
Il buon senso
È di poco tempo fa la notizia di una docente, supplente in una scuola primaria della provincia di Parma, condannata da un giudice per “abuso dei mezzi di correzione”.
Ma passiamo al fatto.
Oltre quattro anni fa, la docente viene avvisata da una collaboratrice scolastica che alcuni ragazzini di una classe quinta avevano imbrattato le pareti dei bagni con le loro feci. La maestra, come ovvio e doveroso per un’educatrice e per un adulto, redarguiva i ragazzini e per tutta risposta veniva denunciata dai genitori di quei “bravi ragazzi”.
Dopo quattro anni un giudice, sicuramente progressista, al passo con i tempi, di larghe vedute e, probabilmente, con tanta voglia di apparire, condanna la maestra ad un mese e venti giorni di reclusione con sospensione della pena. E questo dopo che lo stesso pubblico ministero ne avesse chiesto l’assoluzione per l’evidente irrilevanza penale della contestazione.
Al giudice, poverino, è andata male perché la sua sentenza non se l’è filata nessuno. Non ha fatto legislazione. Non sarà scritta a lettere radiose negli annali della legislazione mondiale. Ha fatto solo flop, mettendo in luce la pochezza nell’espletare una funzione molto delicata come quella giudicante. Penso sia molto condivisibile che tale giudice manchi di doti importanti per svolgere al meglio un tale ruolo: il buon senso ed il razionale discernimento.
Invece di denunciare l’insegnante, si sarebbero dovuti denunciare i genitori dei quei “bravi ragazzi” per “culpa in educando”, reato previsto dal Codice Civile all’art. 2048 e dall’art. 30 della Costituzione.
In particolare, l’art. 2048 (Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte) del Codice di Procedura Civile recita: «Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto». Una cosa mi ha colpito e la voglio porre alla vostra attenzione, cari lettori. Nel caso di educatori e di coloro che insegnano un mestiere o un’arte, l’articolo dice che rispondono del danno cagionato dai loro allievi ed apprendisti solo per il tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Per i genitori tali precisazioni non ci sono, il che significa che il genitore ne è responsabile sempre e comunque. È il genitore, infatti, che dovrebbe dare l’impronta principale e preminente di un’educazione volta a comportamenti corretti, civili e rispettosi di persone e di cose proprie ed altrui.
Quanto capitato alla collega supplente la dice lunga sulla considerazione di cui gode un’istituzione, la scuola italiana, ed una categoria di professionisti, la classe docente, che pure dovrebbero rappresentare le fondamenta necessarie ed imprescindibili di una società sana ed effettivamente moderna e capace di leggere i tempi e di anticiparli.
Ogni politico che si rispetti si affanna e si pavoneggia nell’affermare che metterà in cima alla propria agenda e, se del caso, dell’agenda del Governo in carica, una riforma organica della scuola con conseguente trattamento e riconoscimento adeguati a chi ci lavora. Il cavallo di battaglia di tali personaggi è «La scuola al primo posto!». Ma i fatti dimostrano incontrovertibilmente ed impietosamente la distanza abissale, costatazione per altro nota nel caso dei politici, tra il fare promesse ed il mantenerle.
Non sono un giudice, ma credo che riprendere ed eventualmente redarguire, anche in modo deciso, un adolescente o un bambino che sbagliano sia un dovere etico e morale di qualsiasi adulto, a maggior ragione se tale adulto svolge un compito a cui è demandato istituzionalmente l’istruzione e la formazione dei giovani cittadini, chiaramente dopo la famiglia.
Il ruolo del docente poggia sul dettato costituzionale previsto dall’art. 3 che recita «[…] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Il docente, come emanazione della Repubblica, cioè dello Stato, ha il compito di eliminare gli ostacoli, anche di ordine culturale, in grado di impedire il pieno sviluppo della persona umana.
La norma rappresenta la codifica e l’istituzionalizzazione del buon senso. Se questo manca non c’è norma che tenga e che possa trovare condivisione nella comunità.
In questa triste e per certi versi squallida vicenda è mancato proprio il buon senso da parte di più di qualche soggetto.
È mancato il buon senso (e la buona educazione) ai ragazzi che hanno commesso il fatto la loro posizione potrebbe essere lievemente rivista a causa della loro età ma ancor di più dalla non certo adeguata educazione avuta. Altro fattore da non trascurare è l’influenza del gruppo dei pari, il rafforzamento reciproco di comportamenti ed atteggiamenti trasgressivi.
È mancato il buon senso dei genitori. Prima, al momento di dare la giusta educazione, di far capire ed introiettare il senso del limite ed il necessario rispetto per sé stessi, per gli altri e per le cose. Dopo, nel momento in cui, forse nel tentativo di allontanare le loro colpe, quando hanno deciso di denunciare l’insegnante che ha ripreso i loro amati pargoli.
È mancato il buon senso all’avvocato che ha accettato un simile incarico. Se lo ha fatto solo per soldi o per convinzione poco importa, anche se il secondo caso aggraverebbe la sua posizione, almeno dal punto di vista etico.
Per ultimo ma non certo meno importante, è mancato il buon senso del giudice che, contro il parere dello stesso Pubblico Ministero che ne chiedeva l’assoluzione per inconsistenza del presunto reato, ha deciso motu proprio, per la condanna.
È mancato, infine, il buon senso dei sindacati che, ad eccezione della Gilda, non hanno dato assistenza alcuna alla malcapitata collega.
Al contrario, il buon senso lo ha dimostrato la collega comportandosi come ogni adulto di buon senso avrebbe dovuto comportarsi.
I genitori, anche in questo caso, si sono schierati acriticamente dalla parte dei figli ottenendo, oltre alla discutibile gratificazione della ragione data loro dal giudice, l’unico risultato di avere dei figli che si credono e si sentono autorizzati a fare tutto e di più, senza regole e senza limiti perché ‘hanno le spalle coperte’. Poi ascoltiamo in televisione o leggiamo sui giornali gli episodi di bullismo o apprendiamo dell’esistenza di baby-gang. È probabile che qualche ragazzino, con il crescere abbandonerà tali atteggiamenti eccessivamente trasgressivi per ritornare a comportarsi secondo le regole. Ma non si può negare che la possibilità che più di qualcuno di questi “senza regole” continui sulla china così amorevolmente fornita loro da genitori eccessivamente attenti a che i loro figli non abbiano a subire traumi psicologici per un sacrosanto rimprovero.
Anche la scuola sta andando, ormai da tempo, sulla strada dell’eccessiva medicalizzazione di tutto quando basterebbe, nella stragrande maggioranza dei casi, solo il sano buon senso che stiamo perdendo.
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