
Un colpo di genio
Il colpo a cui il titolo fa riferimento è quello di una pistola ad aria compressa in grado di sparare pallini a grande velocità, pallini che hanno colpito una professoressa nel mentre faceva lezione.
Come forse qualcuno avrà notato non è mia abitudine reagire a caldo alle notizie che mi interessano ed alle quali presto maggiore attenzione. Preferisco far sedimentare le sensazioni iniziali sperando, in tal modo, di essere più razionale.
Ma veniamo al fatto.
In una classe prima di una scuola secondaria di secondo grado, poco importa la collocazione geografica, un ragazzo entra in classe avendo in cartella, anzi nello zaino, una pistola ad aria compressa con i relativi pallini. Debbo dire, per onestà intellettuale, che la notizia non mi ha sconvolto più di tanto, anche se non è proprio un esempio da seguire.
Ho superato, seppure non da molto, i settanta anni per cui ai tempi in cui frequentavo le superiori non si portavano le pistole ad aria compressa, ma, al massimo, altri oggetti-simbolo di un adolescente in cerca di identità. Non si faceva uso dei pallini, al più delle famose cerbottane ottenute dalle cannucce delle penne con le palline di carta accuratamente preparate con una meticolosa masticazione per dare loro la necessaria consistenza.
La professoressa che si è trovata, suo malgrado, coinvolta in questa triste situazione, è stata colpita da due pallini, di cui uno sullo zigomo, molto vicino all’occhio con il rischio che è facile immaginare. Come si conviene in questi casi, più di qualche ragazzo si è improvvisato cineasta riprendendo con il telefonino e postando tutto sui social.
Alle rimostranze della docente, la classe ha risposto sghignazzando e prendendola in giro, tant’è che la docente, sentendosi umiliata, ha abbandonato l’aula in lacrime.
Un fatto a dir poco increscioso da stigmatizzare senza se e senza ma, almeno da parte di adulti responsabili e maturi per quanto richiede l’età.
Come prima cosa è da notare la mancanza di vicinanza e di condivisione da parte dei colleghi e la mancata risposta da parte della dirigenza. Per quanto riguarda il Ministero, poi, neanche a parlarne.
Tutto il clamore mediatico successivo si è originato perché l’episodio ha stimolato la vena polemica di una “star de nojantri”, scusatemi la pronuncia. Una signora che ha trovato lavoro in una trasmissione televisiva e che, per tale motivo, si sente investita da potere indiscusso di dire ciò che le passa per la testa, in una trasmissione radiofonica mette bocca sull’accaduto. Nel suo dire, in estrema sintesi, addossa alla “vittima” le colpe dell’accaduto. Leggendo tale notizia mi sono venute in mente le ormai tradizionali parole usate in caso di violenza sulle donne: «Ma in fondo se l’è cercata!».
Gentile signora Littizzetto, a me la sua pseudo comicità non è mai piaciuta. L’ho trovata sin da subito volgare ed infarcita di sconcezze al solo fine di strappare qualche sguaiata risata a gente che si diverte in questo modo.
La comica (?) ha affermato, semplificando, che la professoressa avrebbe la colpa di non essere empatica e quindi non avendo saputo instaurare una relazione empatica con la classe avrebbe, addirittura, indotto comportamenti di tal fatta. Quando ascolto discorsi e ragionamenti di tale livello rimpiango la censura. Non è possibile permettere a chiunque di dire la prima cosa che passa per la testa al solo scopo di fare audience. Mi ritorna in mente quanto affermato da Umberto Eco circa i social così come riportato da La Stampa on line l’11 giugno 2015: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Nella società della comunicazione, nella società dove se non sei sui media non esisti, accade anche questo, ed accade sempre più di sovente.
Ma ritorniamo al fatto di cui ci stiamo occupando.
Considerato che si era creato un muro di omertà sulla vicenda, considerato che si era superato un limite che avrebbe dovuto essere invalicabile ed anche al fine di salvaguardare la dignità personale e di tutti gli altri colleghi, la professoressa ha deciso di denunciare tutta la classe.
