Bias Cognitivi

Bias Cognitivi

27 Novembre 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Una volta si chiamavano pregiudizi, proprio nel significato lessicale del termine, cioè un giudizio dato a priori, senza tenere conto della realtà. Oggi, grazie alla disponibilità di un’enorme mole di informazioni, per quanto possa sembrare un paradosso, i pregiudizi o, se si preferisce i bias cognitivi, sono più presenti che mai. Basti pensare al razzismo, alla xenofobia, all’omofobia, oppure a quanti pregiudizi vi siano nel campo della politica per finire, molto meno prosaicamente, nel campo dello sport. Internet e tutti i vari social media hanno permesso la nascita di una nuova categoria: gli haters, cioè gli odiatori da tastiera, che si scagliano contro tutto e contro tutti con il solo fine della cattiveria gratuita.

Il bias cognitivo consiste nella distorsione della realtà, in una sua errata interpretazione o, peggio ancora, nel non considerare affatto la realtà nel formulare un giudizio o nel prendere una decisione.

Wikipedia definisce i bias cognitivi come: “giudizi (o pregiudizi) che non corrispondono necessariamente alla realtà, sviluppati sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, e che portano dunque ad un errore di valutazione o mancanza di oggettività di giudizio.

I bias cognitivi sono la negazione della cultura, sono in netto contrasto con le finalità della scuola e per questo la scuola non può e non deve sopportarli o ignorarli, ma deve fare di tutto per combatterli con le armi che le sono proprie: l’istruzione e la cultura. Tali distorsioni attecchiscono molto meglio ed in modo più virulento dove regna l’ignoranza e dove latitano spirito critico e riflessione.

Una società, sempre più basata sulla velocità e su un dinamismo spesso solo fine a sé stesso, non ha tempo, e neanche voglia, di una formazione basata, invece, sullo studio e sull’impegno, si accontenta di “farsi una cultura” attingendo ai messaggi ed alle notizie, molte delle quali si rivelano false (le cosiddette fake news), postate sui social da persone che non hanno alcun titolo accademico o semplicemente culturale da esibire.

Umberto Eco, per quanto riguarda questo aspetto, ha così stigmatizzato la situazione attuale: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino senza danneggiare la comunità. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Sono parole forti ma di sicuro non lontane dal vero.

Ogni individuo nel corso della giornata deve effettuare un numero enorme di scelte, senza che se ne renda conto, anche perché la maggior parte di esse sono di scarsa importanza. Per guadagnare tempo, seppure in modo inconscio, prenndiamo delle scorciatoie, diamo cioè delle risposte preconfezionate che risultano adeguate nella maggior parte dei casi. È un meccanismo automatico che la biologia ha messo in atto nel corso dell’evoluzione. E, come detto, nella maggior parte dei casi funziona. Ma non sempre. Durante il corso della vita, in base alle proprie esperienze, ognuno si crea degli stereotipi ed è proprio qui che nascono e si sedimentano i bias cognitivi.

Tutti noi, seppure in misura diversa, siamo vittima e portatori di bias cognitivi. Gli studiosi parlano di bias blind spot, una “zona cieca” della nostra consapevolezza che rende possibile l’instaurarsi di bias cognitivi perché proprio la consapevolezza, cioè la valutazione critica, viene messa da parte, è cieca, appunto. Il primo, necessario, passo per imparare a gestire i propri bias, le proprie distorsioni cognitive, è cercare di prenderne consapevolezza. Ad esempio, siamo portati a sentirci sempre molto più imparziali degli altri, ma la ragione ci dice che non sempre è così.

In base al processo evolutivo, i bias si dimostrano una risorsa positiva quando dobbiamo prendere delle decisioni rapide ed improvvise perché ci permettono di effettuare una scelta, spesso corretta, in un tempo brevissimo e con un minimo dispendio di energia cognitiva. Nel corso della giornata ciò comporta un risparmio apprezzabile di energia, il che è cosa buona.

Forse qualcuno avrà notato che ho sempre scritto “bias cognitivi”, al plurale, e si, perché essi sono diversi: alcuni studiosi sono arrivati a contarne circa 200! Limitiamoci ad accennarne solo qualcuno.

