L’attenzione necessaria

L’attenzione necessaria

22 Gennaio 2023 0 Di giuseppe perpiglia

In questo blog abbiamo detto più volte che la scuola secondaria di primo grado, la cara vecchia scuola media, ha un compito molto delicato e molto impegnativo. Il motivo risiede nel “materiale umano” con cui essa ha a che fare: persone in cerca della propria identità, in cerca della propria collocazione nel mondo. L’educazione dei pre-adolescenti e degli adolescenti rappresenta un terreno pieno di insidie, un terreno molto scivoloso in cui è facile inciampare sui molti ostacoli di cui è disseminato. I ragazzi che si trovano ad affrontare questa particolare fase di crescita sono costretti a vivere la scomoda posizione di dover portare a sintesi efficace le rapide trasformazioni del loro corpo con il proprio sé psichico. Ed è una cosa non facile. Spesso si trovano ad avere un cervello che ancora risente pesantemente della fanciullezza non ancora pienamente superata ospitato, però, in un corpo che comincia chiaramente ad essere quello di un uomo o di una donna. Questo genera delle vere e proprie crisi di identità che vengono potenziate dall’insorgenza di nuove e ancora sconosciute pulsioni.

Il risultato è che non sanno come comportarsi, risultano spesso goffi e si sentono fuori posto. Sensazione che aumenta il loro disagio. L’adolescente non si rassegna, come giusto che sia, alla sua situazione e tenta di reagire, sfidando gli adulti e le loro regole. L’adolescenza, infatti, è caratterizzata dalla presenza costante di un elemento di sfida (Cacciaguerra, 1990). A conferma di questa affermazione si pensi ai video postati sui vari social con “bravate”, le cosiddette challenge, che purtroppo a volte finiscono in tragedia.

La sfida che coinvolge in toto l’adolescente è quella tra il reale ed il possibile, reale che agli occhi del ragazzo è deludente e questa sensazione lo porta a criticare i comportamenti dei genitori che incarnano il reale che lo circonda. Proprio quelle stesse persone che fino a pochissimi anni prima erano i suoi modelli, i suoi supereroi.

È proprio questa tensione ad allontanarsi dal modello adulto rappresentato dai genitori che lo porta a cercare ed a creare nuove relazioni ed a farsi assorbire completamente dal gruppo dei pari, cercandone l’accettazione.

In questo contesto la scuola, per il ragazzo, può diventare un’àncora di salvezza o un’ulteriore sorgente di disagio. Molto dipende dagli adulti di riferimento, in primo luogo dai docenti che si trova dinnanzi, e dal tipo di approccio che essi hanno con i ragazzi nel loro insieme e, in particolare, con ogni singolo studente.

L’influenza, positiva o negativa che sia, sul processo di apprendimento può benissimo essere considerata secondaria rispetto all’influenza sulla crescita personale e sul processo di maturazione della personalità.

Il docente dovrebbe rifuggire da uno stile comunicativo unidirezionale, in cui egli assume il ruolo stabile di emittente e l’alunno quello di ricevente. Un simile caso, oltre a non promuovere la maturazione personale, porta soltanto a stimolare un sapere “cumulativo”, un sapere che procede secondo logiche lineari e che rappresenta scarse potenzialità di poterlo trasferire in contesti diversi.

Al contrario, se il docente basa la sua comunicazione su uno stile socio-integrativo gli alunni saranno portati ad aprirsi e tenderanno a manifestare comportamenti positivi, tra cui comunicare tra loro e con gli adulti in modo spontaneo ed aperto ed a partecipare più attivamente alla vita scolastica, caratteristiche che tendono a tracimare anche al di fuori dell’aula.

Il docente dovrebbe privilegiare lo stile dialogico anche come investimento dal punto di vista professionale, sfruttando l’affettività maieutica per favorire l’apprendimento perché l’apprendimento, appunto, è un processo ad un tempo affettivo e cognitivo.

Se il processo dell’apprendimento è improntato ad una reciproca partecipazione affettiva ci sarà, da parte del ragazzo, una maggiore e più profonda fissazione di quanto appreso e questo si legherà più facilmente e più saldamente al background cognitivo già presente andando a far parte della sua rete di conoscenze.

La relazione tra docente ed alunno non può limitarsi ad un mero rapporto formale tra “colui che sa” ed un altro soggetto che viene considerato mancante di pensiero e di personalità. Al contrario tale rapporto deve essere improntato all’incontro personale ed allo scambio di idee e di visioni, deve essere improntato alla partecipazione ed all’alleanza educativa.

Nel periodo di estremo disorientamento in cui si dibatte, il ragazzo deve avere la certezza, anche a scuola, di poter contare su una persona di cui si possa fidare, una persona pronta ad ascoltarlo ed a dargli consigli disinteressati e razionali, una persona pronta certamente a consigliarlo ma, quando necessario, anche a rimproverarlo. Solo in questo caso il rimprovero avrà valore formativo e sarà accettato come tale anche dal ragazzo.

Quello del docente non è un mestiere, ma una professione che per essere svolta al meglio necessita di ben precise caratteristiche e di determinate competenze. Tra queste, ed in primo luogo, l’ascolto attivo legato ad una buona capacità di lettura e di comprensione delle dinamiche di gruppo, ma anche alla disponibilità di mettersi in gioco. Il docente non può presentarsi in classe con una maschera da togliere al suono della campanella. Egli deve presentarsi alla classe con la sua unicità, farsi accettare per quello che realmente è.