La prima reazione è stata quella di qualche buon genitore che si è affrettato a gridare l’estraneità del proprio figlio. Tanto per essere!
La signora Littizzetto, nel corso della trasmissione radiofonica, avrebbe detto, come riporta il sito ilgiornale.it, «Se riesci a creare una relazione empatica non ti sparano con la pistola ad aria compressa». Leggendo tra le righe, senza bisogno di scendere troppo in profondità, consecutio dell’affermazione della Littizzetto è che i ragazzi, poveri pargoli, sono giustificati dalla mancanza della relazione empatica.
Non ho certo nessuna voglia di entrare in polemica con la signora Littizzetto che non so per quali fini o per quali convincimenti abbia fatto una simile dichiarazione, ma, come persona raziocinante prima ancora che come docente, seppure in quiescenza, non posso accettare che vengano giustificati comportamenti del genere.
È un vezzo dei nostri giorni essere garantisti ad oltranza, fino alle soglie del ridicolo ed a volte anche oltre, se il tutto non fosse maledettamente serio. Sono quegli sprazzi di cancel culture, quella cultura della cancellazione secondo la quale non ci si vuole schierare apertamente e decisamente verso una posizione ben precisa per chissà quale ragione. Forse perché schierarsi comporta impegno e giustificazioni valide e profonde che richiedono conoscenza e riflessione. Risulta molto più facile improntare e relegare il proprio pensiero ad un buonismo di facciata, almeno fino a quando non vengano toccati i propri interessi. Nel caso specifico, poi, bisogna aggiungere un’altra considerazione.
Oramai sparare sulla scuola è facile come sparare sulla Croce Rossa. È uno sport molto praticato che ha preso piede da tempo ed oggi annovera numerosi estimatori. In principio furono alcuni politici “illuminati” che iniziarono, non già a razionalizzare le spese, come sarebbe stato doverosamente utile, e ad attivare controlli efficaci, frequenti, specifici e strumentali per evitare abusi e per migliorare il sistema di istruzione. Molto più facilmente hanno preferito fare ricorso ai famosi quanto famigerati “tagli lineari”.
La presa di posizione della professoressa e la sua denuncia hanno stimolato la risposta del ministro Valditara che, dopo aver affermato “Quando uno studente spara ad un insegnante non ci sono se e non ci sono ma. Educhiamo al rispetto sempre e comunque” ha deciso di ascoltare la dirigente scolastica. Non poteva mancare, ovviamente, la presa di posizione del sempre presente onorevole Salvini che, a proposito delle parole della Littizzetto, ha affermato: “Come si può solo pensare di dire una cosa del genere? A volte il silenzio è d’oro”.
Tra tutti gli interventi che ho letto o ascoltato nessuna voce si è levata forte e chiara per denunciare le carenze in campo educativo delle famiglie e della società, intesa come insieme di individualità ognuna con la sua aliquota di responsabilità verso la società stessa. A scuola arrivano persone con retroterra culturali i più svariati, individui che sono, spesso, stati abituati ad avere tutto e subito, che non conoscono regole perché nessuno, ad iniziare dalla famiglia, gliele ha insegnate ed imposte. Al contrario i genitori, come ha scritto qualcuno, fanno i sindacalisti dei propri figli, che non hanno mai colpa alcuna, che hanno sempre ragione e che sono buoni e bravi a prescindere, per definizione.
Sono quegli stessi genitori che poi pretendono che la scuola faccia il miracolo di trasformare i loro figli in perfetti gentleman con una preparazione eccellente ed un’azienda che lo aspetta con il contratto in mano. Un docente è in contatto con gli alunni, nel migliore dei casi, per 18 ore settimanali mentre i genitori hanno la possibilità di vederli e di educarli per molto più tempo, compito che anche la Costituzione assegna loro. Ma questo è un discorso che non a tutti piace, che non tutti recepiscono perché preferiscono curare i propri interessi individuali, perché non vogliono mettersi in gioco, perché non vogliono “grattacapi” ed allora abbracciano la deleteria e nefasta cultura della delega acritica lasciando tutte le incombenze educative alla scuola.
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Immagini: Copertina – Le foto all’interno del testo sono dell’autore.