
Materie e discipline
Spesso ci capita di fare poca attenzione ai termini che usiamo. Per pigrizia, o per abitudine, non prestiamo ad essi l’attenzione che meritano. Due termini tra tutti quelli che spesso, sbagliando, utilizziamo come sinonimi sono materia e disciplina. In realtà essi si riferiscono a due oggetti ben poco simili, per quanto tra loro legati. Il fatto che un docente prima si occupasse di una materia ed adesso debba, invece, occuparsi di una disciplina, entrambe lo stesso nome, ci induce facilmente all’errore.
Parlare e riflettere della differenza tra materia e disciplina non deve essere intesa come una disertazione teorica fine a sé stessa, non si tratta di andare a cercare il classico pelo nell’uovo e neppure di fare questioni di lana caprina senza nessun risvolto pratico. Non si sta indagando sul sesso degli angeli, al contrario! Essere consapevoli della differenza, profonda, che separa una “materia” dalla “disciplina” corrispondente influisce in modo significativo sul modo di insegnare ed anche sull’oggetto dell’insegnamento.
La differenza tra materia e disciplina è strettamente collegata a quella tra conoscenze e competenze. Mentre le conoscenze e le materie si fermano all’apparenza in quanto viene proposto il concetto come tale, le competenze e le discipline vanno più in profondità chiedendosi il perché ed il come si sia giunti a quel determinato concetto. Mentre la materia, infatti, è costituita da un insieme di concetti dichiarati a priori da accettare tal quali, come prodotto finito, la disciplina si occupa di andare a vedere ed a capire anche il processo di pensiero che ha portato a quel prodotto. In questo processo saranno chiaramente coinvolti altri concetti che presumibilmente apparterranno ad altre discipline. Per avere un quadro e farsi un’idea molto più articolata sull’argomento, mi permetto di consigliarvi la lettura della pagina web dalla quale ho preso spunto per questo ben più modesto articolo. Come riporta la pagina appena segnalata «Materia e disciplina si distinguono tra loro perché la prima si definisce come un insieme di concetti riferiti ad un determinato ambito scientifico, mentre la seconda si definisce come l’insieme degli strumenti di conoscenza che quell’ambito utilizza per produrre quei concetti».
Lavorare con una materia vuol dire, in pratica, trasferire, trasmettere, dei concetti, delle formule o qualunque altra informazione che lo studente è chiamato a memorizzare ed a mantenere inalterate nelle sue conoscenze. La funzione dello studente è solo quella di immagazzinare informazioni. Saremmo proiettati, in altre parole, nella direzione di avere un ragazzo con una testa ben piena, per usare la bella immagine coniata da Edgar Morin e che il famoso studioso ha dato come titolo ad un suo lavoro (Edgar Morin – La testa ben fatta – Raffaello Cortina Editore Il testo può essere scaricato gratuitamente dal sito consigliato). Una simile scelta del docente verrebbe a creare una situazione per la quale il ragazzo non è tirato in ballo, rimanendo spettatore di un processo di apprendimento guidato e gestito da altri, nella fattispecie il docente. La sua vita e la sua personalità rimarrebbero fuori dall’aula e dal suo percorso di maturazione, non solo cognitiva. Tale percorso si qualificherebbe semplicemente come un apprendimento nella forma ma non nella sostanza, un apprendimento che rimarrebbe epidermico perché non effettivamente ed efficacemente interiorizzato. Potremmo dire, per rimarcare il concetto, che insegnando soltanto una materia il ragazzo viene estromesso dal suo percorso di apprendimento. Cosa ben diversa, invece, quando dalla materia si passa alla disciplina. Insegnare una disciplina vuol dire coinvolgere tutta la personalità e tutto il vissuto del ragazzo che è chiamato ad un ruolo attivo nell’esperire il proprio percorso di apprendimento. L’insegnamento per materie fornisce una rappresentazione statica di una visione preconfezionata della realtà, che è e rimane una realtà distante e poco reale. L’insegnamento di una disciplina, invece, favorisce, richiede e promuove una visione personale della realtà, una realtà che il ragazzo è chiamato ad interpretare in prima persona, in base alla sua personale esperienza ed alla sua personale sensibilità. Questo rende una relazione educativa molto più complessa perché ogni alunno è portatore di esperienze diverse, ma, proprio per questo, anche molto più stimolante. Il processo di insegnamento-apprendimento, quindi, diventa un processo pro-attivo i cui protagonisti assumono il ruolo di portatori di nuove acquisizioni per tutto il gruppo.
