Scuola o impresa?

Scuola o impresa?

6 Novembre 2022 0 Di giuseppe perpiglia

L’onorevole Letizia Moratti, nel suo ruolo di titolare del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, allora si chiamava così, oltre al portfolio, che io personalmente ho condiviso ed a cui continuo ad essere favorevole, introdusse il progetto delle tre “I”: inglese, informatica ed Impresa.

Va bene il potenziamento dell’insegnamento della lingua inglese che è diventata, ormai da tempo, la lingua ufficiale della società globalizzata. Potenziare l’insegnamento della lingua inglese ha comportato il ricorso ad insegnanti specializzati da inserire della scuola primaria. Nella scuola secondaria di primo grado, poi, l’offerta formativa viene ampliata con l’insegnamento di una seconda lingua comunitaria da scegliere tra francese, spagnolo o tedesco. Ed anche questa è una cosa buona.

La mia nipotina, 16 mesi, la più bella cosa mai creata, come i nipotini di chiunque di noi ha la fortuna di essere nonno/a, ha cominciato a frequentare il nido da giorno 5 settembre ed anche lei si misurerà con l’insegnamento della lingua inglese! Si trova a Milano e frequenta una struttura privata. Penso che sarà ben difficile effettuare la valutazione degli eventuali apprendimenti in quanto mamma e papà sono termini che superano le barriere linguistiche.

Bene anche la maggiore attenzione da dedicare all’insegnamento dell’informatica che ormai ha invaso ogni campo e senza la quale non sapremmo neanche immaginare la nostra vita. Dalla lavatrice, alla lavastoviglie, al frigo, al forno a microonde ed a qualsiasi altra cosa, l’informatica guida i nostri passi, li facilita. Il rovescio della medaglia è facile da capire. Consiste nel rischio, reale, di divenirne prigionieri per ignoranza, cioè per non conoscenza di questo potentissimo strumento.

Pensiamo al nostro mondo, quello della scuola. le iscrizioni si fanno on line e se una famiglia non possiede gli strumenti necessari, compresi quelli culturali, si trova in grandi ambasce. I docenti devono inserire le assenze, i voti, i giudizi e quant’altro sul registro elettronico e se non sono adeguatamente preparati possono combinare pasticci o, comunque, perdere molto tempo, il che non giova al loro rapporto con l’istituzione nel suo complesso. Inoltre, la pandemia, che ancora non demorde e non ha allentato la sua presa, ci ha costretto tenere le nostre lezioni in modalità telematica. Ancora un esempio, l’ultimo. L’altro giorno avevo bisogno di un’impegnativa per uno dei numerosi farmaci che mi sono stati prescritti, ma non me la sentivo proprio di andare presso l’ambulatorio del medico di famiglia. Ho inviato una comunicazione con WhatsApp e dopo poco più di 30 minuti mi è stata inviata, con lo stesso mezzo, l’impegnativa desiderata. Restando in ambito medico, un’altra volta, mi sono recato in farmacia, sono un habitué, per prendere un farmaco ma non ricordavo se utilizzavo la confezione da 25mg o da 50 mg. Il farmacista, molto gentile e professionale, smanetta qualche istante sul suo computer e mi fornisce la corretta confezione in base alla prescrizione del medico.

Bene! Ritorniamo alle nostre modeste considerazioni.

Palando di informatica a scuola dobbiamo fare un distinguo importante. L’informatica è un mondo complesso che presenta sfaccettature diverse e che è possibile affrontare da punti di vista altrettanto diversi, il tutto reso ancora più complesso dall’essere una scienza applicata. Quest’ultima caratteristica mette nel calderone anche la conoscenza della scienza a cui l’informatica viene applicata.

In primo luogo dobbiamo considerare la conoscenza del mezzo fisico, quello conosciuto come hardware, almeno nella sua essenzialità strumentale, ma questo esula dai compiti della scuola, a meno che non si tratti di un istituto ad indirizzo specifico.

In secondo luogo, bisogna porre l’attenzione sul software, cioè sulla serie di comandi codificati che forniscono le istruzioni al computer. In questo caso, è molto probabile che i ragazzi possano insegnarci più di qualche cosa. Quello che la scuola dovrebbe fornire sono senza dubbio i rudimenti per un utilizzo strumentale almeno di quelle serie di programmi coordinati noti come suite finalizzate alla produttività individuale (MS-Office, OpenOffice, Libre Office, …) tipicamente costituite da un elaboratore testi, un foglio di calcolo, un programma per realizzare presentazioni multimediali e, non sempre, di un programma per gestire un archivio (database). Il docente è chiamato in causa perché dia gli strumenti culturali di base per un proficuo utilizzo di questi programmi. Non viene certo richiesto di approntare un corso specifico per illustrare l’uso di questo o quel software. In altri termini la scuola non dovrebbe occuparsi del come utilizzare, ad esempio, un software per l’elaborazione dei testi, ma molto di più del quanto e del perché, facendo intravedere cosa sia possibile realizzare con esso. Se pensiamo al classico giornalino scolastico si comprende subito quali nuovi orizzonti possano aprirsi grazie ai numerosi software offerti dalla rete, moltissimi dei quali in modo completamente gratuito.

