Ore 10: lezione di emozioni

Ore 10: lezione di emozioni

16 Ottobre 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Durante la mia solita passeggiata quotidiana in rete mi sono imbattuto in due articoli correlati tra loro su un argomento a me caro e che ho spesso trattato su questo blog: l’empatia.

Il primo articolo riporta un passo di un’intervista, risalente al 2019, al filosofo Umberto Galimberti e postato su una sua pagina Facebook. Il secondo, invece, l’ho trovato sul sito www.scuola.net. Sono due articoli che si occupano di empatia da due diversi punti di vista, diversi ma, a mio modesto parere, non in conflitto.

Il filosofo Galimberti nei suoi diversi interventi è sempre molto critico verso il mondo della scuola, infatti spesso fustiga costumi, abitudini ed atteggiamenti dell’istituzione nel suo complesso, del corpo docente e delle famiglie. Questa volta le sue critiche sono rivolte alla classe docente, in particolare si è scagliato contro quei docenti che si dimostrano chiaramente inadatti alla loro funzione di educatori. Per fare tutta la chiarezza possibile, e lungi da me l’idea di voler prendere la difesa acritica di costoro, ritengo opportuno notare che la colpa non è da assegnare ai docenti in modo completo. Da supplente ho sempre affermato che, se non fossi stato reputato adeguato all’insegnamento dovevo essere allontanato, per il bene dei ragazzi che mi sarebbero stati affidati.

Nell’articolo citato, che riporto integralmente, Galimberti afferma: «L’insegnante deve insegnare. Per farlo serve una capacità empatica e comunicativa, la fascinazione. Se non apri il cuore, non apri nemmeno la testa delle persone. Gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità che valuti queste cose. Se uno non sa affascinare è meglio che cambi lavoro […]

Educare vuol dire condurre qualcuno all’evoluzione, dall’impulso all’emozione, dall’emozione al sentimento. Un ragazzo che ha sentimento non brucia un migrante che dorme su una panchina, non picchia un disabile. Se queste cose accadono è perché la scuola non ha educato. Per educare bisogna avere a che fare con la soggettività degli studenti, che oggi è messa fuori gioco. Se è vero che al posto dei temi si fa la comprensione del testo scritto, si è spostata la valutazione dalla soggettività alla prestazione. A questo punto è chiaro che anche la scuola è serva del modello tecnico. I ragazzi non contano più come soggetti ma solo nelle loro prestazioni […] 

È più facile correggere una comprensione del testo scritta che un tema. La realtà è che siamo passati da una scuola umanistica a un’educazione anglosassone, perdendo un’infinità di valori della prima. La scuola anglosassone è empirismo, pragmatismo, valutazione oggettiva […]

Se uno non sa affascinare, comunicare, non può fare il maestro, il professore. Lo dice Platone: si impara per imitazione. Io aggiungerei anche per plagio. Preferisco un docente che plagia i ragazzi che uno che li demotiva. Direi loro che il ruolo va abolito.

Se uno non funziona lo sanno tutti ma non si può far nulla, perché è di ruolo. Che cos’è questa parola? Nessuno è di ruolo nella vita. Se un docente non è all’altezza va messo fuori gioco. Perché se si licenziano operai là dove si producono oggetti non lo si fa dove si formano le persone?»

Galimberti mette tanta carne al fuoco per cui mi riservo, in un prossimo futuro, di porre le mie riflessioni sui vari punti toccati. Per quanto riguarda l’eventuale inadeguatezza dei docenti è difficile non essere d’accordo con quanto affermato dal filosofo, però mi sembra che parta, per la sua filippica, dalla fine, dall’effetto ultimo. Mi spiego.