Nel caso delle discipline ogni ragazzo è chiamato a “costruire”, a ricercare ed a spiegare i concetti precipui di quel dato ambito di conoscenze per cui questa sua attività non può non essere influenzata dal suo modo di vedere e di interpretare la realtà. Ancora, la materia prevede e promuove la scienza come replica della realtà del mondo, mentre la disciplina porta l’alunno a dare uno sguardo sul mondo. La differenza sostanziale è che nel primo caso si prende atto della realtà, nel secondo, invece, è richiesta una riflessione personale in quanto lo “sguardo sul mondo” implica un’osservazione e, quindi, evoca delle considerazioni personali il che, a sua volta, fa sì che l’alunno fissi l’attenzione su fatti e fenomeni che vengono da lui considerati e selezionati in base al proprio modo di pensare ed al proprio mondo esperienziale.
Si ritorna a parlare della testa ben fatta e della testa ben piena di cui parlava Edgar Morin. Nel primo caso, quello inerente alla materia, il docente pensa ad un ragazzo con la testa ben piena, e più piena è la testa maggiore sarà, per tale docente, la preparazione dell’alunno e la propria gratificazione di insegnante. Tutto ciò significa soltanto accumulare conoscenze, senza veramente acquisirle. Nel caso della testa ben fatta le cose cambiano, cambia radicalmente il paradigma di riferimento. È importante, in questo caso, che il ragazzo abbia l’attitudine a individuare i problemi e ad ipotizzarne e verificarne le soluzioni utilizzando quei principi che permettono di collegare i saperi e di dare loro un senso. Il bravo docente, ha detto qualcuno di cui non ricordo il nome, non è colui che dà tutte le risposte ma colui che riesce a stimolare nei ragazzi la curiosità, la voglia di fare domande e di coltivare il dubbio, l’esigenza di capire per il gusto della conoscenza. L’alunno con l a tesa ben fatta è quell’alunno che ha imparato a contestualizzare quanto apprende senza limitarsi alla semplice nozione.
Nel processo appena proposto entra in gioco un altro aspetto importante per la crescita globale dell’alunno-persona: la sfera emotiva ed affettiva. La necessità che vengano coinvolta anche la sensibilità e l’esperienza personale fanno sì che il ragazzo partecipi nella sua globalità al proprio processo di apprendimento, senza lasciare tutto il campo all’arida razionalizzazione.
Infine, a mo’ di chiosa finale, vi è da aggiungere una ulteriore considerazione. In base a quanto appena affermato, lavorare per materie porta il docente ad operare in modo individuale ed autoreferenziale, mentre il lavoro per discipline impone una modalità di lavoro basata sulla collegialità e sulla condivisione, impone una visione e dei criteri di valutazione comuni e condivisi. E questa seconda modalità operativa permette, senza dubbio, di ottenere risultati migliori e più duraturi a fronte di una maggiore gratificazione per gli sforzi fatti, sia dai docenti sia dagli alunni.
Articoli correlati:
- Una riflessione sulle competenze
- Progettazione per competenze ed UdA
- Le competenze: uno strumento complesso
- aaa Riflettori cercasi
- Insegnare le competenze
- Le rubriche di valutazione
- Educazione alla cittadinanza globale
- Il potenziamento della competenza emotiva
- Conoscenze, competenze e crediti
- Rendicontazione dell’attività didattica
Foto: https://acquisti.corriere.it/ – https://www.fanpage.it/ – https://liceocafiero.edu.it/ – https://tg24.sky.it/