I grandi pensatori della Grecia classica e della Roma imperiale erano convinti del dualismo tra logos e pathos, tra ragione e sentimento. Oggi giorno, invece, la filosofia, la pedagogia e la psicologia sono concordi nell’affermare e nel sostenere l’evidenza della radice emotiva dei comportamenti umani.

Questo conferma ulteriormente quanto prima detto sull’esigenza di uno stile di insegnamento basato su rapporti all’insegna dell’affettività e di corrette relazioni interpersonali. In relazioni così strutturate non può mancare il rispetto per la persona dell’alunno, il rispetto per il principio dell’autorealizzazione intesa come crescita spontanea ed autonoma.

Per il docente sarebbe molto più comodo e meno impegnativo, ma anche meno gratificante, svolgere la sua bella lezione frontale per tutta la classe, ma in questo caso non ci si potrebbe aspettare risultati efficaci. Questi, per essere raggiunti, hanno bisogno di tanto impegno e di ancora maggiore attenzione alla singola persona ed alla sua unicità.

Parlare di affettività vuol dire parlare di emozioni, che sono gli elementi su cui poggia l’identità della persona, perché sono proprio le emozioni che determinano le scelte ed il pensiero dell’uomo. Ritornando in classe, sono sempre le emozioni che influenzano l’apprendimento, per questo il buon docente deve emozionare lo studente quando espone la sua disciplina, qualunque essa sia.

Esiste, in base a quanto detto, un’interazione profonda tra cognizione ed affettività a causa dello stretto parallelismo che si instaura nel pensiero tra livello affettivo e livello intellettuale.

Tale relazione diventa, quindi, importante, anzi essenziale, per uno sviluppo armonico della personalità. A costo di essere ripetitivi, è bene ribadire che l’affettività è in grado di condizionare i processi cognitivi perché tra processi emotivi e apprendimento esiste una profonda connessione, infatti l’apprendimento stesso si sviluppa sempre all’interno di una relazione affettiva.

Il rapporto affettivo nel suo realizzarsi implica una presenza esistenziale dell’educatore per l’educando. Per questo l’educatore deve essere sempre fedele a sé stesso e sempre disponibile.

L’insegnamento trasmissivo è stato in auge fino a tutti gli anni ’70 del secolo scorso e poi è andato, per fortuna, scemando fino a diventare attualmente residuale. Si manifestava come semplice condizionamento ed assimilazione passiva di contenuti. La presenza della componente emotiva rende il processo cognitivo una sfida ed un’avventura che implica un atto di fiducia da parte del ragazzo perché richiede il coraggio di buttarsi verso un mondo, per lui, incerto e sconosciuto.

Quanto finora scritto trova riscontro anche nelle affermazioni di uno studioso del calibro di Bloom che riteneva che esiste uno stretto rapporto tra affettività, motivazione ed apprendimento perché le variabili legate all’apprendimento esercitano un’azione rilevante nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione che si verificano quotidianamente nell’ambiente scolastico.

Il docente deve avere e dimostrare nei confronti dello studente un interesse autentico che non può se non discendere da un’esperienza emozionale, deve essere capace di instaurare una relazione fondata su un rapporto di autentica reciprocità senza la quale l’evento educativo si ridurrebbe a mero condizionamento e potrebbe anche scadere nella coercizione.

Per Carl Rogers la relazione educativa deve significare prioritariamente difendere ed incrementare il potenziale di umanità dell’alunno. Ed essere finalizzato alla sua realizzazione. Il docente è chiamato “soltanto” a svolgere il ruolo di facilitatore e per svolgere al meglio tale ruolo deve conoscere bene il ragazzo, deve entrare in relazione empatica con lui e con il suo mondo. Bisogna che il docente, come adulto, sia in grado di entrare in sintonia affettiva con la persona in formazione che a lui si affida. Sintonia affettiva vuol dire prendere piena consapevolezza che non tutti gli alunni hanno le stesse esigenze, i medesimi bisogni e gli stessi tempi di apprendimento. Al contrario, ogni singolo studente va trattato nel modo e con gli strumenti a lui più adeguati.

L’instaurare una relazione affettiva efficace, però, non può prescindere, da parte del docente, da un’appropriata e meditata conoscenza delle caratteristiche del gruppo classe. Non dimentichiamo, infatti che l’uomo è un animale sociale che si realizza compiutamente e pienamente nella relazione con l’altro da sé. È una relazione che, come tale, si sviluppa nei due sensi, cioè un soggetto è in grado di influenzare l’altro ma, nel contempo, ne viene influenzato ed il suo comportamento, quindi, risente del contesto in cui si trova. A questo bisogna ancora aggiungere le dinamiche che si instaurano in ogni gruppo umano e che non sono di facile previsione.

Dal punto di vista del processo di insegnamento-apprendimento, infine, ogni gruppo-classe si configura come un gruppo strutturato su due livelli:

  1. un livello formale, razionale, caratterizzato dal raggiungimento di finalità prettamente didattiche e
  2. un livello informale, emotivo, con prevalenti finalità relazionali e di socializzazione.

il docente deve tener conto di entrambi i livelli per armonizzarli e trarre il meglio dal gruppo-classe a lui affidato.

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