Educare al dono

Educare al dono

26 Giugno 2022 0 Di giuseppe perpiglia

La legge 20 agosto 2019, n. 92 “Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica” ha reso obbligatorio nelle scuole del primo e del secondo ciclo l’insegnamento dell’educazione civica come disciplina curriculare. Tale disciplina, già presente nella scuola come materia sin dal 1958 per volontà dell’allora ministro Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978, è poi scomparsa dal panorama scolastico per “inattività”. Infatti, è stata sin da subito considerata una materia accessoria e di secondaria importanza e l’ora settimanale ad essa dedicata era, praticamente, sempre fagocitata dall’insegnamento della storia, materia reputata molto più nobile e importante.

Con l’emanazione della legge 92/2019, l’insegnamento di Educazione civica è nata a nuova vita. Anche in questo caso, però, come prassi vuole, senza oneri a carico dello Stato. Al solito, si vogliono fare i matrimoni con i fichi secchi. Speriamo, comunque, che grazie allo spirito di sacrificio ed alla disponibilità che da sempre hanno caratterizzato la classe docente, sia un matrimonio felice e duraturo. Il Ministero, per rendere più agevole il lavoro dei docenti, ha emanato delle opportune Linee guida (Allegato A) e delle integrazioni al Profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione (Allegato B) ed al Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo (Allegato C) riferite, appunto, all’insegnamento trasversale dell’educazione civica

Da una lettura anche non molto approfondita della legge 92/2019 si evince che essa si prefigge di:

  1. formare cittadini responsabili e attivi;
  2. promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri;
  3. sviluppare la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell’Unione europea;
  4. sostanziare la condivisione e la promozione dei princìpi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale, diritto alla salute e al benessere della persona.

Molti colleghi si sono trovati leggermente spiazzati dall’introduzione della legge per due ordini di motivi. Il primo motivo è legato alla disciplina in quanto tale. Molto disorientamento sul “cosa” insegnare, oltre i contenuti esplicitamente indicati dal testo normativo. Vi era e rimane in tutti la consapevolezza che non si sarebbe potuto, per quanto molto più facile e sbrigativo, trasformare una disciplina trasversale per natura, in un accumulo di nozioni e di informazioni, degradandola, quindi, ad arida materia.

Il secondo ordine di motivi, invece, riguarda il “come” ed il “con quali mezzi o metodi”. Per un insegnamento di tal fatta, la metodologia migliore è quella dell’esempio, diretto o indiretto che sia, e del fare, del coinvolgimento personale e diretto dell’alunno, anche emotivo. E questo sarebbe in linea con la didattica per competenze. Il docente che vuole, quindi, insegnare efficacemente educazione civica, oltre al momento prettamente cognitivo ed informativo, deve curare il momento più specificatamente formativo ed agire sui comportamenti. Per fare ciò si può rivolgere a due grandi risorse, spesso non adeguatamente sfruttate, per quanto entrambe siano a costo zero. La prima è l’approccio pedagogico del service learning, mentre la seconda è lo sfaccettato mondo del Terzo Settore e del volontariato in particolare. Entrambe le risorse citate rispondono bene a tutti gli obiettivi che si prefigge l’introduzione dell’insegnamento di educazione civica e che abbiamo prima ricordato.

Tanto il service learning quanto il volontariato, infatti, concorrono efficacemente alla formazione del cittadino. È richiesto, come si evince facilmente dalla lettura del testo normativo, che il soggetto coinvolto si prenda cura, come conseguenza dell’attenzione riservata alle esigenze ed alle necessità del prossimo, degli altri e della comunità. Ma non è un prendersi cura più o meno teorico e distante, è un prendersi cura in modo attivo, con azioni reali, aggredendo i problemi ed incidendo positivamente sulla situazione contingente per creare un mondo leggermente migliore di come è stato loro consegnato. Nel contempo, sia il service learning sia il volontariato, promuovono la partecipazione attiva e consapevole alla vita della comunità, in tutte le sue sfaccettature. E non si può partecipare attivamente alla vita pubblica senza rispettarne le regole, senza rispettare i diritti degli altri ed i propri doveri, perché la caratteristica primaria, essenziale ed ineludibile è proprio il rispetto dell’Uomo, di ogni uomo.

