
La valenza del progetto
Perché progettare? Perché stilare un programma operativo? Sono domande che, per quanto possano sembrare retoriche, sarebbe bene porsi di tanto in tanto. A volte siamo risucchiati nel vortice della routine e perdiamo di vista quale sia il nostro compito e quale sia l’importanza dei documenti che siamo chiamati a stilare. Spero di non urtare la sensibilità di nessuno: sono solo riflessioni personali fatte ad alta voce.
Le risposte alle domande appena formulate possono essere diverse e tutte avrebbero, probabilmente, una loro parte di verità, perché sono domande che si prestano ad interpretazioni diverse e possono essere recepite ed analizzate da punti di vista altrettanto diversi.
Il progetto didattico rappresenta il compendio tra esigenze diverse. Da una parte, infatti, abbiamo la norma che ci indica la strada maestra, il percorso da seguire. Si tratta, invero, di una strada molto ampia tanto da essere più una direzione che non una strada vera e propria. La norma, nella fattispecie le Indicazioni nazionali per il curricolo pubblicate nel 2012, ci indica, come una stella polare, la meta da raggiungere, gli obiettivi da perseguire. Da un’altra parte bisogna tenere in considerazione le esigenze e le aspettative dell’utenza e, in generale, di tutti gli stakeholder coinvolti, seppure a vario titolo, dalle azioni della singola istituzione scolastica. Ogni scuola ed ogni docente dovrà, infatti, confrontarsi con la propria realtà, con il contesto in cui si trova ad operare.
Il progetto rappresenta la traccia scelta per trasformare l’idea in azione. Bisogna, però, non idealizzarlo, non bisogna farne un idolo: si tornerebbe al vecchio e pedagogicamente superato “programma ministeriale”, strumento che ha fatto il suo tempo. Il progetto didattico ed il conseguente piano operativo debbono rappresentare qualcosa di molto flessibile e dinamico. Uno strumento in grado di rispondere con prontezza ed efficacia alle mutevoli richieste dell’utenza. Ho preferito utilizzare la locuzione “piano operativo” al posto di programma per non ingenerare equivoco alcuno.
Il progetto deve essere flessibile in quanto dovrebbe essere stilato, non certo pensando al libro di testo o alla quantità delle informazioni da fornire, bensì alla qualità dell’apprendimento da parte di ogni singolo alunno ed alla strumentalità per la sua crescita personale ed umana.
Ogni alunno, sia singolarmente sia come gruppo classe, vive e mette in atto delle dinamiche che non dipendono esclusivamente dal docente, dinamiche che il docente non può governare se non in minima parte ma di cui deve tenere conto. Tutto il resto, la maggior parte, dipende dalle peculiarità caratteriali dell’alunno stesso, dagli stimoli che riceve dal contesto socio-economico-culturale da cui proviene e dalle dinamiche di gruppo che vengono ad instaurarsi in classe.
La prima azione da compiere deve essere finalizzata alla piena conoscenza della situazione di partenza e del punto di arrivo, cioè dei due estremi del segmento relativo al percorso formativo. I punti di vista, tanto per l’inizio quanto per il traguardo, saranno relativi, come già detto, alla normativa ed ai soggetti interessati, e quindi in primo grado gli alunni.
Per quanto riguarda la norma, il punto di arrivo è ben specificato nel profilo dello studente al termine della scuola secondaria di i grado contenuto all’interno delle Indicazioni nazionali per il curricolo che riporta gli obiettivi generali del processo formativo. Per quanto riguarda, invece, il punto di partenza, con molta flessibilità di interpretazione, esso può essere inquadrato nel livello scolastico del ragazzo, anche se è un’affermazione da prendere con molta approssimazione.
