
La teoria della mente
La teoria della mente, spesso abbreviata in ToM, dalla locuzione inglese theory of mind, è la capacità di attribuire correttamente gli stati mentali a sé stesso ed agli altri e la capacità di comprendere che gli altri possono avere stati mentali diversi dai propri. È stata formulata nel 1978 da David Premark e Guy Woodruf. Tale teoria risulta essere fondamentale in ogni relazione sociale e serve ad analizzare, giudicare e comprendere il comportamento altrui (tratto da wikipedia).
Alcuni soggetti sono dotati di tale caratteristica sin dalla nascita da madre natura, altri lo sono molto meno, altri vorrebbero coltivarla e potenziarla, altri ancora nemmeno si pongono il problema e preferiscono vivere soli con loro stessi. Non necessariamente nel senso di isolarsi fisicamente dagli alti, ma isolandosene sul piano di relazioni efficaci. Vivono con le loro convinzioni preconcette ed inamovibili.
La capacità di valutare lo stato mentale di chi ci sta di fronte è molto importante per creare relazioni in grado di scalfire le maschere che spesso portiamo. Tutta la vita sociale di una persona, nei vari contesti in cui essa si svolge, poggia su una fitta rete di relazioni bidirezionali per cui ben si capisce quanto importante sia comprendere quale sia l’atteggiamento mentale di chi ci sta davanti. Alcune attività lavorative sono basate, più di altre ed in modo quasi integrale, sulle relazioni interpersonali. Un esempio fra tutti, vista la tematica di fondo di questo blog, è quello della scuola.
Istintivamente, sin da quando ho iniziato la mia carriera di docente nei lontani anni ’70 del secolo scorso con l’allora agognata qualifica di “precario”, appena entrato in classe il mio obiettivo era quello di tendere ad instaurare un canale comunicativo preferenziale con ogni singolo alunno. In particolare nei primi anni, quando anche alla scuola media, l’attuale scuola secondaria di primo grado, si veniva nominati per pochi giorni, a volte anche per uno solo!, era molto difficile entrare nel mondo dei miei giovani discenti. Con il passare del tempo, man mano che gli incarichi prevedevano tempi più lunghi, stabilire relazioni efficaci risultava sempre più facile o quanto meno più possibile. Ed è stato un atteggiamento che mi ha dato molta gratificazione.
Il principio di fondo è chiaramente riportato nella Costituzione: vedere il ragazzo non come una casella sul registro o come un soldatino di piombo in mezzo a tanti soldatini di piombo tutti uguali. Non siamo di fronte a tanti pezzi usciti dallo stesso stampo. Il docente deve avere sempre ben chiaro che davanti ha delle persone con le quali si deve confrontare. Ogni persona ha la sua storia, le sue aspettative, le sue capacità, le sue criticità, il suo progetto di vita, per quanto confuso ed abbozzato possa ancora essere.
Certo sarebbe bello essere in grado di capire e prevedere le intenzioni ed i pensieri di chi ci sta di fronte. Ma è possibile potenziare tale capacità o, se proprio uno ne dovesse essere sprovvisto per scelta di Madre Natura, cercare di farla nascere? La risposta è affermativa, almeno stando ai risultati di alcune ricerche sperimentali condotte dai professori Emanuele Castano e David Corner Kidd. Secondo i risultati dei loro studi, ottenuti con un approccio sperimentale, per aumentare la capacità di comprendere i pensieri di chi ci sta davanti basterebbe leggere i grandi romanzi che fanno parte dei classici della letteratura, in particolare romanzi di autori quali Anton Čechov o Lev Tolstoj. Per gli esperimenti dei due professori citati fu utilizzato il romanzo Anna Karenina.
I volontari che accettarono di sottoporsi a questo esperimento furono suddivisi in due gruppi e ad uno solo di essi fu fatto leggere il romanzo citato. I componenti di entrambi i gruppi vennero, quindi, sottoposti a due test:
- DANVA2-AF Diagnostic analysis nonverbal accuracy2 – adult faces (accuratezza diagnostica dell’analisi non verbale – volti adulti). Questo test consiste nel far vedere il volto di una persona adulta per due secondi e, quindi, chiedere se il volto osservato avesse un’espressione allegra, triste, delusa o arrabbiata.
- RMET Reading the mind in the eyes test (test di lettura della mente attraverso gli occhi). In questo caso viene mostrata solo una porzione di volto, quella contenente gli occhi appunto, e chiedere di attribuire al soggetto mostrato un’emozione da scegliere tra le quattro proposte.
In entrambi i test il gruppo che aveva letto Anna Karenina ha fatto registrare risultati nettamente migliori rispetto al gruppo di coloro che non avevano letto nulla o che si erano dedicati alla lettura di saggi oppure di romanzi rosa di levatura non molto elevata.
Questi studi sperimentali confermano lo stretto legame tra una certa letteratura e la competenza empatica. Se la missione del docente è quella di creare relazioni efficaci con e tra ogni singolo studente, la sua competenza principale, irrinunciabile, deve essere la competenza empatica.
Bisogna entrare nell’ottica, cosa niente affatto scontata, che insegnare non è un mestiere che possa essere svolto in modo impersonale, distaccato ed asettico.
Fuor di retorica, insegnare è una missione che coinvolge la persona nella sua interezza, sin nel suo intimo; sia la persona che insegna sia la persona che apprende.
Il vero insegnante, l’insegnate efficace per citare Thomas Gordon e Carl Rogers, non è colui che fa appassionare l’alunno alla propria disciplina o alla pratica dello studio in generale, ma colui che è in grado di aiutare il ragazzo ad esprimere il suo essere, le sue capacità e tutto il suo potenziale. L’amore per la disciplina o per lo studio sarà una semplice conseguenza. Infatti, il ragazzo che sente di esprimere le sue capacità, che avverte il dispiegarsi della sua realizzazione sarà motivato ad apprendere ed a comprendere quelle conoscenze e quei percorsi di pensiero che reputa strumentali al suo obiettivo.
Ecco, allora, che la relazione tra docente e discente non può se non essere fortemente empatica. L’adulto deve farsi carico di comprendere quali siano le aspettative del ragazzo, quale sia la sua disposizione d’animo nei diversi momenti della giornata per poterlo supportare o per poterlo pungolare a seconda dei casi. Il ragazzo che cresce non ha bisogno di adulti spazzaneve ma di limiti e di rinforzo, ha bisogno di una guida tanto discreta quanto efficace. Non ha certo bisogno di qualcuno che gli tracci una strada non sua e che gli elimini gli ostacoli dal proprio cammino. Ha bisogno, invece, di qualcuno che lo aiuti a trovare il modo per superare le criticità che la vita gli pone innanzi, che lo aiuti a trovare il modo di volta in volta più efficace per superarle e poter proseguire spedito e sicuro nel suo percorso di crescita.
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