Per porre termine a questa rapida carrellata, la scuola è chiamata a fornire gli strumenti di pensiero che stanno alla base dell’informatica e che servono a risolvere le situazioni problematiche che incontriamo tutti i giorni, a prescindere dall’ambiente scolastico.

Anche la norma si è occupata di questo importante filone con la proposta culturale del coding o pensiero computazionale. Qualche collega ha subito pensato, sbagliando, che avrebbe dovuto insegnare un qualche linguaggio di programmazione, ma sappiamo bene che non è così. L’insegnamento del pensiero computazionale o coding è contenuto nel documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari, pubblicato nel 2018 ad integrazione delle Indicazioni nazionali pubblicate nel 2012 con il titolo Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Per quanto riguarda, quindi, l’insegnamento dell’informatica a scuola il fattore dirimente è quello di favorire gli strumenti di base per applicarne le potenzialità all’argomento di studio o al prodotto finale previsto in fase di progettazione.

Ritornando alla riforma Moratti ed alle sue tre “I” rimane di occuparci, dopo l’inglese e l’informatica, solo della “I” di impresa.

La riforma dell’ex ministra Moratti ha solo normato e preso atto di una deriva efficientista che nella scuola italiana era già in essere da qualche tempo. L’effetto sin da subito più appariscente è stato la trasformazione della posizione funzionale che ha trasformato il Preside in Dirigente. Si tratta di due figure che, per quanto possano sembrare istituzionalmente vicine, hanno peculiarità molto distanti. Il Preside, infatti, oltre a mettere in pratica ed ottemperare alle norme ed alle circolari emanate dal Ministero, rappresentava il riferimento pedagogico e professionale in campo didattico. Il Dirigente, dal suo canto, è investito di maggiore responsabilità, che discende dalla normativa inerente all’autonomia organizzativa in base al D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, a sua volta emanato in base alla Legge 15 marzo 1997, n. 59. Tali norme dovrebbero consentire di dare al servizio scolastico flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia e di realizzare l’integrazione e il miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, anche attraverso l’introduzione e la diffusione di tecnologie innovative. Tutte decisioni che ricadono sulla diretta responsabilità del Dirigente, appunto. Il rovescio della medaglia è che tale maggiore responsabilità ha messo in secondo piano, depotenziandola fin quasi farla svanire, la sua funzione di guida sicura ed autorevole in campo professionale a favore della classe docente. Tutta l’attenzione del Dirigente è attualmente assorbita dalla gestione burocratica ed amministrativa finalizzata ad avere un bilancio in regola, a prova di controllo da parte dei Revisori dei Conti, vero e proprio incubo di ogni dirigente scolastico.

Il Dirigente scolastico sente come suo compito principale e quasi unico quello di far funzionare al meglio l’impresa-scuola.

Il sacro fuoco dell’efficientismo non ha risparmiato neanche le attività didattiche ora finalizzate, in buona sostanza, alla produzione mettendo in secondo piano la formazione del pensiero e la promozione della creatività e dell’espressività. In altri termini, si dà molta importanza all’output e molto meno all’outcome, cioè ci si focalizza molto di più sul prodotto immediato rispetto alle conseguenze a lungo termine, che poi sono quelle che dovrebbero costituire il fine ultimo dell’istruzione e della formazione.

In questa stessa direzione va la moda o la tendenza a stendere progetti, in special modo quelli che possono portare fondi all’istituzione. La scuola è un’agenzia educativa formale per cui i suoi interventi devono essere strutturalmente finalizzati, razionali ed efficaci. Questo comporta che a monte vi sia un’attività progettuale seria. L’attività progettuale primaria, però, è quella che sottende alla stesura del PTOF e del Piano di Miglioramento o ancora, a livello delle singole classi, alla programmazione annuale. Tutto il resto ben venga se il progetto è strumentale all’ampliamento ed all’approfondimento dell’offerta formativa. Ben altra cosa è il progetto fatto giusto per darsi un tono, per far vedere che “si lavora” o magari per cercare di accalappiare qualche alunno in più.

L’offerta formativa deve essere strutturata in modo compatto e razionale per far sì che la scuola possa assolvere alla sua funzione primaria e precipua.

Per concludere sono una piccola chiosa, un pensiero alla classe politica che in questi giorni sta dando il meglio di sé per via della campagna elettorale in vista delle prossime elezioni. Se la scuola è un’impresa dovrebbe essere considera tale sempre e comunque, quindi anche dal punto di vista degli investimenti. In un’impresa che si rispetti, si progetta il futuro per cercare e per inseguire un continuo miglioramento. È chiaro che se i tagli, lineari o meno che siano, prevalgono sugli investimenti, come nel caso del nostro sistema di istruzione e formazione, l’impresa sarà destinata, in un tempo più o meno lungo, a chiudere i battenti. E l’impressione che si voglia smantellare la scuola pubblica diventa ogni giorno più forte.

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(*) Possono essere utilizzati anche nella didattica in presenza in presenza della LIM