Ognuno nella propria lingua

Ognuno nella propria lingua

28 Agosto 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Gestire un blog, per quanto modesto come il mio, non è impresa facile, almeno per le mie poche forze cognitive. Ero partito con tanto entusiasmo pubblicando qualche cosa ogni giorno, andando a rovistare tra i miei appunti ed i miei lavori conservati ed archiviati nel corso degli anni. Con il passare del tempo, poi, la dura realtà ha trasformato il mio approccio, infatti sono passato dall’entusiasmo alla razionalità.

Oggi, come i lettori più affezionati avranno notato, pubblico un post a settimana, in genere nella giornata di domenica. Con tutto ciò è difficile trovare gli spunti da elaborare per poter scrivere qualche cosa.

Al mattino, dopo aver controllato le varie caselle postali, faccio sempre un giro su Facebook per “salutare” gli amici, veri o virtuali, e così mi capita di trovare qualche spunto che mi permette di riflettere e, successivamente, di scrivere.

Un sicuro punto di riferimento, da qualche tempo a questa parte, è diventato l’incontro con le riflessioni del professore Andrea Porcarelli (professore associato in Pedagogia generale e sociale, all’Università di Padova) che pubblica settimanalmente delle “suggestioni pedagogiche” prendendo spunto dal Vangelo della domenica.

Questo blog non vuole configurarsi come strumento di propaganda confessionale, anche se sono un tiepido credente, perché me ne mancano le competenze. Quanto ci dice il professore Porcarelli, però, è degno di essere preso in considerazione e di essere fatto oggetto di riflessione, a prescindere dalle convinzioni religiose di ognuno. Le riflessioni del professore Porcarelli ci aiutano a rendere ancora più vivo il Vangelo nella nostra vita di uomini, di docenti e di educatori, qualunque sia il rispettivo credo religioso perché si riferiscono a valori universali.

Il docente deve mettersi nella posizione di poter parlare ad ogni alunno “nella propria lingua”, deve, cioè, farsi capire da tutti. Per raggiungere tale obiettivo non può utilizzare un linguaggio standard che possa andare bene per tutti, non può sperare in un passe-partout che apra ogni orecchio e venga efficacemente recepito da ogni alunno che si trova di fronte.

Il brano degli Atti degli Apostoli da cui il professore Porcarelli ha tratto spunto per le sue riflessioni pedagogiche è l’inizio del capitolo II: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi».

È un’immagine forte ed evocativa.

Spero di non essere frainteso e di non essere tacciato di eresia se faccio un simile paragone. Il docente dovrebbe attivarsi per far sì che la fiammella che si posò sul capo degli Apostoli possa accendersi e fermarsi anche sulla sua testa ed egli possa essere in grado di parlare ad ogni suo singolo alunno nella sua propria lingua.

Quante volte è stato detto e quante volte abbiamo sentito che ogni alunno è una persona unica ed irripetibile e come tale parla una sua precipua “lingua”. Ogni alunno, ogni persona, ha un suo mondo interiore che cerca, come ognuno di noi, di raccordare con il mondo esterno. Quest’ultimo è un insieme dinamico costituito dai numerosi micro-mondi dei vari individui con cui entriamo in contatto diretto o indiretto, micro-mondi personali che, a loro volta, non sono statici, ma si adeguano alle diverse contingenze che la vita ci pone innanzi.

Un adulto maturo dovrebbe avere acquisito gli strumenti necessari per comprendere i messaggi verbali, para verbali e non verbali di cui è fatto oggetto e saperli gestire.

Nel caso di bambini e ragazzi questa competenza è ancora in progress, in divenire per cui l’adulto deve mettere in pratica accorgimenti tali da facilitare il recepimento e la comprensione del messaggio che vuole veicolare. Come dice il professore Porcarelli «Vi è una competenza pedagogica dell’insegnante che, anche sul piano umano, dovrebbe ricordare questa situazione: l’insegnante ha una forte intenzionalità comunicativa che si esprime nel rivolgere il proprio messaggio ad un “destinatario designato”, che sono gli allievi. L’insegnante non parla a sé stesso, né per sé stesso, ma ogni stilla del suo agire didattico è rivolta a ciascuno dei propri allievi, in modo che ciascuno di essi -in un certo senso- lo senta “parlare nella propria lingua”, ovvero colga il messaggio educativo e didattico come specificamente rivolto a lui».

Il docente che entra in classe ogni mattina lo dovrebbe fare con la consapevolezza di entrare in una torre di Babele, cioè in un luogo dove ognuno parla una lingua diversa. Potrebbe anche capitare che vi siano due o tre lingue simili, e sarebbe già una grande fortuna. Il docente dovrebbe, quindi, armarsi di pazienza, buona volontà ed efficaci strumenti culturali per fare in modo che possa riuscire a parlare ad ognuno nella propria lingua perché ognuno possa capire ed apprendere quanto egli si appresterà a proporre. È un lavoro lungo, faticoso, meticolosamente certosino, ma è l’unico che ci permette di fare il lavoro, anzi di svolgere la missione, che abbiamo abbracciato.

Qualche pseudo-docente meno motivato potrebbe uscirsene parlando a tutti con la stessa lingua, ma il suo diverrebbe un vaniloquio con l’unico e solo effetto di annoiare i suoi alunni creando, in classe, un clima di sopportazione reciproca con tutto quello che ne consegue.

A questo punto non può non venire in mente una delle più celebri frasi di don Lorenzo Milani, tratta dal pamphlet “Lettera a una professoressa”: «Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali». Ribadisco quanto già detto in altre occasioni. I tempi della scuola programmo-centrica, quando l’alunno doveva adeguarsi, appunto, al programma sono irrimediabilmente passati ed è molto pericoloso, dal punto di vista pedagogico ed umano, tentare di riesumarli. Da qualche decennio si è sempre più affermata, come esigenza irrinunciabile, la scuola alunno-centrica, in cui è la scuola a doversi adeguare all’alunno, ad ogni singolo alunno. Una scuola per tutti e per ciascuno, una scuola che rispetti a pieno ed in modo sostanziale il dettato costituzionale che ci obbliga a perseguire il “pieno sviluppo della persona umana” (art. 3).

Per colpire il centro bisogna scegliere un bersaglio tra tutti quelli possibili e mirare con cura. Non può essere bastevole tirare un colpo a casaccio e sperare che ci vada bene. Così in classe, non si può parlare in generale a 20-25 ragazzi, ognuno con una propria storia, con proprie esperienze, con caratteristiche precipue e sperare di far centro. Bisogna cercare di conoscere ognuno di loro e rivolgerglisi individualmente, creando un canale comunicativo preferenziale con ogni singola persona che abbiamo davanti, utilizzando il codice comunicativo che si pensa possa essere più adatto a quel particolare ragazzo.

Quelle appena scritte sono (forse) belle parole, ma metterle in pratica è tutt’altra cosa che scriverle. È difficile e la cosa diventa ancora più improba fino a quando la scuola sarà considerata una spesa praticamente inutile sulla quale poter bellamente effettuare tagli lineari, tanto cambia poco o nulla. Viene il dubbio che sia un’istituzione lasciata in piedi per la sua funzione di guardiania, attività così tanto richiesta da molte famiglie.

Come ho già detto più volte su questo blog, l’unica arma efficace in nostro possesso e che dobbiamo utilizzare al meglio è quella di svolgere nel modo migliore possibile la nostra missione di educatori e di “maestri” prima ancora che di docenti.

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