La competenza emotiva

La competenza emotiva

7 Agosto 2022 0 Di giuseppe perpiglia

La fisica ci insegna che ad ogni azione corrisponde una reazione. Questo principio non vale solo nella dinamica, ma è valido in qualunque altro contesto, così come mantiene la sua validità anche nelle relazioni interpersonali ed in qualsiasi altra attività della vita sociale. Ogni stimolo che colpisce i nostri sensi ed eccita la nostra sensibilità provoca una reazione che chiamiamo emozione. Anche parlare con un genitore o con un docente è un’attività in grado di far nascere un’emozione.

Se pensiamo per un momento a quanti e quali stimoli oggi colpiscono i nostri ragazzi, e non solo, si capisce ben facilmente quante emozioni bisogna dover fronteggiare e quanto sia, quindi, importante saperle gestire. Assorbire e gestire senza farsene travolgere le emozioni più forti è il campo d’azione di quella competenza, oggi tanto di moda, che chiamiamo resilienza e che però abbraccia, ad onor del vero, un campo ben più vasto ed ampio.

Non tutti, però, sono in grado di gestire al meglio le emozioni, alcuni ne rimangono sconvolti, eccessivamente turbati, addirittura sopraffatti. Altri, e non sono pochi, rispondono reagendo in modo sproporzionato e ben poco razionale. Pensiamo al caso del bullo e della sua vittima. Il bullo mette in atto il suo comportamento violentemente aggressivo e prevaricatore come risposta agli stimoli ricevuti e che ha elaborato esternando e riversando sulla sua vittima atteggiamenti persecutori come senso di rivalsa. La vittima, dal proprio canto, non riesce a rispondere in modo razionale agli stimoli vessatori o violenti di cui è fatta oggetto, magari solo parlandone con altri o denunciando quanto costretta a subire. Entrambi i soggetti, bullo e vittima, si lasciano influenzare in modo non corretto dalle loro emozioni. Qualcosa di simile, però, può capitare anche al docente. Ognuno di noi, infatti, ha una vita che si svolge al di fuori del mondo scolastico ed arriva in aula con pensieri, preoccupazioni ed altre amenità del genere. Che docente sarebbe colui che si lascia travolgere dalle emozioni negative e scarica la sua tensione sui ragazzi? Sicuramente a tutti noi sarà capitato qualche volta di essere intrattabile e di rispondere in modo esagerato e fuori luogo a qualche comportamento non corretto da parte dei ragazzi, magari un comportamento in altre occasioni accettato e sopportato.

Il problema non è quello di nascondere le proprie emozioni, ma al contrario è quello di farle emergere per prenderne consapevolezza e gestirle nel migliore dei modi. Un’emozione repressa, infatti, può covare e provocare effetti ancora più dannosi, a volte anche a distanza di tempo. Prendendone coscienza, invece, le si può incanalare verso qualche cosa di positivo.

Il docente accorto dovrebbe farsi carico di questo problema ed attivarsi per promuovere e potenziare nei ragazzi la competenza emotiva. Ma cosa dobbiamo intendere per competenza emotiva? «La competenza emotiva è un insieme di abilità pratiche (skills) necessarie per l’auto-efficacia (self-efficacy) dell’individuo nelle transazioni sociali che suscitano emozioni (emotive-eliciting social transaction» (Saarni, 1999).

Il termine skills, come accennato, indica l’abilità nel fare qualche cosa, ma non implica necessariamente la consapevolezza di ciò che si fa o di ciò che si sa. La self-efficacy o auto-efficacia è la capacità e l’abilità dell’individuo di raggiungere un obiettivo prefissato. Infine, la locuzione emotive-eliciting social transaction ci ricorda che la natura delle emozioni è transazionale e cioè che esiste un’influenza reciproca tra emozioni e relazioni interpersonali.

La competenza emotiva, al pari di tutte le altre competenze, presenta più dimensioni. Riconosciamo in essa, infatti, una dimensione che si esplicita in espressioni emotive consistenti nel servirsi di una precipua gestualità per esprimere messaggi non verbali, per dimostrare un coinvolgimento empatico ed altro. Noi italiani siamo famosi per la gestualità con cui arricchiamo i nostri discorsi. I gesti sono in grado di dare maggiore forza al messaggio che vogliamo trasmettere ed alle emozioni ad esso sottese.

Una seconda dimensione è legata alla comprensione emotiva, cioè alla capacità di capire i nostri stati emotivi e quelli altrui, ma a che la capacità di utilizzare, per esprimerle, un lessico adeguato e strumentale.

La terza dimensione si riferisce alla capacità di fronteggiare tanto le emozioni negative quanto quelle positive, capacità che può essere estesa anche alle situazioni in grado di suscitarle.

