La Warm Cognition

La Warm Cognition

13 Novembre 2022 0 Di giuseppe perpiglia

È iniziato un nuovo anno scolastico e, come si conviene in questi casi, i buoni propositi si sono sprecati. Ogni inizio deve portare con sé la voglia di cambiamento, la tensione verso il miglioramento, la riflessione critica verso quanto si è fatto per attenuare le criticità e potenziare i punti di forza.

Tutto ciò dovrebbe essere ancora più vero e più sentito nel mondo della scuola, alla quale la società ha affidato una responsabilità enorme: la formazione di bambini e di ragazzi o, se si preferisce, il futuro della società stessa. «La scuola è il nostro passaporto per il futuro, perché il domani appartiene a coloro che oggi si preparano ad affrontarlo». È una frase pronunciata da Malcom X, carismatico politico statunitense, attivista per i diritti civili degli afro-americani, ucciso nel 1965, durante un comizio, con 7 colpi di pistola. Il futuro della società dipende, quindi, da quello che facciamo oggi e noi abbiamo il delicato compito di insegnare. Ma qual è la strada per cercare di farlo al meglio?

È la classica domanda da un milione di dollari tanto da sembrare una domanda retorica, cioè una domanda che, piuttosto che una risposta, è posta per stimolare le riflessioni di ognuno.

I pedagogisti propongono sempre nuovi approcci, nuovi punti di osservazione e di studio con la speranza di avvicinarsi sempre più, seppure in modo asintotico, ad una formula risolutiva che non può esistere. Non si tratta di pessimismo o, peggio, di disfattismo, ma solo di razionalità. Una formula, infatti, prevede e rivendica, una standardizzazione, una consequenzialità di causa ed effetto, che, avendo a che fare con persone ognuna diversa dall’altra, non possono esistere. Quello che dobbiamo ricercare sono delle linee guida, delle strategie ad ampio raggio che permettano la loro curvatura su ogni singola personalità e sulle peculiarità dei contesti su cui vengano applicate.

L’ultima proposta pedagogica, in ordine di tempo, è la warm cognition. Attualmente è poco più di un filone di ricerca, per quanto promettente, che collega strettamente il processo di apprendimento ed i risultati delle proposte didattiche alle emozioni. In realtà, non possiamo certo affermare che si tratti di qualcosa di nuovo e di rivoluzionario se già gli antichi romani affermavano che bisognava ludendo docere, cioè insegnare divertendo, se si voleva un apprendimento migliore. Anche Piero Angela, il noto divulgatore scientifico da poco scomparso, era convinto di ciò, come dimostrato da tutta la sua attività compendiata nella seguente dichiarazione: «Tutti coloro che si occupano di insegnamento dovrebbero ricordare continuamente l’antico motto latino “ludendo docere”, cioè insegnare divertendo. Se si riesce infatti a inserire l’aspetto del “gioco” (nel senso dell’interesse) eccitando così le motivazioni individuali e accendendo i cervelli, si riesce a moltiplicare in modo altissimo l’efficienza dell’informazione, dell’insegnamento, della comunicazione. Perché l’interessato “ci sta”. È stimolato, partecipa, ricorda. E impara».

Purtroppo ancora oggi, all’idea di scuola ognuno di noi associa emozioni non sempre piacevoli. Quello che spinge i ragazzi ad andare a scuola è solo l’incontro con gli amici ed i momenti di socializzazione, molto più raramente l’incontro e la relazione con i docenti, salvo rare eccezioni, o con la conoscenza. La motivazione della stragrande maggioranza dei ragazzi verso l’impegno personale, è, paradossalmente ma non tanto, la paura: paura dell’interrogazione, del compito in classe, del voto, con lo spauracchio, non sia mai, della bocciatura. A questo bisogna aggiungere il senso di colpa inculcato dagli adulti per gli errori che fatalmente si commettono nella fase di apprendimento di un qualsivoglia argomento. In questo modo non si trasmette l’amore per la conoscenza in quanto al processo di apprendimento si associano emozioni spiacevoli.

La neuroscienziata Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università degli Studi di Padova, che si occupa di warm cognition afferma che la scuola italiana, come abbiamo appena detto, inculca paura e colpa ed indica una via per liberarsene. Gli studi sulla warm cognition dimostrano che accompagnare l’entusiasmo e la positività all’apprendimento facilita gli studi e permette di ottenere risultati molto migliori.

La professoressa, in un’intervista, ha affermato che una scuola basata sulla paura e sul senso di colpa provoca un cortocircuito emozionale, cioè situazioni di difficoltà emotiva, paura e dolore che rendono difficile l’apprendimento, in particolare in chi abbia un’infanzia problematica.

