Ad ognuno il suo

Ad ognuno il suo

17 Luglio 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Come mi capita spesso nel periodo estivo, dedico buona parte del pomeriggio alla lettura sfruttando l’ombra e la leggera brezza di cui posso godere sul mio balcone.

In questi giorni sto leggendo un lavoro del collega ed amico Giuseppe Vitaliano, appassionato studioso di storia. Dell’amico Giuseppe ho già pubblicato una riflessione sul suo precedente lavoro DANTE ALIGHIERI – opera teatrale (vedi l’articolo Ho conosciuto Dante). Il lavoro che mi sta occupando in questi giorni ha per titolo Continente Calabria – storia ed antropologia della regione, stampato per i tipi di Calabria Letteraria Editrice e reperibile sul sito della IBS.

Dopo un breve e sintetico excursus storico della regione, passa ad illustrare una serie di proverbi, vera saggezza di un popolo.

Scorrendo i cento proverbi oggetto delle riflessioni dell’Autore, alcuni di essi mi hanno portato a pensare che ben mantengono la loro validità anche nel mondo scolastico. La scintilla è scoccata leggendo la riflessione relativo al proverbio ‘A troppa cumpidenza porta malacrianza che, tradotto in lingua italiana, diventa: “L’eccessiva confidenza porta a mancanza di rispetto”.

È vezzo, ormai da molto tempo, essere o fare l’amico di figli e di alunni, spesso equivocando sul significato del termine. Essere amico fa molto modernità, un tale atteggiamento ci fa sentire all’avanguardia, moderni. Come affermato anche da eminenti psicologi e pedagogisti, però, essere o fare l’amico di figli e discenti non è remunerativo, anzi si corre il rischio di ottenere l’effetto opposto a quello voluto. Probabilmente, alla base, vi è un equivoco relativamente al significato del termine amicizia.

Il rapporto genitore-figlio e quello docente-discente devono necessariamente essere sbilanciati, asimmetrici, è necessario che vi sia una diversità di ruoli, non può risolversi in un rapporto tra pari. Bisogna riaffermare il ruolo dell’uno e dell’altro, da porre in un necessario rapporto gerarchico. Ciò non toglie, come ovvio, che debba prevalere sempre e comunque il rispetto per la persona nella sua interezza. Ed il rispetto è una caratteristica che si autoalimenta, nel senso che io vengo rispettato quando mi rispetto e quando rispetto chi mi sta di fronte. Possiamo anche dire che il rispetto si comporta come un boomerang, se lo do agli altri mi torna sempre indietro.

Se al termine amicizia diamo il significato di un rapporto empatico basato, come già detto, sul rispetto, sulla disponibilità all’ascolto attivo, sicuramente il rapporto genitore-figlio e docente-discente deve essere un rapporto di tipo amicale, un rapporto da cui viene bandita ogni pur piccola venatura di autoritarismo.

Un tale rapporto, però, per essere efficace dal punto di vista educativo deve essere basato sull’autorevolezza, e l’autorevolezza non la si impone, bensì la si guadagna giornalmente, minuto per minuto con comportamenti ed atteggiamenti adeguati e consoni.

Nel rapporto docente-discente, anche in contesti diversi dal contesto scolastico quale potrebbe essere quello familiare, la caratteristica assolutamente ineludibile ed ineliminabile è l’autorevolezza della figura gerarchicamente superiore. È, infatti, il genitore o il docente che deve dare l’esempio e mostrare la via, è il genitore o il docente che, per primo, deve rispettare le regole comuni, è sempre il genitore o il docente che deve rispettare il figlio o il singolo alunno nella sua specificità. In tal modo il docente avrà una classe che lo segue, si troverà a lavorare in un clima relazionale positivo e proattivo. Il ragazzo vedrà in lui il punto di riferimento di cui ha bisogno, un punto di riferimento che deve essere fermo e credibile, un punto verso cui tendere o con cui scontrarsi.

Tempo fa mi è capitato fra le mani, residuo degli studi universitari di mia figlia, il volume I no che aiutano a crescere dello psicoterapeuta Asha Phillips edito in Italia da Feltrinelli. Già il titolo dice tutto. L’essere amico del ragazzo sottende un’accondiscendenza eccessiva alle sue richieste. Il ragazzo, però, ha bisogno di muri e di tabu con cui scontrarsi per forgiare il proprio carattere e per trovare e maturare gli strumenti necessari per affrontare le temperie della vita adulta. Questo non implica di certo che non bisogna riconoscere i meriti del ragazzo e gratificarlo dei suoi successi e dei traguardi raggiunti.