Negli ultimi 20 anni, nelle scuole degli Stati Uniti si è diffusa la pratica della cosiddetta alfabetizzazione emotiva. Si tratta di un intervento educativo finalizzato alla promozione del benessere socio-emozionale del ragazzo. Tale intervento poggia e ruota attorno alle abilità citate nel concetto di competenza emotiva:

  • identificare e denominare le emozioni;
  • esprimerle compiutamente;
  • valutarne l’intensità;
  • gestirle adeguatamente;
  • aumentare la resistenza allo stress;
  • conoscere ed applicare la differenza tra emozione ed azione.

È bene sottolineare, nel caso dovesse esservene bisogno, che non vi è alcuna contrapposizione tra sviluppo intellettuale e sviluppo emozionale, al contrario l’educazione alla competenza emotiva è essenziale per l’apprendimento in quanto favorisce e promuove la motivazione e lo svolgimento di processi cognitivi importanti.  Altro fattore potenziato dall’educazione alla competenza emotiva e che va ad impattare direttamente sull’insegnamento di educazione civica, è l’apprendimento di abilità nel creare e gestire relazioni interpersonali, ma anche quella di prendere decisioni corrette e razionali, avere successo con coetanei ed insegnanti e, di conseguenza, stare bene a scuola.

Ma come possiamo “insegnare” la competenza emotiva? Come possiamo promuovere nei bambini e nei ragazzi la consapevolezza ed il controllo delle proprie emozioni ed il riconoscimento ed il rispetto delle emozioni altrui?

Quella che vi propongo è una semplice attività che può andare bene tanto per i bambini della scuola primaria quanto per i ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Con un minimo di impegno e di fantasia per la necessaria curvatura è anche applicabile alla scuola dell’infanzia.

Per gli adolescenti della scuola secondaria di secondo grado andranno messe in campo attività di tipo diverso.

Ma vediamo in cosa consiste la proposta.

L’idea di base è semplice, infatti ci si prefigge di dare “corpo” alle emozioni. Il progetto tenta di tradurre qualcosa di impalpabile e di immateriale in un “oggetto materiale” che il bambino/ragazzo possa “toccare con mano”, possa in qualche modo manipolare. L’oggetto che meglio si presta alla “materializzazione” delle emozioni è, a mio parere, il mondo degli emoticons.

Le emoticon, comunemente conosciute anche come faccine, sono riproduzioni stilizzate delle principali espressioni facciali in grado di esprimere un’emozione. Il termine inglese emoticon è derivato dai lemmi emotion e icon («emozione» e «icona») ed indica appunto una piccola immagine che esprime un’emozione. Le faccine presentano innegabili vantaggi. Intanto, sono ben conosciute da bambini e ragazzi perché ampiamente utilizzate sugli sms e sulla chat in tempo reale, poi presentano la caratteristica di essere molto stilizzate per cui disegnarle è operazione abbastanza semplice. Con poche linee e piccoli tratti al posto giusto è possibile rappresentare una qualsivoglia espressione. Passiamo adesso alla proposta progettuale anche se sono in forma di bozza.

Iniziare con il far vedere, per chi ha la LIM in classe tale attività è molto più semplice, una serie di faccine e decidere collegialmente quale emozione ognuna di esse rappresenti. Sicuramente sorgeranno delle diversità di vedute che andranno sfruttate per promuovere il confronto e la riflessione.

Ma vediamo i vari passaggi che vanno a costituire la proposta.

  • Creare una serie di schede con diversi personaggi senza i particolari delle facce, cioè bisogna lasciare, al posto delle facce, degli spazi completamente bianchi. È bene che siano in numero adeguato agli alunni e che presentino caratteristiche diverse: testa allungata o rotondeggiante, capelli lunghi o corti, lisci o ricci, …
  • A parte preparare una serie di foglietti ognuno con un’emozione diversa: felicità, allegria, tristezza, pianto, dubbio, perplessità, …
  • Ad ogni bambino/ragazzo fare estrarre una “faccia bianca” e, di seguito, senza possibilità di scelta, un foglietto con un’emozione.

Il gioco consiste nel disegnare sulla faccia l’emozione scritta sul foglietto secondo i canoni delle faccine.

La seconda parte, più impegnativa, da svolgere in piccoli gruppi, rientra nella metodologia dello storyteller. Infatti consiste nello scrivere una storia, per quato semplice, che leghi in modo logico quanti più personaggi possibili, ognuno con la sua espressione. L’intreccio della storia deve, ovviamente, giustificare l’espressione del personaggio.

La parte conclusiva potrebbe consistere nel fotografare le facce disegnate e creare, coinvolgendo la classe nella sua interezza, con le immagini così ottenute una presentazione multimediale da illustrare ai compagni oppure ad altre classi o, magari, ai bambini della scuola dell’infanzia.

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