
Bullismo e Patto di Corresponsabilità
Molti e diversificati sono gli obiettivi formativi che la scuola si deve porre e deve perseguire. Tra quelli più importanti possiamo sicuramente inserire il senso di responsabilità di ogni alunno. Maggiore è l’età dell’alunno e, chiaramente, maggiore sarà la responsabilità che gli si richiede.
Nell’ormai lontano 1998 venne emanato il DPR 24 giugno 1998, n. 249[1] che introduceva lo Statuto delle studentesse e degli studenti. Fu un atto normativo che segnò un vero e proprio spartiacque, infatti riconosceva, anche formalmente e giuridicamente, l’evidenza che gli alunni fossero persone e, quindi, titolari di diritti. Con il passare del tempo, però, ci si rese conto che, così come previsto anche dalla Costituzione, a fianco dei diritti bisognava prevedere anche i corrispondenti doveri. Fu così apportata una modifica al DPR 249/1998 e contenuta nel DPR 21 novembre 2007 (entrato in vigore il 2 gennaio 2008) -Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria-, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 293 del 18-12-2007. La modifica consisteva nell’inserimento dell’art. 5-bis con cui veniva introdotto il Patto educativo di corresponsabilità che chiamava, e tuttora chiama, in causa, oltre la scuola, anche l’alunno e la famiglia.
Il citato art. 5-bis, che porta il titolo “Patto educativo di corresponsabilità” si compone di tre commi che si riportano integralmente:
- Contestualmente all’iscrizione alla singola istituzione scolastica, è richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie.
- I singoli regolamenti di istituto disciplinano le procedure di sottoscrizione nonché di elaborazione e revisione condivisa, del patto di cui al comma 1.
- Nell’ambito delle prime due settimane di inizio delle attività didattiche, ciascuna istituzione scolastica pone in essere le iniziative più idonee per le opportune attività di accoglienza dei nuovi studenti, per la presentazione e la condivisione dello statuto delle studentesse e degli studenti, del piano dell’offerta formativa, dei regolamenti di istituto e del patto educativo di corresponsabilità.
Nell’alveo dell’autonomia, alle singole istituzioni scolastiche è lasciato un margine per adeguare al meglio la norma al proprio bacino di utenza.
Da notare che nel comma 1 viene utilizzato l’aggettivo, per nulla secondario, “condivisa” rivolto alla maniera con cui presentare i diritti ed i doveri a genitori e studenti. Spesso, però, le scuole, motu proprio, elaborano il patto educativo e lo propongono tal quale alle famiglie che sono chiamate a firmare a scatola chiusa, cosa che porta ad effetti molto più limitati sulla valenza e sul rispetto di detto patto.
Una particolare riflessione merita il comma 3 in cui viene espressamente richiesto all’istituzione di organizzare, nelle prime due settimane dall’inizio delle attività didattiche, una giornata per l’accoglienza dei nuovi alunni e, cosa ancora più importante, per la presentazione e per la condivisione di quei documenti che chiamano direttamente in causa la famiglia: lo statuto delle studentesse e degli studenti, il regolamento di disciplina della scuola, il piano dell’offerta formativa ed il patto educativo di corresponsabilità. Quest’ultimo deve essere firmato, oltre che dal dirigente scolastico, anche da genitori ed alunni, contestualmente all’iscrizione nella scuola secondaria di I grado. In tale documento, che non deve certo essere considerato un mero atto burocratico, le tre componenti sono chiamate a rispettare i principi ed i comportamenti in esso enunciati.
Ma, cosa succede se un genitore non firma il patto di corresponsabilità?
Alcuni dirigenti particolarmente “duri” in casi simili rifiutano l’iscrizione, ma non esiste alcuna sentenza o norma che dica con certezza che tale presa di posizione sia lecita e quindi lo stesso dirigente rischia di andare incontro ad un contenzioso che, quasi certamente, lo vedrà perdente.
Detto ciò, è bene ricordare che il patto educativo di corresponsabilità ha natura contrattuale e, quindi, non può prescindere dal consenso di entrambe le parti, più specificamente dei genitori, dal momento che il documento è predisposto, a dispetto della norma (comma 1) unilateralmente dalla scuola. Il rifiuto genitoriale, per quanto possibile, è una spada di Damocle sulla testa degli stessi genitori nel momento in cui lo studente risultasse autore di condotte devianti, le cui conseguenze dannose non siano, in tutto o in parte, riconducibili a una carente vigilanza. In una simile evenienza, infatti, i genitori potrebbero essere accusati di culpa in educando.
Ben diversa è, invece, la natura del regolamento di disciplina della scuola, atto di diritto pubblico e espressione del potere autoritativo della scuola, le cui disposizioni (ovviamente sempre nel rispetto del principio di ragionevolezza) vanno assolutamente rispettate.
Una significativa differenza tra patto educativo di corresponsabilità e regolamento di istituto sta nel fatto che quest’ultimo chiama in causa solo l’alunno che deve adeguarsi a condotte volte ad una serena vita sociale in ambito scolastico, mentre il patto educativo coinvolge anche la famiglia. È, questo, un passo importante, soprattutto nella direzione di una sempre maggiore e necessaria collaborazione tra queste due agenzie educative.