Nella stessa intervista, la professoressa continua riprendendo una considerazione popolare secondo la quale si raccoglie solo ciò che si semina, per cui se vogliamo il benessere dei nostri alunni dobbiamo seminare benessere e se vogliamo fiducia dobbiamo seminare fiducia.

In questa ottica, sempre secondo la professoressa Lucangeli, il bravo insegnante «è magister, è colui che aiuta ad apprendere, che dà fiducia e coraggio, e che non soltanto giudica e verifica quanto le informazioni fornite sono passivamente mantenute in memorie prestazionali. A tal proposito, mi viene in mente una frase del celebre pedagogista sovietico Lev Semënovič Vygotskij che recita così: “Diventiamo noi stessi attraverso gli altri”. Ecco, questo pensiero dovrebbe ricordare a insegnanti e educatori che con il loro lavoro hanno delle enormi responsabilità ma anche immense potenzialità: in ogni istante della loro azione educativa stanno lasciando un segno in una persona che sta costruendo, non soltanto un bagaglio di nozioni e procedure, ma il proprio Sé, la propria intelligenza, la struttura del suo pensiero, l’organizzazione del suo sentire e la percezione del proprio talento. Non è romanticismo, ma scienza».

Grazie agli studi sulla warm cognition, continua, «abbiamo imparato che le nozioni si stabilizzano insieme alle emozioni e quest’ultime, a loro volta, influiscono concretamente sui processi cognitivi, come attenzione, memoria, comprensione. Significa che se un bambino impara con curiosità, interesse, impara di più e meglio. Se è sostenuto, guardato e incoraggiato da un insegnante che si pone come suo alleato, nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva, portatrice del messaggio: “Ti fa bene, continua a cercare”». È il trionfo dell’intelligenza emotiva e dell’affettività applicate alla didattica ed all’insegnamento.

Quanto finora detto non ci deve indurre nell’errore di mettere in atto una didattica basata sul buonismo e sul lassismo, sul lasciar fare per “non turbare l’equilibrio psico-fisico” del bambino o del ragazzo come abbiamo sentito pontificare da qualche eminente studioso. Il bambino, o ragazzo che sia, che sbaglia deve essere messo nella condizione di capire il suo errore, deve essere aiutato a prenderne consapevolezza. L’accortezza necessaria, però, è mantenere l’attenzione sull’errore e non sulla persona. Un buon docente deve essere in grado di sfruttare l’errore in chiave positiva, deve approfittare di queste occasioni per fare capire meglio, per spiegare ancora una volta e più compiutamnete il concetto che vuol far passare e spingere il ragazzo a fare meglio puntando sulle sue positività spronandolo ad utilizzare le sue potenzialità. Deve spronarlo a fare meglio, non con lo spauracchio del brutto voto, ma facendogli sentire la sua vicinanza ed infondendogli fiducia negli altri e, ancor di più, nei propri mezzi.

Non sono infrequenti casi in cui i genitori si sostituiscono in tutto o in parte ai loro figli nello svolgimento dei compiti a casa. Siamo sempre alle solite! Una cosa è l’aiuto, la vicinanza, ben altra cosa è la sussidiarietà, il sostituirsi al soggetto in crescita! Se ci si sostituisce al figlio o allo studente, i ragazzi cresceranno con la convinzione che ci sarà sempre qualcuno ad affrontare i loro problemi e quando, invece, si troveranno soli, si sentiranno persi, disorientati, senza saper cosa fare, quali decisioni prendere. Avremmo cresciuto dei “bamboccioni” incapaci di inserirsi pienamente nella società.

Per concludere ritorniamo al nocciolo della warm cognition. Secondo la più volte citata professoressa Lucangeli tale nocciolo consiste nel forte ed imprescindibile legame tra emozioni ed apprendimento. In altri termini, un ragazzo felice impara prima e meglio. Quando, invece, il processo di apprendimento genera paura ed ansia si ha un effetto negativo anche sull’autostima, lo studente si blocca e non riesce più a imparare. «Questo accade perché emozione e cognizione sono due facce della stessa medaglia, fortemente interconnesse fra loro e che operano a livelli ancestrali. Dobbiamo fare in modo di tracciare gli apprendimenti con delle emozioni positive e ciò può accadere soltanto se instauriamo un’alleanza con il bambino, in cui l’errore è il nemico da sconfiggere».

Si capisce, quindi, come sia importante che l’insegnante non basi il rapporto con l’alunno sul giudizio perché ciò causerebbe paura ma anche senso di colpa e di incapacità. Ogni insegnante dovrebbe, invece, fare leva su emozioni positive come la motivazione allo studio, la gratificazione, il senso di autoefficacia. Questi meccanismi cognitivi, infatti, sono considerati dalla ricerca dei fattori predittivi positivi per il successo scolastico e favoriscono i processi di apprendimento.

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