Oppressi dal sonno

Oppressi dal sonno

12 Giugno 2022 0 Di giuseppe perpiglia

La scuola sta cambiando perché sta cambiando il mondo, perché sta cambiando la società. Ed è giusto così! Non si potrebbe vivere in una società cristallizzata su posizioni e su paradigmi rigidi ed immutabili. Verrebbe meno il concetto stesso di futuro e di speranza, l’uomo sarebbe privato di qualsivoglia anelito, che è la spinta verso l’attività e la vita. La vita stessa, infatti, poggia sulla diacronia dell’essere, ma anche sulla sua contingenza, sul qui ed ora. È dall’equilibrato amalgama tra essere e divenire che possiamo dare un senso alla nostra vita.

Scusate questo preambolo di filosofia spicciola. È stato ispirato dal fatto che, per questo articolo, ho preso spunto da una riflessione del professore Andrea Porcarelli sul passo del Vangelo che parla della Trasfigurazione di Gesù ed in cui si dice che gli apostoli erano oppressi dal sonno.

Quante volte anche a noi è capitato di essere oppressi dal sonno e non rispondiamo adeguatamente al richiamo della vita, quante volte per il sonno non ottemperiamo ai nostri doveri. A volte, addirittura, è la nostra ragione, il nostro raziocinio di essere umani, la nostra coscienza a cadere in un sonno profondo ed allora si generano mostri. Come le guerre, tutte le guerre, insegnano e dimostrano.

Questo articolo, però, non ha grandi ambizioni, vuole volare basso, ha un profilo modesto. Infatti, vuole solo portare qualche piccola e personale riflessione sulla quotidianità che si svolge in classe.

È dato comune che al mattino il sonno, quello reale, quello che nasce dalla primaria esigenza fisiologica volta a ristorare spirito e corpo, ghermisce alunni e, perché no, anche qualche docente.

Il docente, da adulto e da modello, non può e non deve lasciarsi sopraffare, anzi deve aiutare i ragazzi a resistere a loro volta.

Tra personal computer, smartphone e televisione, diversi ragazzi non dormono abbastanza per cui in classe sono incapaci della dovuta e necessaria concentrazione. Questo porta, non poche volte, a far sì che, per contrastare il sonno, tendono a dare fastidio e a dare segni di irrequietezza. Piccolo aneddoto personale. In una mia classe prima della scuola secondaria di primo grado, c’era un ragazzino che con buona frequenza si addormentava reclinando il capo ed utilizzando le braccia incrociate sul banco a mo’ di cuscino. In altre parole, se la dormiva della grossa. La prima cosa che ho fatto è stata quella di avvisare i genitori. La madre, con un candore disarmante, quasi fosse la cosa più comune al mondo, mi informa che il ragazzino, 11 anni, restava sveglio fino alla 2-3 di notte a giocare con il cellulare, oppure al personal computer o, infine, a guardare qualcuno dei film che davano in televisione. Ed a quell’ora chissà cosa passava sui teleschermi!

Alla mia sorpresa ed al mio stupore, mi ha risposto, con il solito candore: «Ed io cosa ci posso fare?». Ecco, questo è un esempio di sonno che dobbiamo, come adulti ed ancor di più come educatori, evitare e combattere.

Il ruolo sociale che svolgiamo in classe riconosce una duplice investitura: quello di educatore (origine formale) e quella di adulto (origine informale). Sono investiture e funzioni che hanno valori in loro stesse, a prescindere dal target o dal gruppo più o meno selezionato verso cui sono rivolte. È un ruolo sociale che nella sua doppia causalità non si pone limiti di tempo, di spazio e di destinatario.

Il docente deve, quindi, come dovere etico, deontologico e professionale, tentare di educare anche le famiglie. Specie in questi tempi di disorientamento, di lassismo, di buonismo, tutti atteggiamenti che hanno lo scopo, manifesto o implicito, di ammantare il disimpegno, si è avuta una perdita di autorevolezza da parte degli adulti, delle figure di riferimento, e per tentare di arrestarla bisogna agire sulle cause. E nel caso degli studenti spesso, sempre più spesso, le cause primigenie risiedono proprio nelle famiglie e nei loro atteggiamenti di accondiscendenza che consiste nel non sapere dire NO nei momenti opportuni, nel non sapere fissare dei paletti e dei limiti insormontabili.