Molto più articolato risulta il punto di partenza per quanto riguarda i ragazzi. Infatti, bisogna tener conto sia delle conoscenze pregresse di ognuno, sia delle caratteristiche personali, tra cui metodo di studio, modalità e tempi di apprendimento. Per quanto riguarda il punto finale, è pur vero che è stabilito dalla norma, ma la modalità di percorrenza dipende dall’autonoma scelta dell’istituzione, si pensi al PTOF, al Piano di Miglioramento ed alla programmazione annuale di ogni singolo Consiglio di Classe e di ogni singolo docente, ma è pur vero che ogni alunno raggiungerà i traguardi finali, simili per tutti, in modo diverso perché filtrati e curvati in base alle proprie caratteristiche individuali ed ai propri interessi.
È compito del docente portare a sintesi le istanze della norma con le potenzialità e con le aspettative di ogni singolo individuo. Ma non è finita. Infatti, è sempre viva la diatriba tra coloro che vorrebbero che tutti gli alunni raggiungessero gli stessi traguardi e coloro, invece, che reputano efficace, realistico e strumentale un percorso formativo calibrato in modo tale che ogni ragazzo, messo per quanto possibile nelle stesse condizioni di partenza ed a cui vengano date le stesse possibilità di tutti gli altri, raggiunga la propria migliore espressione. Il dettato costituzionale propende per questa seconda visione quando, all’art. 3, parla di “pieno sviluppo della persona umana”, una formula che ha una connotazione relativa, riferendosi, appunto, alla persona.
Come si evince facilmente da quanto finora detto, ipotizzare e stilare un progetto didattico non è certo cosa banale, al contrario è facile perdersi tra tutti i vincoli da rispettare, tra le esigenze da tenere in conto e, quindi, preparare un documento nient’affatto idoneo.
Per ridurre al minimo tal possibile e deludente risultato oltre alla dovuta attenzione e serietà di impegno, si può fare ricorso ad alcuni strumenti abbastanza semplici. In primo luogo, la progettazione di un percorso educativo non può essere un’attività individuale, ma deve essere esperita in forma collegiale, a partire dal Collegio dei Docenti, come nel caso del Piano Triennale dell’Offerta Formativa e del Piano di Miglioramento, e poi via via entrare sempre più nel dettaglio man mano che si scende a livello di Consiglio di Classe per continuare a livello di disciplina e di singolo alunno.
Altra cosa da fare è quella di suddividere tutto il percorso in parti più piccole, ognuna con il proprio punto di partenza e con i propri obiettivi. Piccole “scatole nere” strutturate come entità a sé stanti, ma collegate nell’unicum iniziale. Questo comporta il doversi concentrare, di volta in volta, su obiettivi parziali, le cosiddette milestone o pietre miliari, che permettono di avvicinare sempre più il soggetto al traguardo finale senza perder di vista la strada precedentemente tracciata. Il partizionamento del progetto permette una gestione più precisa e più puntuale facilitandone la messa in opera con la dovuta accuratezza.
Accanto a questa attività e per non perdere di vista il progetto nel suo insieme e la relativa esecuzione è consigliabile fare ricorso ad un altro strumento di cui abbiamo già parlato in questo blog: il cronoprogramma o diagramma di Gantt. Nella sua forma più semplice consiste in un foglio di calcolo su cui andremo a riportare le varie fasi in cui abbiamo suddiviso il nostro percorso con l’indicazione, per ognuna di esse, della data di inizio e della data di fine. Sulla rete è possibile trovare modelli di cronoprogrammi già pronti per essere personalizzati in base alle proprie esigenze.
Se il progetto si riferisce ad un percorso annuale, ma anche se si dovesse riferire ad un’UdA leggermente complessa sarebbe preferibile far ricorso ad una versione di cronoprogramma leggermente più complessa che permette di gestire anche gli avanzamenti parziali in forma percentuale e di indicare il responsabile di quella data fase. Al seguente link è possibile scaricare una versione di cronoprogramma con queste caratteristiche che ho trovato sul sito ufficiale della Microsoft Inc ®. Mi ripropongo, in un futuro non troppo lontano, di presentare tale versione in modo adeguato e, speriamo, completo per tutti coloro che fossero interessati al suo utilizzo.
Articoli correlati: