
La povertà educativa
L’uomo, sin dalla sua comparsa sulla terra, si è trovato a combattere contro la povertà ed a tutt’oggi tale battaglia è ancora in corso, seppure con mezzi diversi ed in un diverso contesto socio-economico. Sul sito del Consiglio d’Europa si legge questa definizione di povertà: «La povertà può essere definita come una condizione umana caratterizzata da privazione continua e cronica delle risorse, capacità, scelte, sicurezza e potere necessari per poter godere di uno standard di vita adeguato ed altri diritti civili, culturali, economici, politici e sociali».
Quando nel linguaggio comune si parla di povertà la mente va subito al fattore economico dimenticando tutte le conseguenze che esso comporta e che il Consiglio d’Europa ha prontamente elencato.
In questi ultimi due anni siamo stati costretti a confrontarci ancora più duramente con la povertà per la perdurante pandemia da Covid-19 ai cui nefasti effetti, dal febbraio di questo ultimo anno, si è aggiunto il cancro della guerra in Ucraina, che ha ulteriormente aggravato la situazione.
Anche in Italia, che fa parte del gruppo dei Paesi sviluppati, è in netto aumento tanto il numero di coloro che vivono in uno stato di povertà relativa quanto quello di coloro che sono costretti a vivere in condizione di povertà assoluta.
Penso sia opportuno riportare le definizioni di povertà assoluta e di povertà relativa, anch’esse presenti sul sito del Consiglio d’Europa.
Povertà assoluta: La povertà assoluta (chiamata anche estrema) è la mancanza di risorse sufficienti per assicurarsi i fabbisogni di base per vivere che, tra gli altri, includono: acqua potabile sicura, cibo e servizi sanitari. La linea di povertà è spesso calcolata in base al reddito: dove le entrate di una persona o di una famiglia vanno al di sotto del livello considerato minimo per uno standard di vita ragionevole, allora la persona o famiglia verrà considerata povera. Attualmente secondo la Banca Mondiale si è in povertà assoluta se si vive con meno di 1,25 dollari al giorno.
Povertà relativa: Una persona o una famiglia è considerata povera quando il reddito e le risorse sono peggiori di quanto si pensa sia adeguato o socialmente accettabile nella società in cui vivono.
In Italia, e più in generale in Europa, la povertà è vissuta ed avvertita come povertà relativa.
Rileggendo la definizione di povertà data dal Consiglio d’Europa voglio portare l’attenzione sulla carenza o mancanza cronica di risorse, senza aggettivi quindi di qualsiasi natura, che non permettono all’individuo ed alle famiglie «di godere di uno standard di vita adeguato ed altri diritti civili, culturali, economici, politici e sociali». Risuona nella mente l’art. 3 della nostra Costituzione che, al secondo capoverso, recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Passando nel campo dell’istruzione e dell’educazione, campo nel quale abbiamo deciso di operare, è bene porre attenzione alle carenze culturali. In presenza di una tale condizione si parla di povertà educativa, un effetto che riconosce diverse cause, agenti in sinergia l’una con l’altra.
La prima causa, la madre di tutte le cause, vera e propria scaturigine di tutte le altre, anche se non necessariamente l’unica, è senza dubbio la carenza o la mancanza di risorse economiche. Da una simile condizione ne discende un ambiente familiare culturalmente meno stimolante perché non in grado di fornire tutte le risorse necessarie. Un siffatto ambiente lo si può trovare anche in nuclei familiari con reddito medio e medio-alto, quando i ragazzi vengono abbandonati a loro stessi e non sono adeguatamente seguiti per motivazioni spesso legate agli impegni lavorativi di entrambi i genitori. Si pensi, poi, alla sperequazione di opportunità culturali tra maschi e femmine per ragioni spesso culturali, molto esasperate in nazioni quali l’Afghanistan o l’Iran.
Il concetto di povertà educativa fu ripreso alcuni anni fa dall’associazione Save the children che lo ha definito come «la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni». Non cadiamo nella facile e subdola trappola dello struzzo, non nascondiamo la testa nella sabbia pensando che questo stato di cose da noi, Paese civile, non accadano, non ci riguardano. In base ai dati INVALSI relativi all’anno scolastico 2020-2021, nelle scuole italiane gli alunni con famiglie di livello socio-economico e culturale medio-basso hanno fatto registrare, come conseguenza della pandemia, un calo significativo nei punteggi relativi alle prove di matematica e di italiano, in ogni ordine di scuola. La pandemia e la conseguente didattica a distanza hanno solo acuito una situazione preesistente, che forse tendeva a passare inosservata.
Abbiamo detto che la povertà economica è causa della povertà educativa che, a sua volta, provoca il perdurare delle cause che l’hanno originata, si viene, cioè, a creare un circolo vizioso che, come tale, si autoalimenta. Una volta si vedeva la scuola, con espressione per qualcuno discutibile, come un “ascensore sociale” e tale affermazione è vera, seppure in misura un po’ minore, ancora oggi. La crescita individuale è un obiettivo fissato dalla Costituzione perché si tramuta anche in una crescita della Nazione nel suo insieme e perché allenta le tensioni sociali aumentando, nel contempo, la coesione nel contesto della comunità.
Come è possibile interrompere tale circolo vizioso? La risposta non può non essere se non un’offerta educativa di qualità, marcatamente inclusiva, in grado di dare a tutti le stesse opportunità e progettando interventi ad personam per portare tutti al meglio delle loro potenzialità. La scuola di tutti e di ciascuno. Come richiesto, anche questo, dalla Costituzione quando all’art. 3 parla di “pieno sviluppo della persona umana”.
Cosa può fare la scuola?
Abbiamo appena affermato che le cause della povertà educativa sono molteplici e la scuola non può certo intervenire su tutte, né tanto meno eliminarle, ma qualche cosa può certamente fare, rimanendo pur sempre all’interno del suo compito istituzionale. Dobbiamo distinguere ciò che può fare l’istituzione, quindi lo Stato, da quello che può e deve fare l’insegnante nella propria classe.
Le aspettative che si hanno nei confronti dello Stato e del Governo in carica in quel determinato contesto temporale non dipendono certo dal Dirigente o dagli insegnanti, ma questi ultimi possono e debbono fare il loro, possono e debbono dare il proprio contributo.
La prima attività da mettere in campo è senza dubbio quella di migliorare il benessere dei ragazzi e la loro capacità di percepirsi quali soggetti attivi ed importanti di trasformazione.
Almeno all’interno della classe e dell’istituzione scolastica è necessario, come dovere etico e professionale, combattere tutte le differenze create dall’ambiente ed enfatizzare, di converso, le peculiarità personali, promuovere talenti, abilità e competenze personali, aiutare i ragazzi a sognare ed a realizzare i propri sogni fornendo loro i necessari strumenti culturali. In questa opera bisognerebbe camminare di pari passo con le famiglie, ma la loro eventuale assenza non deve assolutamente rappresentare una scusa per giustificare inerzie o inoperosità che servirebbero solo a mantenere o a potenziare le differenze che si registrano nella società. L’Agenda ONU 2030 mette al primo posto dei suoi 17 SDG’s (obiettivi per uno sviluppo sostenibile) “Sconfiggere la povertà” mentre l’obiettivo 4 è “Istruzione di qualità” ed il 5 è “Parità di genere”.
La scuola deve attivarsi e continuare con sempre maggiore determinazione questa delicata opera finalizzata a rimarginare le tante ferite che una società inaridita, narcisista e distratta infligge quotidianamente ai ragazzi.
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