C’è un altro sonno, più subdolo perché molto meno appariscente che colpisce ragazzi ed adulti. È il sonno dell’interesse, della voglia di fare, di apprendere, di migliorarsi, quindi, di credere nel futuro e di interessarsi al mondo. Questo morbo rende vano, fatuo, inutile il lavoro del docente perché l’alunno che ne è affetto non apprende e non acquisisce nulla di quanto gli si propone. Semplicemente, non lo considera. Si fa scivolare tutto addosso.

È, questo, un altro frutto della società che abbiamo contribuito a creare. I ragazzi, ormai, hanno tutto quello che vogliono, non debbono lottare per ottenere un nuovo smartphone, piuttosto che i soldi per un concerto. La società, anche nelle sembianze della famiglia, dà loro risposte a domande spesso neanche formulate: «A mio figlio non faccio mancare nulla!». La tragica conseguenza, tragica per un equilibrato sviluppo della persona, è che i ragazzi non hanno nessuna meta per la quale lottare il che porta all’attenuazione dell’interesse. Non si ha più quella tensione per raggiungere un qualche obiettivo che ha senso e significato ed a poco a poco si perde anche il senso ed il significato delle cose.

In un simile contesto, cosa può fare il docente? Per cercare di articolare una risposta mi rifaccio a Maria Montessori: «Per insegnare bisogna emozionare». A questa frase lapidaria si affianca, come degno corollario, quest’altro suo pensiero: «Vi è una sola maniera di insegnare: quello di suscitare il più profondo interesse ed insieme una viva e costante attenzione. Si tratta, dunque, solo di questo: utilizzare l’intima forza del fanciullo per la sua educazione».

Per essere capace di emozionare, però, bisogna essere capace di emozionarsi, bisogna essere, oltre che esperto e ben preparato nella propria disciplina, anche spinto dalla passione verso ciò che si insegna e verso coloro a cui si insegna. Bisogna essere in grado di far trasparire l’amore per quello che si dice e si propone. In tal modo, ogni docente aprirà, per il ragazzo, nuovi mondi, gli prospetterà nuove avventure e nuovi orizzonti che saranno in grado di rapire il ragazzo stesso, il quale si lascerà trasportare e facilmente contagiare dall’entusiasmo del docente. Per dare un senso e per completare, però, tale percorso di coinvolgimento bisogna che il ragazzo sia, si senta e divenga protagonista principale. Deve poter applicare, anche con la propria manualità, quanto gli viene proposto. È nell’attività, in special modo se condotta in gruppo, che le conoscenze teoriche vengono introiettate divenendo parte integrante del bagaglio culturale personale.

Non bisogna, inoltre, tralasciare l’importanza del lavorare in gruppo, specialmente quando viene accompagnato dalla didattica laboratoriale. Tale importanza si esplica su vari fronti. Per prima cosa, il gruppo dei pari offre un ambiente, un contesto in cui il ragazzo si sente sicuro, tranquillo, si libera dalla sensazione di essere sempre sotto esame. Non si sente il punto terminale di un processo che lo vede solo come destinatario, bensì vive la consapevolezza di essere parte attiva di tale processo. Il lavorare in gruppo ha un altro effetto importante per la crescita dell’alunno-persona. Esso mette in moto e potenzia le dinamiche legate alle competenze relazionali e sociali. Il docente deve chiaramene fare da supervisore evitando che i rapporti, deteriorandosi, vadano in una direzione sbagliata. Infine, ma solo per elencazione, il lavoro di gruppo incide profondamente sul processo di auto-orientamento e di emersione delle competenze personali. In un gruppo finalizzato alla elaborazione di un qualche prodotto, ognuno svolgerà un compito che meglio si adatta e si confà alle sue capacità ed alle sue abilità.

Per concludere, l’insegnamento, oggi molto più di ieri, dovrebbe vertere a smuovere il ragazzo dall’apatia e dal disinteresse in cui la società ci sta spingendo tutti rendendoci succubi dell’oppressione del sonno.

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