Bias di ancoraggio             consiste nel non mettere in discussione i dati su cui poggiano i nostri ragionamenti. Ne consegue che se questi dovessero essere sbagliati tutto il ragionamento successivo sarebbe sbagliato di conseguenza. Ogni docente dovrebbe, quindi, far capire ai ragazzi l’importanza di non dare nulla per scontato, ma di essere sempre critici su ciò che ascoltiamo o leggiamo.

Bias etnico   questa distorsione cognitiva ci porta a considerare migliori le persone del nostro stesso gruppo etnico o, in scala più ridotta, a noi più vicine. Esso, all’estremo, porta al razzismo ed alla xenofobia. Mi torna alla mente un aneddoto che riguarda il grande Albert Einstein che fu costretto a lasciare la Germania hitleriana per le sue origini ebraiche. Durante un ricevimento una signora gli chiese a qual razza si sentisse più vicino e lui rispose: «Alla razza umana, signora». Una risposta di classe che non ammetteva repliche.

Bias di conferma    in questo caso la distorsione consiste nel prendere in considerazione soltanto i fatti, i dati e le informazioni che confermano la tesi iniziale.

Effetto Pigmalione          o profezia auto-avverante. È, probabilmente, il bias cognitivo più diffuso tra i docenti e quello più conosciuto. Il docente si lascia condizionare dalla sua impressione, positiva o negativa, sul comportamento e/o sul profitto del ragazzo comportandosi di conseguenza. Se crede che il ragazzo sia poco educato, lo tratterà da maleducato fino a ‘convincere’ anche il ragazzo che, a posteriori, darà, seppure incossciamente, ragione al docente. Io sono stato vittima, fortunata, di un caso di effetto Pigmalione ai tempi delle superiori. Per una risposta corretta data al momento giusto, non ho più dovuto studiare (Perpiglia non lo interrogo perché so che è preparato) fino al diploma riportando sempre un ottimo voto in quella disciplina. Purtroppo è un fenomeno con un feedback positivo, cioè l’effetto potenzia la causa.

Effetto alone                    questo è un altro errore di valutazione del ragazzo dovuto ad una distorsione della realtà. Lasciamo che una caratteristica influenzi il nostro giudizio generale. Un ragazzo ben vestito ed educato, nella nostra mente, è anche un ragazzo intelligente e preparato, mentre un ragazzo disordinato e male in arnese, per chissà quale ragione, sarebbe uno che non studia e che si comporta male.

Bias del carro della banda musicale   in inglese fa molta più scena: bandwagon bias. Questo bias cognitivo è potenziato dai social media, infatti, indica la tendenza a seguire tanto più una convinzione quanto più essa è condivisa. Potenza dei like!

Effetto placebo è uno dei bias cognitivi più conosciuti in assoluto e ricorda da vicino l’effetto Pigmalione. E non è del tutto negativo. Infatti, è spesso utilizzato in medicina. Questo bias, più che dimostrare un difetto di progettazione del nostro cervello, mette in evidenza quanto potenti possano essere le nostre convinzioni.

Effetto Galatea con tale effetto si indica la condizione per cui il successo o l’insuccesso di una persona dipende dalle sue condizioni sulle proprie abilità. In altre parole, si fa riferimento all’autostima, obiettivo normalmente perseguito in tutte le classi ed in ogni ordine di scuola.

Bias dell’auto-attribuzione del merito         voglio chiudere con questo bias che, in misura maggiore o minore, tutti abbiamo messo in pratica. Esso, detto anche self-serving bias, ci porta a pensare che i successi sono solo merito nostro, mentre i fallimenti sono causati da fattori esterni o da altre persone.

Perché parlare di bias cognitivi a dei colleghi? Perché i bias sono presenti in noi e nei ragazzi. Per cercare di combatterne gli effetti negativi dobbiamo avere consapevolezza tanto dei nostri bias cognitivi quanto di quelli degli alunni per aiutarli a realizzarsi al meglio.

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