da quanto detto finora si evince l’esistenza di un legame tra bellezza, purezza di spirito e disponibilità ad apprezzare, ancora più delle fattezze esteriori, quelle che caratterizzano l’animo di chi ci sta davanti. Educare al bello quindi, vuol dire educare lo spirito ed educare il soggetto in tutto il suo essere verso atteggiamenti e comportamenti che creano condivisione, accoglienza ed inclusione.
Ma come si fa ad educare alla bellezza? È una domanda mal posta perché la bellezza non la si insegna, bensì la si mostra e la si fa vivere e solo così la si può apprezzare e perseguire. All’inizio del presente articolo abbiamo detto che l’estetica, strettamente ed indissolubilmente legata alla bellezza, riguarda l’acquisizione della conoscenza che avviene per il tramite delle sensazioni.
La ricerca della bellezza è fondamentale anche nell’attività didattica. Ogni disciplina ed ogni argomento di studio ha una sua “bellezza” ed il docente deve essere in grado di evocarla, svelarla e farla vivere ai suoi ragazzi. Gli studenti, in tal modo, si ritroveranno a vivere un’esperienza totalizzante, forte e coinvolgente, traendo piacere dall’acquisizione delle conoscenze proposte. La logica e positiva conseguenza sarà un ambiente di lavoro, per docente ed alunni, molto più efficace e propositivo, più tranquillo e proattivo. E non mi sembra poco!
Il docente deve, quindi, essere in grado di coinvolgere il ragazzo dal punto di vista emotivo. Ma per riuscire in ciò, lui stesso deve essere coinvolto emotivamente da quanto dice e da quanto fa, il che si ottiene mettendo passione nel proprio lavoro, nella sua azione di educatore. Senza passione la lezione si riduce ad un mero soliloquio, ad un monologo in cui il docente-emittente propone agli studenti-riceventi passivi quanto già riportato sul libro di testo e quanto facilmente reperibile in rete. Si tratterebbe di una mera operazione asettica che non lascerebbe traccia di sé.
Insegnando con passione, le parole pronunciate sono in grado di trasportare il ragazzo al di fuori della quotidianità e fargli vivere mondi nuovi ed inesplorati, mondi in grado di offrire orizzonti molto più ampi e complessi. Una condizione in cui lo sguardo si perde fino a giungere alla scoperta di sé stessi.
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