Nello svolgere le attività di volontariato, ed anche il service learning si configura come una forma, seppure non strutturata, di volontariato, infine, non si fa altro se non rispondere al dettato costituzionale che richiama espressamente ed esplicitamente alla solidarietà. Basta citare l’art. 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili della solidarietà politica, economica e sociale». Una cosa è, infatti, studiare il testo della Costituzione della Repubblica Italiana, ben altra cosa è viverla quotidianamente.

Soffermiamoci brevemente sul service learning dal momento che di esso su questo blog si è già parlato. Come facile evincere dalla traduzione letterale del termine, il service learning mette insieme insegnamento e servizio.

Tale approccio pedagogico richiede la riflessione sui problemi della comunità di riferimento dei ragazzi che gli stessi ragazzi, adeguatamente guidati e spronati, sono chiamati a “vedere” ed a selezionare al fine di creare delle necessarie gerarchie. Già questa prima fase opera nella direzione auspicata dall’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica. Come è possibile, infatti, occuparsi e farsi carico dei problemi della comunità se non si riesce nemmeno a vederli ed a viverli come tali? La seconda fase si sostanzia nella riflessione collettiva tesa alla ricerca di una possibile soluzione che tenga conto delle cause e degli effetti connessi al problema selezionato. Nel momento conclusivo, infine, è prevista una ulteriore attività di riflessione sul processo messo in campo, cecando di analizzarne punti di forza e punti di criticità. In tal modo si attivano diversificati processi tendenti alla maturazione globale del ragazzo come persona e come cittadino. In particolare richiamo l’attenzione sui processi metacognitivi e sull’acquisizione della consapevolezza della complessità della società in cui siamo tutti immersi nonché dell’interdipendenza tra tutti gli esseri umani. Non ultima la consapevolezza che se si vuole migliorare il mondo ognuno è chiamato a fare la propria parte ed a farla collaborando assieme agli altri.

Il volontariato rappresenta la parte migliore di questa nostra società egocentrica ed egoistica, basata sull’avere e sulla prevaricazione, a tutti i livelli, anche istituzionali. Per quanto, anche nel volontariato,  si siano verificati episodi che definire incresciosi è solo un pietoso eufemismo e che ne hanno intaccato la credibilità, il volontariato organizzato è ancora un’attività molto apprezzata a livello sociale, infatti occupa sempre i primissimi posti nelle varie statistiche che di tanto in tanto i media ci propongono.

Ma cos’è, in fondo, il volontariato? Qual è il suo stigma caratterizzante? La risposta è abbastanza semplice: la caratteristica peculiare del volontariato, qualunque sia la forma secondo cui esso si esplica, è il dono finalizzato alla solidarietà. Il dono è cosa diversa dal ‘regalo’ perché quest’ultimo ha una qualche finalizzazione utilitaristica, ha una finalizzazione legata, seppure in modo molto tenue, ad un tornaconto, per quanto vago esso possa essere. Ti faccio un regalo perché mi hai fatto un favore, ti faccio un regalo perché compi gli anni, ti faccio un regalo perché voglio entrare nelle tue grazie.

Il dono, invece, nasce da un profondo rispetto verso l’altro visto come una persona che ha una dignità che vogliamo collaborare a salvaguardare.

