La borsa degli attrezzi

La borsa degli attrezzi

4 Settembre 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Ogni professione ha la sua borsa degli attrezzi, un bagaglio di competenze e/o di strumenti reputati necessari per svolgere al meglio le diverse attività connesse alla professione stessa.

Il docente, come professionista al pari di altri, non può fare a meno della sua personale borsa degli attrezzi in cui trovano posto soltanto strumenti immateriali quanto irrinunciabili. Si tratta, infatti, di competenze cognitive, emotive e relazionali che bisognerebbe coltivare, allenare ed accrescere fino all’ultimo giorno di servizio. Non si tratta di competenze specifiche a solo ed esclusivo uso e consumo dei docenti, al contrario si tratta di competenze in grado di rispondere con facilità e versatilità alle numerose sfide quotidiane perché, in definitiva, si tratta di competenze per la vita.

Per l’uomo immerso nella società tali competenze hanno valore per lo stesso individuo, consentendogli di relazionarsi in modo efficace e gratificante, mentre per il docente esse servono anche a dare efficacia al rapporto che è chiamato stabilire con ogni singolo alunno. Proprio tali competenze sono in grado di rendere il rapporto docente-alunno proficuo e foriero di risultati in linea con le attese dell’alunno, della famiglia, della società e del docente, ma ancor di più con la propria deontologia professionale e la propria etica.

Probabilmente lo strumento per antonomasia che deve contraddistinguere un docente è una comunicazione efficace che, per definizione, deve prevedere e comprendere un ascolto altrettanto efficace. Nelle attività comunicative siamo portati a concentrarci soltanto sul modo in cui trasmettiamo il nostro messaggio. A volte, infatti, trascuriamo la costatazione che, per essere compreso a fondo, un messaggio deve essere adeguatamente recepito. Bisogna creare un canale comunicativo bidirezionale tra emittente e ricevente, nella fattispecie tra docente ed alunno. L’attenzione deve essere tanto su quanto si dice quanto su ciò che si ascolta, per dare maggiore forza ed efficacia alla comunicazione stessa.

Una comunicazione efficace è caratterizzata dalla reciprocità: io comunico effettivamente con te fino a quando tu comunichi con me. Per rendere effettiva ed efficace la comunicazione è necessario praticare l’ascolto attivo. Qualunque sia l’interlocutore con cui stiamo comunicando, questi ha bisogno di sapere che quello che dice o che non dice viene preso in considerazione e ben compreso.  Almeno quanto lo vogliamo noi.

Allo stimolo del messaggio dell’emittente corrisponde una risposta verbale, non verbale o para-verbale del ricevente, risposta che deve essere colta dall’emittente ed a cui è strumentale dare una adeguata risposta. Un simile atteggiamento è ancora più utile e necessario quando ci si trova di fronte a studenti di qualunque età. In effetti, se non si pratica l’ascolto attivo non vi è comunicazione, ma solo un passaggio monodirezionale di messaggi che non sortiranno effetto alcuno.

Una comunicazione che sia attenta e si basi su un ascolto attivo non può se non creare empatia, che è un’altra importante caratteristica che deve far parte del rapporto docente-alunno.

Possiamo affermare, come già fatto e senza tema di smentita, che una comunicazione efficace non può prescindere da un ascolto attivo. Questo, a sua volta, innesca una relazione empatica perché l’interlocutore ha la netta percezione, molto gratificante, di trovarsi di fronte ad una persona che lo ascolta e lo capisce. Si può anche non essere d’accordo con essa e con le sue affermazioni, però si viene ascoltati. In questo modo le divergenze diventano arricchenti per entrambi. È proprio questo che dà un senso alla comunicazione.

Una comunicazione basata sull’ascolto attivo e, quindi, capace di creare empatia ha un altro importante effetto: è in grado di stimolare delle reazioni, di pungolare le risposte dell’interlocutore e di allargare i confini della discussione. Tale meccanismo automatico rende ancora più interessante e coinvolgente la discussione ed il confronto.

Nel rapporto docente-alunno la comunicazione è finalizzata al raggiungimento di obiettivi ritenuti strumentali alla crescita del ragazzo che apprende. Ciò comporta e richiede che gli stessi obiettivi debbano essere stilati e proposti in modo chiaro e non debbono in nessun modo lasciare spazio ad equivoci ed a senso di indeterminatezza.

Gli obiettivi andrebbero illustrati ai ragazzi e con essi condivisi per potenziarne ed accrescerne la motivazione ed il coinvolgimento attivo. Un obiettivo ben formulato forse ci farà perdere del tempo in fase di stesura, ma ci permette di lavorare in modo spedito e sicuro con una strada chiaramente segnata. Da non trascurare, inoltre, la costatazione che un obiettivo ben strutturato permette e facilita una valutazione, sia essa in itinere o finale, che si avvicina molto di più alla necessaria e richiesta oggettività ed obiettività di giudizio. Altra caratteristica che avrebbe una siffatta valutazione sarebbe quella della coerenza per cui il ragazzo, anche di fronte ad un giudizio negativo, è messo in grado di capirne il perché: in tal modo la valutazione ha anche un effetto formativo, come dovrebbe essere.

Tutto ciò ha come obiettivo finale, come punto asintotico verso cui tendere, quello di accompagnare la crescita di ogni singolo alunno verso la rispettiva maturazione personale in ottemperanza al dettato costituzionale del pieno sviluppo della persona umana. Questo comporta, come facilmente comprensibile e condivisibile, aiutare i ragazzi ad essere cittadini responsabili e persone consapevoli delle proprie scelte.

Il docente deve necessariamente essere un buon comunicatore. Ben sappiamo che per educare non è sufficiente conoscere adeguatamente la propria disciplina. L’amore e la passione che dovremmo avere verso i contenuti che proponiamo sono condizioni necessarie ma non sufficienti. Dobbiamo sempre ricordare che il nostro lavoro è intriso di creatività ed è rivolto al futuro. Bisogna, inoltre, entrare anche nella logica del togliere, più che dell’aggiungere. Mentre il semplice docente, infatti, cerca di aggiungere sempre nuovi contenuti al bagaglio culturale e di conoscenze dell’alunno, l’educatore deve attivarsi per eliminare tutti quei fattori negativi, tutti gli ostacoli direbbe la nostra Costituzione, che bloccano la completa espressione delle capacità dell’alunno e la realizzazione dei suoi sogni.

Si tratta, quasi, di mettersi nei panni di un artista, magari di uno scultore, che “vede” la sua opera finale all’interno di un blocco di marmo. Michelangelo, infatti, diceva che per scolpire le sue statue gli bastava togliere tutto il superfluo. Lo stesso dovrebbe fare un buon educatore: togliere tutte le sovrastrutture culturali e tutte le misconoscenze per mettere in risalto le capacità innate presenti in ogni persona, in ogni ragazzo.

Come a conoscenza di tutti, educare deriva dal latino ex-ducere, cioè tirare fuori, fare emergere. E proprio all’emersione ed al dispiegamento delle capacità di ognuno dovrebbe mirare il lavoro del docente.

Per quanto finora detto, allora, comunicare bene deve basarsi sull’ascolto attivo per creare un canale empatico che permetta al ragazzo di aprirsi, di mettere in comune il suo mondo interiore, di reagire efficacemente agli stimoli comunicativi esterni, ma anche capace di leggere in sé stesso.

Attivando tutto ciò rende possibile accompagnarlo verso la sua crescita basata sulla promozione dei suoi talenti e delle sue capacità.

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