Non vi sono ricette in educazione, come non ve ne possono essere in amore, ed educare deve essere sempre visto e vissuto come un atto d’amore. Non è retorica, ma solo buon senso. Nel processo di formazione di un ragazzo non si può rimanere a guardare. Qualunque sia l’età del discente, il docente deve lasciarsi coinvolgere con tutto il suo essere. Non può restare estraneo quasi fosse un impiegato di fronte ad un documento.

In uno dei miei primi anni da docente di ruolo mi colpì profondamente l’affermazione di una collega con molti più anni di servizio che, con fare sussiegoso, vantandosene come di un’importante conquista, dichiarava di non aver mai fatto sapere ai suoi alunni nulla della sua vita privata: se fosse sposata, se e quanti figli avesse ed altre notizie in grado di avvicinare l’alunno al docente, che, in tal modo, diventa più “umano”. Io ho subito pensato ai ragazzi che le erano stati affidati: sarebbero rimasti per tre anni di fronte ad un’estranea che sciorinava, senza dubbio con tanta conoscenza e sicurezza, una serie di nozioni che i ragazzi avrebbero, nel migliore dei casi, imparato per raggiungere l’agognata sufficienza. Ma dopo l’esame di licenza, cosa sarebbe rimasto di un rapporto umano mai iniziato? Al massimo qualche verso delle poesie imparate a memoria, la data di qualche battaglia, il nome di qualche fiume e poco più, tutte notizie che si sarebbero dissolte come neve al sole in breve tempo.

Un bravo docente deve conoscere profondamente la propria disciplina, anzi, di più, ne deve essere innamorato. Ma questo non basta.  Per trasmettere l’amore per la disciplina deve primariamente trasmettere l’amore tout court, cioè deve essere in grado di far trasparire nettamente un sentimento di rispetto per ogni singolo alunno, deve far capire ad ognuno di essi che ne apprezza i punti di forza e che sarà sempre al suo fianco per aiutarlo a superare i suoi limiti e le sue incertezze.

Un docente, quindi, non può essere amico dei suoi alunni. gli amici sono sullo stesso piano, allo stesso livello. Il gruppo dei pari è un fattore in grado di incidere in modo significativo nella crescita di ognuno, a prescindere dall’età, un fattore in grado di indirizzare la vita di ogni soggetto. Nel caso del processo educativo istituzionalizzato, formale, ma non solo, il gruppo dei pari (nello specifico, la classe) deve solo operare come rinforzo del rapporto asimmetrico tra l’adulto ed il ragazzo in formazione, tra il docente e l’alunno.

Il ragazzo che sta cercando di costruire la sua identità ha bisogno di una meta verso cui tendere, ha bisogno di una pietra di paragone. In positivo o in negativo, per emularla o per contrastarla poco importa. Sta all’adulto/docente educatore comportarsi in modo tale da essere considerato credibile e quindi acquisire la necessaria legittimazione agli occhi dell’alunno.

No, fare il docente non è mestiere facile, come non lo è fare il genitore. Anzi, non di mestiere si tratta, bensì di professione che andrebbe abbracciata con consapevolezza del ruolo che si andrà a svolgere. La realtà quotidiana ci insegna che la scuola viene considerata, in particolare dai nostri politici, quasi un peso morto, e che i docenti sono solo “quelli che hanno tre mesi di ferie l’anno”. Ogni lavoro, fatto con passione e con spirito di servizio, ha bisogno di competenze precipue e di tanta partecipazione, anche emotiva, cose che non possono certo trovare posto sul contratto di lavoro. Dal che ne deriva il necessario rispetto. La professione del docente è ancora più impegnativa e coinvolgente, ma viene relegata agli ultimi posti sia dal punto di vista economico che da quello del riconoscimento sociale. Però poi non lamentiamoci se ai concorsi per magistrato a superarli siano solo il 3% dei partecipanti e che vengono commessi errori di ortografia caratteristici delle classi della scuola primaria.

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