Ripeto, l’unico e solo motore del volontariato è il dono. Spesso sentiamo parlare di volontariato del dono, in particolare quando ci si riferisce ad associazioni che possono oramai essere considerate storiche: l’AVIS (associazione volontari italiani del sangue) , l’ADMO (associazione donatori midollo osseo), l’AIDO (associazione italiana donatori organi), l’ADISCO (associazione donatrici italiane sangue cordone ombelicale). In realtà, lo ribadisco ancora una volta, tutto il volontariato è da considerare come volontariato del dono. Pensiamo, ad esempio, alle associazioni ambientaliste, quali potrebbero essere il WWF (World Wide Fund for Nature) oppure Legambiente. Anche in questo caso le numerose attività messe in campo sono riconducibili al dono. Un ambientalista condivide volontariamente, cioè dona alla comunità, il suo tempo, le sue competenze, le sue energie, mettendoli al servizio del bene comune senza che a lui venga nessun tornaconto personale, se non quello che ne deriva alla comunità di cui fa parte. Per il volontario, inoltre, la comunità ha dei confini molto labili, in quanto spesso si allarga fino ad abbracciare tutta la comunità umana. Un donatore di sangue o di organi o, ancora, di midollo non sceglie a chi rivolgere il proprio dono, così come un ambientalista, per quanto possa scegliere di occuparsi di una zona piuttosto limitata di verde non si pone il problema se i vantaggi saranno anche di qualcuno a cui non aveva neanche pensato.

Portare in classe un volontario, o meglio un’associazione di volontariato, può essere un’esperienza molto significativa per i ragazzi. Sicuramente un’esperienza con maggiore impatto in una classe del primo ciclo perché i bambini ed i ragazzi, molto più rispetto agli adolescenti, sono più portati a credere nei sogni. Hanno ancora la predisposizione ad affrontare, in modo romantico, sfide che potrebbero sembrare proibitive se passate alla lente della razionalità, perché credono ancora fermamente nel futuro. Con l’età aumenta anche il disincanto. Gli adolescenti cominciano ad acquisire il cinismo degli adulti e diventa, quindi, più difficile forare le corazze del disinteresse e della superficialità per loro forgiate da una società che antepone l’avere all’essere, l’io al noi.

Il fine ultimo dell’insegnamento dell’educazione civica, quasi escatologico, dovrebbe essere quello di combattere lo scadimento morale che ogni giorno di più caratterizza la società attuale. Far nascere nel bambino e nel ragazzo l’interesse e l’attenzione verso i propri simili, ma anche verso gli animali e verso l’ambiente,  è un grande impegno che dovrebbe essere vissuto dalla scuola come impegno primario.

La scola come istituzione asservita alla trasmissione di informazioni è solo il residuo di un passato non più proponibile. Una scuola che voglia dirsi ed essere veramente moderna deve dedicarsi alla promozione di un uomo in formazione e che tale rimane per tutta la vita, un uomo consapevole di far parte di una comunità molto più ampia della sua stretta cerchia di conoscenze, una comunità che abbraccia tutto il genere umano, una comunità che deve vivere, per la sua stessa sopravvivenza, in perfetto e rispettoso equilibrio con la natura, nella sua accezione più ampia.

Per concludere, tra i documenti da considerare ai fini dell’insegnamento dell’educazione civica bisogna annoverare l’Agenda ONU 2030 e l’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, entrambi documenti più volte richiamati in questo blog. L’enciclica papale riprende il dettato di San Francesco d’Assisi per cui qualcuno potrebbe sollevare obiezioni circa l’insegnamento confessionale in essa sotteso. L’enciclica va letta con una lente prettamente ed esclusivamente laica, se qualcuno vuole ampliarla ed arricchirla con contenuti confessionali è una scelta individuale. L’utilità di proporre un simile documento sta solo nel proporre una chiave di lettura per far capire che uomo e natura non possono confliggere perché sarebbe l’uomo ad averne la peggio. Bisogna prendere consapevolezza di quanto dicevano i pellerossa già oltre due secoli orsono: «È l’uomo che appartiene alla terra, non la terra all’uomo». un semplice riflessione da pare di un popolo fiero e saggio considerato dai civili bianchi come un popolo di selvaggi ma dal quale ci sarebbe molto da apprendere.

Articoli correlati:

  1. Cultura è libertà
  2. Educazione civica: perché?
  3. Per una sostenibilità consapevole
  4. Il webquest
  5. Economia dell’attenzione
  6. Competenze di cittadinanza
  7. La comunità educante
  8. Riscopriamo l’altruismo
  9. Cittadinanza e sostenibilità
  10. Service learning ed educazione civica

Foto: https://www.lettore.org/ – https://giulianoguzzo.com/ – https://www.consumo.ch/ – https://www.difesapopolo.it/