La classe docente e, in generale, il mondo della scuola è andato sempre più a perdere credibilità e legittimazione sociale e non solo per proprie colpe. Una classe politica miope e sempre più arroccata nella sua torre d’avorio ed avulsa dalla vita pulsante del Paese ha cominciato, da tempo, a considerare la scuola come una spesa infruttuosa che poteva essere fatta oggetto dei famosi tagli lineari, tanto cari ai nostri baldi economisti. Questo comportamento ha innescato un circolo vizioso che ha portato alla situazione che oggi viene lamentata dal filosofo Galimberti. Quando due ministri in carica, l’onorevole Brunetta e l’onorevole Bussetti, a cui fa eco qualche giornalista in cerca di facili consensi, buttano discredito sulla scuola non si può certo pretendere che la motivazione dei docenti sia alle stelle. Altro fattore che ha portato ad una classe docente che presenta qualche criticità di troppo è legata alle retribuzioni che sono tra le più basse in Europa. La professione del docente, perché professionisti siamo e vorremmo essere considerati, è diventata sempre meno appetibile: scarsa considerazione sociale ed ancora più scarsa retribuzione a fronte di richieste sempre più impegnative. Non è una mera rivendicazione sindacale, per altro legittima, ma solo la volontà di focalizzare l’attenzione su una variabile in grado di influenzare tutto il sistema di istruzione e formazione.

Ritornando al discorso precedente, il problema non è tanto l’eventualità di prevedere il licenziamento per incapacità, quanto quello di rendere efficaci ed adeguate le regole di ingaggio. I concorsi attualmente previsti sono finalizzati, quando correttamente esperiti, a valutare, anzi a verificare, la preparazione disciplinare, tutto il resto viene praticamente escluso. Nella formazione di un docente, di un educatore, di un formatore penso che la componente disciplinare sia praticamente secondaria. La sua importanza cresce con l’età degli alunni e, quindi, con il grado scolastico. Nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado molta importanza riveste la relazione con l’alunno, il rapporto interpersonale con un soggetto che deve essere visto come persona con un proprio vissuto e proprie aspettative ed aspirazioni.

Eravamo partiti, come recita il titolo, dalle emozioni e, quindi, dall’empatia.

Sono completamente d’accordo, e non potrebbe essere altrimenti, con il filosofo Galimberti quando afferma che per insegnare bisogna avere capacità empatica e comunicativa, che il docente deve essere in grado di affascinare perché per insegnare veramente bisogna aprire il cuore delle persone. Ma aprire il cuore vuol dire, a sua volta, saper creare e essere in grado di far vivere delle emozioni.

Aristotele, già nel IV secolo a.C. affermava che «Educare la mente senza educare il cuore, non è educazione».

Ecco, allora, che la scuola deve diventare il luogo delle emozioni, un luogo dove il ragazzo impara anche cosa voglia dire emozionarsi e, quindi, anche a riconoscere ed a rispettare le emozioni proprie ed altrui ed a saperle gestire al meglio: viverle senza lasciarsene sopraffare.

Il docente, dal canto suo, deve imparare a leggere le emozioni del ragazzo, anche e soprattutto quelle non espresse, deve conoscerlo a fondo per sapere quali argomenti deve proporre e, ancor di più, come proporli in modo tale da far nascere in lui l’emozione della scoperta, la fascinazione del mondo.

Mi sono dilungato a parlare del primo articolo, e me ne scuso, per cui ora passiamo a qualche riflessione sul secondo articolo che ha un contenuto diverso ma non distante. Si tratta di un articolo che ho letto su una pagina del sito www.scuola.net e ci informa che la Camera dei Deputati ha approvato, praticamente all’unanimità (340 voti favorevoli, nessun contrario), la proposta di Legge n. 2782 dal titolo “Disposizioni in materia di insegnamento sperimentale dell’educazione all’intelligenza emotiva nelle scuole di ogni ordine e grado”, presentata il 13 novembre 2020.

La proposta legislativa si prefigge l’introduzione delle competenze non cognitive a scuola e la valorizzazione delle competenze emotive nei programmi didattici. Quando anche il Senato la approverà diverrà legge dello Stato e le competenze emotive ed in genere le competenze non cognitive diverranno materie di studio e di proposta educativa.