L’alunno è tale all’interno della scuola, ma la maggior parte della sua vita si svolge nella comunità sociale di appartenenza, venendo a contatto con gruppi sociali diversi. Gli stimoli che, consapevolmente o meno, riceve e la sua predisposizione caratteriale lo indirizzano verso comportamenti e verso atteggiamenti che andranno ad influenzare la sua personalità e, quindi, ad indirizzare il suo vissuto verso una direzione piuttosto che un’altra.
Negli anni a partire dalla prima adolescenza, quando il ragazzo comincia a formare la sua personalità sociale e ad interiorizzare le regole della convivenza civile, è molto importante che possa contare su delle certezze. In tal senso molta importanza rivestono le due agenzie educative per antonomasia, una strutturata e formale -la scuola- e l’altra informale -la famiglia-. Entrambe queste agenzie sono chiamate a collaborare ed a coordinarsi per dare al ragazzo messaggi positivamente concordanti. Scuola e famiglia devono “parlare la stessa lingua”.
Fino a gran parte del secolo scorso, la famiglia affidava il figlio alla scuola, accettandone spesso acriticamente l’operato. La scuola godeva di grande legittimazione e di un enorme credito di fiducia. “Lo ha detto la maestra!” era la frase in grado di mettere fine a qualsiasi discussione. Oggi questa frase è stata sostituita da altre che sono solo formalmente simili alla precedente: “Lo ha detto la televisione”, oppure “L’ho letto sui social”. Oggi, quindi, il pericolo viene da agenzie virtuali ed incontrollabili contro cui è possibile tentare una difesa solo alleandosi per porre freni e paletti fermi e razionali. In questo difficile tentativo, se scuola e famiglia non vanno di pari passo e non perseguono gli stessi fini, condividendo gli stessi valori, avranno perso entrambi in partenza.
Purtroppo ben sappiamo che l’idillio tra scuola e famiglia è ancora poco sviluppato, per quanto il patto educativo di corresponsabilità, che oramai conta ben 14 anni di vita, vada proprio in questa direzione.
Il fine comune che dovrebbe unire la scuola e la famiglia è quello di indurre nel ragazzo l’acquisizione di una corretta socializzazione ed una maggiore auto-consapevolezza ed autostima in modo da stare bene con sé stesso, con gli altri e con la società genericamente intesa. In questo loro sperabile anelito, però, scuola e famiglia si trovano a scontrarsi con una società individualista e fortemente edonista che punta tutto sull’apparenza e sul successo personale ad ogni costo, tralasciando i valori universali che dovrebbero caratterizzare l’Uomo.
Soprattutto in ambito scolastico e nel periodo adolescenziale, tale imposizione da parte della società dà origine al bullismo ed al cyberbullismo. Il mobbing ha, anch’esso, una radice simile.
Per emergere e per sentirsi “arrivato”, per non essere “uno sfigato” e per farsi accettare dal gruppo dei pari, a volte trasformatosi in un vero e proprio branco, alcuni adolescenti cominciano ad esercitare una violenza, fisica o psicologica che sia, sui loro compagni più deboli e più indifesi. Tali atteggiamenti possono degenerare in fatti anche tragici in grado di meritare le prime pagine dei media cartacei e televisivi. Per rafforzare la loro “immagine” così guadagnata, spesso postano inrete la registrazione delle loro bravate.
Non è certo facile contrastare la deriva imboccata dalla società, ma scuola e famiglia, ognuno per la sua parte e rispettando il proprio ruolo, ci dovrebbero provare con determinazione ed impegno. Il docente dovrebbe essere molto attento nell’accorgersi sul nascere di eventuali comportamenti che potrebbero sfociare in episodi di bullismo manifesto.
D’altro canto la famiglia dovrebbe astenersi da atteggiamenti garantisti nei confronti dei propri figli e dovrebbe anche smetterla di farne spesso la sindacalista.
Pochi mesi addietro il filosofo Umberto Galimberti, in un’intervista, ebbe ad affermare che i genitori sarebbero eccessivamente presenti all’interno della vita scolastica dei propri figli fungendo da mediatori tra studenti e insegnanti. In tal modo i ragazzi non acquisirebbero l’autonomia necessaria, mentre i docenti sarebbero privati di parte del rispetto ad essi dovuto.
Il filosofo Galimberti si è espresso ed ha dato la sua interpretazione su un aspetto alquanto specifico della questione, per altro molto complessa e sfaccettata dei rapporti scuola-famiglie. Personalmente, con tutto il rispetto dovuto al filosofo Galimberti e conscio della mia pochezza, penso, invece, che bisognerebbe andare in direzione diametralmente opposta potenziando l’alleanza educativa scuola-famiglia al fine di dare al ragazzo una guida univoca e sicura per orientarsi in questa società disgregata.
È, questo, un campo di intervento che dovrebbe caratterizzare l’insegnamento di educazione civica. Partendo dall’assunto irrinunciabile che l’insegnamento di educazione civica non può non essere trasversale ed interessare tutti i docenti del consiglio di classe, sarebbe puntare sull’altruismo e sulle attività di volontariato come antidoto all’individualismo, alla collaborazione ed al rispetto reciproco per contrastare la voglia di prevaricare per affermarsi.
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[1] Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 luglio 1998, n. 175