Cultura è libertà

Cultura è libertà

1 Maggio 2022 0 Di giuseppe perpiglia

Questo articolo prende spunto da un brano del professore Luciano Canfora tratto dal suo lavoro “Intervista sul potere” del 2013.

«Gli studenti condannati a una preparazione scarsa o apparente, o addirittura all’ignoranza, diventano più facilmente vittime del potere.

Sono cittadini debolissimi, indifesi, aperti a ogni influenza improvvisata e chiassosa.

Chi ha rovinato la scuola, ha ferito gravemente anche la Repubblica, il sistema democratico, la libertà individuale e la consapevolezza dei diritti. Spero che qualcuno prima o poi se ne accorga.

I futuri cittadini vengono resi così più fragili e manipolabili. È un grande problema storico-politico, di cui, temo, prima o poi vedremo conseguenze lancinanti.

Non vorrei apparire troppo pessimista, ma il successo di movimenti irruenti e semplificatori sul piano della lotta politica, si spiega anche con questa debolezza culturale».

Da molto tempo la cultura ha perso quel ruolo di guida, anche morale, e di valore assoluto ritenuto indispensabile per la crescita personale di ognuno. In realtà, non è che lo abbia perso, bensì le è stato scippato da una società che ha messo al primo posto l’apparire, che ha messo da parte valori universali precipui e caratterizzanti l’umanità dell’uomo, come il rispetto e la dignità, sostituendoli con simulacri di valori convinta che siano in grado di dare la felicità.

Tutta la tensione del vivere è riservata all’acquisizione del cellulare di ultima generazione o al marchio che fa più tendenza, che è più cool come si preferisce dire oggi. Gli stessi contatti personali sono quasi esclusivamente relegati nel campo virtuale dei social e servono, non per creare relazioni, ma solo per aumentare il numero dei follower.

La velocità è diventata la caratteristica peculiare ed irrinunciabile del nostro vivere quotidiano. Il risparmio di tempo che ne consegue non è, però, indolore, anzi è foriero di conseguenze che, per quanto non facilmente e prontamente rilevabili, esplicano la loro nefanda azione nel tempo. Non ci si ferma più, infatti, a ragionare, a riflettere ed a pensare sulle nostre azioni o su quelle altrui o su qualsiasi altra cosa. Ci comportiamo tutti come il cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie. Molte delle nostre azioni, se non tutte, si pensi alle risposte sui social, le compiamo di getto senza pensare al contesto ed alle eventuali conseguenze, senza addirittura controllare cosa abbiamo scritto.

Quanto appena affermato si lega all’incipit del professore Canfora perché il pensiero si sviluppa solo con la cultura e solo chi pensa è in grado di chiedere efficacemente il rispetto dei propri diritti.

Altro aspetto da considerare è che la velocità imposta da questa nostra società fa sentire i suoi effetti anche sul linguaggio (xkè, cmq, …) e sul lessico. Alcune ricerche condotte negli ultimi tempi ci dicono che il vocabolario, cioè il numero di parole conosciute dai nostri ragazzi si è drasticamente ridotto. Il lessico si è pesantemente impoverito. Ma la lingua sta alla base del pensiero, per cui più povero è il linguaggio ed il lessico, più il pensiero tende ad atrofizzarsi. E chi non è in grado di pensare è facile preda di chi vuole imporsi con l’inganno, ammaliando, come il pifferaio magico, le masse inermi ed indifese dal punto di vista culturale.

Le parole ci permettono di comunicare il nostro mondo interiore. Se non disponiamo delle parole necessarie non riusciamo ad esprimere i nostri sentimenti ed il nostro pensiero che, quindi, tenderà ad inaridirsi fino a scomparire.

Le parole, con tutte le loro varianti e le loro sfumature di significato, costituiscono uno strumento primario per metterci in contatto con il resto del mondo, per creare un rapporto, un canale comunicativo bidirezionale in cui veicolare le nostre sensazioni e i nostri pensieri e per comprendere quelli degli altri. Noi siamo in grado di innescare qualche cambiamento, piccolo quanto di vuole ma mai insignificante, nella realtà che ci circonda con i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre aspettative che mettiamo in comune grazie alle parole. Più parole abbiamo a disposizione, più precisamente riusciamo a comunicare quanto vogliamo, anche le richieste circa i nostri diritti, anche la nostra contrarietà a quanto non ci sembra giusto.