Una volta approvata anche dal Senato, la riforma introdurrà una piccola rivoluzione nel settore educativo. A partire dall’avvio dal prossimo anno scolastico, infatti, in caso di iter positivo, inizierà una sperimentazione volontaria nazionale per l’inserimento di attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive e un’attività di formazione dei docenti.

Non voglio sminuirne l’importanza, al contrario! Bisogna dire, però, che sarebbe solo l’istituzionalizzazione di qualche cosa che già si fa in molte scuole ed in numerose classi, ed anche bene. Certo, la didattica trasmissiva, quella didattica che si ostina a dare un servizio standardizzato a dispetto della meravigliosa diversità presentata dai ragazzi, è dura a morire, però qualche cosa si sta muovendo.

Anche lo stesso insegnamento di educazione civica, al di là di leggi e norme da conoscere e da imparare, va, per altro, in questa direzione.

In una società in  sempre più rapido divenire, le nozioni in quanto tali perdono valore ed importanza a scapito delle competenze, anche e soprattutto quelle non cognitive. Queste ultime, note anche con la notazione inglese life skills (competenze per la vita), sono il necessario e fertile humus dove crescono comportamenti positivi e capacità di adattamento e, in genere, quelle abilità in grado di creare benessere sociale per sé e per gli altri.

Tanti docenti che rimpiangono i bei tempi andati quando i ragazzi “sapevano tante cose” dovrebbe rendersi conto che, per rendere molto più efficace l’apprendimento, bisogna essere inseriti in un gruppo classe accogliente, in un gruppo classe che ti capisce e che capisce e supporti il tuo stato d’animo, un gruppo classe che sappia riconoscere e gestire le emozioni di tutti e di ciascuno.

E la proposta di legge va in questa direzione. Anche in questo caso i firmatari della legge si sono affrettati a sottolineare che non sono previste ore aggiuntive e men che meno docenti dedicati. Precisazione inutile perché lo sappiamo e ci siamo abituati. A scuola tutte le novità, anche le più pregnanti, debbono essere condotte a costo zero. È stata prevista, e questa è una decisione razionale e dovuta, la formazione dei docenti.

La formazione in servizio è una questione che dovrebbe essere affrontata con maggiore decisione e determinazione dai diversi soggetti coinvolti, dovrebbe essere un cavallo di battaglia dei sindacati perché una buona formazione porterebbe ad una riqualificazione di una classe professionale, quella docente, abbandonata a sé stessa. Ma questo è un altro discorso.

La corretta gestione delle proprie emozioni che dovrebbe far seguito alla capacità di saperle cogliere, sia da parte degli alunni ed ancor prima da parte dei docenti, avrebbe importanti effetti ed efficaci ricadute in molti campi. In primis, per quanto prima accennato, nel campo degli apprendimenti tanto cari a molti colleghi.

Per concludere due parole sulle competenze non cognitive o life skills mi sembrano doverose. Con l’espressione competenze non cognitive si indicano tutte le abilità umane e sociali non legate alla cognizione, ma necessarie per lo sviluppo. Al pari delle cosiddette competenze trasversali permettono agli studenti di possedere capacità di gestione dello stress, empatia, problem solving, motivazione e proattività.

Già nel lontano 1993 l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è preoccupata di stilare, per la prima volta, l’elenco delle life skill essenziali, che tutti dovrebbero curare:

  • consapevolezza di sé;
  • gestione delle emozioni;
  • gestione dello stress;
  • comunicazione efficace;
  • relazioni efficaci;
  • empatia;
  • pensiero creativo;
  • pensiero critico;
  • prendere decisioni;
  • risolvere problemi.

A queste va naturalmente aggiunta anche l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di leggere, interpretare e gestire le proprie e le altrui emozioni.

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