Tutto gratis!

Tutto gratis!

24 Luglio 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Spesso utilizziamo il termine gratis senza avere la consapevolezza del suo significato originario, etimologico. La locuzione “gratis” trae origine dal termine latino gratiis, che a sua volta deriva da gratia. Quest’ultimo corrisponde al termine greco charis, da cui il lemma latino charitas, che ha il valore semantico di amore, cura, dono, appunto. Una piccola digressione solo per amore di completezza. Il lemma charitas va scritto con la lettera “h” in quanto il termine “caritas”, mancante della lettera “h”, ha tutt’altro significato. Esso deriva, infatti, dal latino “carus”, aggettivo legato al valore pecuniario dell’oggetto considerato.

Prima di andare avanti è bene fare un ulteriore distinguo che reputo importante, quello tra dono e regalo. Il dono, che può anche essere immateriale, non prevede una qualche motivazione contingente né palese, né implicita, non prevede nessun secondo fine. Riguarda una qualche cosa che si concede senza nessuna contropartita perché si reputa che chi la riceva ne possa trarre un qualche beneficio, magari perché si trova in una condizione di fragilità.

Il regalo, invece, ha una connotazione più precipuamente pratica e prevede una qualche finalizzazione: in occasione del compleanno, per l’anniversario di matrimonio, perché si è superato un esame, ed a questi potrebbero seguire molti altri esempi. La cosa regalata non è detto che abbia un qualche valore per il beneficiario se non quello della gratificazione, quello di rappresentare il segno di una manifestazione di affetto. Nella peggiore delle ipotesi, il che capita molto di frequente, il regalo viene anche fatto per assolvere ad un qualche “dovere sociale”. Quante cravatte, quanti ninnoli abbiamo messo subito da parte perché non collimavano con i nostri gusti? Anzi, qualche volta ci siamo addirittura rimasti male per un regalo non gradito.

Nella definizione di dono l’accento è posto sul valore che la cosa donata ha per chi la riceve. Essa, infatti, deve essere utile o strumentale a superare oppure a lenire una certa situazione problematica. L’attenzione, quindi, non è su colui che dona, bensì è tutta sul soggetto che la riceve. Quando facciamo un regalo pensiamo al soggetto a cui è destinato, però cerchiamo di prestare attenzione per non fare “brutta figura”, stiamo attenti a non sembrare “inadeguati”, pensiamo a quello che abbiamo ricevuto in un’occasione precedente e non vogliamo essere da meno. Il soggetto principale siamo noi, mentre chi lo riceverà è solo una presenza strumentale al nostro amor proprio e ad un malinteso senso del dovere. Il dono, invece, rimane ben al di fuori da tale logica utilitaristica, per quanto spesso accennata solo labilmente.

La grazia prevede la bellezza, l’eleganza, la semplicità. E quando parliamo di bellezza ci riferiamo soprattutto alla bellezza dell’anima, alla levità, alla profondità ed all’intensità dei sentimenti legati alla cura e, quindi, all’interesse verso l’altro da noi. Il più grande dono che Dio fa all’Uomo è proprio la Grazia: un dono fatto liberamente dal Padre al figlio prediletto, cioè ad ognuno di noi.

Il termine gratis, ed ancora di più l’aggettivo gratuito che da esso deriva, viene spesso utilizzato come dispregiativo, per sminuire il valore dell’oggetto materiale o, molto più spesso, immateriale di cui si sta parlando. Pensiamo ad espressioni del tipo “violenza gratuita”, “affermazione gratuita”, “offesa gratuita”.  In queste locuzioni l’aggettivo gratuita sta a significare una cosa -violenza, affermazione, offesa- che non ha una ragione, che viene fatta senza alcuna giustificazione e senza alcun senso. Basta andare sul vocabolario Treccani della lingua italiana, nella sua edizione online (www.treccani.it) per trovare, a proposito di gratuito, la seguente definizione: «che non ha motivo, privo di fondamento». Non riusciamo a dare un valore ad una qualsiasi cosa che non preveda un costo, che, cioè, non abbia un corrispettivo in denaro e che, quindi, non possa essere comprato. Anche se poi, in altre occasioni, alla stessa locuzione diamo un’accezione positiva: «L’amore di una mamma non ha prezzo». Questa concezione deriva dalla confusione tra “valore” e “prezzo”, infatti anche in questo caso utilizziamo termini dal significato ben diverso come fossero sinonimi.