Le parole, però, non servono solo a comunicare ed a comprendere la realtà ma anche ad ipotizzarla. Il lessico sempre più ristretto ha portato anche ad un’altra conseguenza, tanto diffusa da diventare spunto per numerose barzellette: l’uso del congiuntivo. Il congiuntivo è un modo verbale la cui funzione basilare è quella di indicare un evento ipotetico o non rilevante. Ipotizzare situazioni o accadimenti, però, è una funzione precipua del pensiero per cui, regredendo la capacità di pensiero, viene meno anche l’uso del congiuntivo. E se non facciamo delle ipotesi, come facciamo ad immaginare il futuro? Saremo costretti a vivere sempre e solo nel presente, diventeremo prigionieri del contingete! Non potremmo miglioraci perché non saremo capaci di comunicare agli altri, ma neanche a noi stessi, il dubbio, motore del cambiamento.

Altra conseguenza legata alla rincorsa spasmodica della velocità è legata alla richiesta di sinteticità. È una caratteristica adatta ed idonea, a volte anche essenziale, in alcuni contesti, ma non è certo tale in altre situazioni perché porta, spesso, a banalizzare questioni complesse che, invece, avrebbero bisogno di molte parole per essere esplicitate nel modo migliore ed in modo esaustivo. Molte faccende umane non possono essere ricondotte al dualismo semplice quanto ingenuo del bianco o nero. Parafrasando il titolo di un film, esistono sempre 50 sfumatura di grigio che andrebbero esplicitate per avere un quadro più attinente alla realtà dei fatti. Un esempio tragicamente lampante è la guerra che sta vedendo contrapposte Russia ed Ucraina. Ascoltando alcune discussioni o i diversi talk show televisivi, sembra di assistere ad un evento sportivo, con i tifosi per l’una o per l’altra delle due nazioni. La situazione è molto complessa ed affonda le sue radici in tempi lontani. Situazioni pregresse che andrebbero considerate nella loro complessità.

Si gioca, invece, a buoni e cattivi, a guardie e ladri, affibbiando un ruolo oppure l’altro in base a considerazioni che non hanno fondamento. In questo caso giocano un ruolo importante i mass media che elargiscono informazioni a proprio uso e consumo, oppure ad uso e consumo dei contendenti. Si parla di una guerra delle fake news, cioè una guerra che tra le armi più affilate considera le notizie false. Tali notizie per trovare risonanza, però, hanno bisogno di cittadini poco smaliziati, di cittadini la cui cultura e la cui voglia di sapere e di conoscere si ferma all’apparenza, ma non a quella reale, bensì a quella che viene loro mostrata.

Nulla facendo per arginare tale deriva manipolativa delle menti ci troveremmo ad essere in mano di coloro che gestiscono l’informazione con la beffa di rimanere convinti della nostra libertà. È questa una delle criticità della democrazia. Questi comportamenti riescono a passare nelle maglie della democrazia che, gioco forza, sono larghe. Nel caso in cui non lo fossero non sarebbe più democrazia.

L’unico vero ed efficace antidoto è e rimane, quindi, la cultura. Bisogna fornire ai ragazzi i necessari strumenti culturali, fra cui un posto di primo piano spetta di diritto ad un linguaggio che proponga e stimoli un lessico quanto più ampio possibile. Questo primo, essenziale, rimedio va, però, affiancato dall’abitudine a pensare, a riflettere con la propria testa. Bisogna portare i ragazzi a diffidare di tutto quanto ci viene propinato dai mass media, internet in testa. Bisogna far capire loro che prima di accettare una qualsiasi verità o presunta tale, una qualsiasi informazione o notizia, bisogna confrontare più fonti. Infine, altro accorgimento importante, è quello relativo alla legittimazione della fonte stessa, bisogna cioè assicurarsi che essa sia adeguatamente autorevole in quello specifico campo.

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