Ma veniamo a noi. Perché la scuola dovrebbe promuovere la cultura della gratuità e relazioni basate sul concetto di gratuità?

L’educazione civica, in estrema sintesi, altro non è che l’educazione alla solidarietà ed al rispetto dell’altro e delle sue esigenze. E quale migliore viatico per raggiungere tale obiettivo se non l’educazione al dono?

Sarebbe oltremodo demotivante e alquanto deprimente dedicare le ore riservate all’insegnamento di educazione civica al solo studio teorico della Costituzione Italiana. Il tutto si risolverebbe in una noia mortale senza alcuna ricaduta positiva sulla formazione dei ragazzi.

Perché la Costituzione lasci un segno nella crescita personale degli alunni bisogna viverla, bisogna che cammini al loro fianco, che divenga un modus vivendi.

La gratuità dipende dalla volontà dell’individuo. È il singolo, come individuo, che decide di fare una cosa di propria iniziativa solo perché la reputa una cosa buona, senza nessun altro fine se non quello di fare qualcosa di gentile e di utile per un altro.

La solidarietà nella Costituzione Italiana è espressamente richiamata dall’art. 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Insieme alla solidarietà viene anche enunciato (art. 118) il principio della sussidiarietà con il quale si riconosce il valore, oltre che economico, anche eminentemente sociale, delle formazioni sociali ove si svolge la personalità del cittadino.

Il cittadino disegnato e prospettato dalla Costituzione è un volontario, ancora meglio se associato in una formazione sociale. Questo porta a considerare, tanto dal punto di vista del docente quanto da quello dell’istituzione, una loro collaborazione molto più stretta con il mondo del Terzo Settore e con le organizzazioni di volontariato in particolare.

Permettetemi un piccolo aneddoto preso da Facebook.

Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Infatti, la professoressa affermò che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo. Il punto esatto del senso di comunità è la cura dell’altro.

Il dono del volontario, quindi, non è mai un dono senza senso, anzi! Ha un senso profondo che è il senso stesso della natura umana e della sua peculiare caratteristica che è l’umanità. Il cittadino maturo è un uomo moderno che si discosta nettamente da quella falsa modernità che ha posto a suoi idoli l’avere e l’apparire per mettere al centro della sua vita, della sua etica, l’essere e la gratuità, quindi un agire senza secondi fini, all’insegna della coerenza.

Il do ut des non fa parte del bagaglio culturale ed etico del cittadino moralmente maturo; del suo bagaglio, invece, fa parte, colorando tutto il suo operato, quell’i care (io mi occupo, io mi preoccupo, io sono interessato) che caratterizzò quello splendido esempio di educazione a tutto tondo che fu la scuola di Barbiana, voluta e portata avanti, caparbiamente, tra enormi sacrifici personali e logistici, da Don Lorenzo Milani ed il cui punto di riferimento centrale era l’attenzione alla persona dell’altro vista come risorsa.

Solidarietà, dono e società sono termini tra loro inscindibili. La società, infatti, qualunque essa sia, non è una semplice sommatoria di individui e di individualità, ma diventa società solo quando vengono a crearsi degli scambi, delle interrelazioni di tipo reticolare tra tutti i suoi componenti che ne fanno un che di fortemente coeso.

Oggi, ogni giorno di più, si banalizzano i rapporti umani poggiandoli solo sul piano economico ed utilitaristico, connotando tali aggettivi in modo marcatamente materialista. Le relazioni che devono caratterizzare una società sono, invece, quelle basate sulle caratteristiche di cui abbiamo già detto. L’abbandono di tali punti di riferimento, la deroga da tali principi ha portato alla società in cui viviamo. Si pensi ai danni della globalizzazione economica che, invece di portare benessere dignità economica a quei paesi che più ne avrebbero bisogno, continua a tenerli sotto il tallone di un colonialismo che ha cambiato forma ma non sostanza.

Ecco perché bisogna educare al dono, perché è la strada maestra verso un uomo nuovo, verso un uomo capace di confrontarsi e di relazionarsi con gli altri uomini in modo tale da favorire la crescita di ognuno.

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