
Quale educazione?
Uno sviluppo sociale ed umano corretto dovrebbe poggiare sull’esperienza degli adulti, sull’attivismo dei giovani e sui sogni dei ragazzi. Sono tre pilastri insostituibili su cui poggia l’evoluzione di qualsivoglia comunità umana. È un tripode e come tale rimane in piedi fin quado tutti e tre i pilastri reggono. Se uno solo di essi dovesse venir meno non ci sarebbe più possibilità di mantenere il necessario equilibrio e tutta l’impalcatura sarebbe destinata a crollare.
È quello che si sta verificando da tempo nelle nostre società. Gli adulti, cioè la generazione che dovrebbe svolgere il ruolo di pietra angolare, di punto fermo, di centro di gravità permanente per dirla con Franco Battiato, hanno da tempo abdicato al loro ruolo precipuo. Hanno abdicato al loro ruolo di educatori, di modelli, di esempi per i valori assoluti ed universali, quei valori in grado di caratterizzare e garantire nel tempo l’umanità dell’Uomo. Hanno rinunciato al diritto-dovere di dire no quanto necessario. Il loro stigma è diventata l’accondiscendenza agli spesso irrazionali desiderata dei figli.
La mancanza di guide e di esempi hanno creato una generazione di ragazzi fragili. Una generazione che non riesce a combattere, neanche a resistere alle continue sfide della vita. La responsabilità degli adulti è tanta. Spesso sentiamo dire da più di qualche genitore «Io ai miei figli cerco di non far mancare nulla». Ebbene, secondo lo psichiatra, sociologo e scrittore Paolo Crepet, questo genitore starebbe dimostrando una grande idiozia. Secondo Crepet, infatti, ed il suo pensiero è piuttosto condivisibile, se non ci manca niente non siamo portati, o costretti, a fare ricorso alla curiosità, all’ingegno, al talento. Pensiamo alla nota massima “La necessità aguzza l’ingegno”. È dalla mancanza che si sprigiona la voglia di fare, è dalla carenza che origina la necessità di trovare un rimedio. Tendendo ad eliminare dalle loro vite tale molla abbiamo creato giovani che si annoiano e cercano emozioni forti, emozioni che li facciano sentire vivi, in situazioni altre, sempre più al limite.
Le statistiche dell’Osservatorio nazionale sull’adolescenza ci dicono che in Italia il 65% degli under 18 fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, il 20% ha partecipato ad una rissa.
Come adulti, come genitori, come educatori ci dovremmo interrogare sulle nostre azioni, compiute od omesse, perché è fuor di dubbio che abbiamo sbagliato qualche cosa.
Anche la scuola deve interrogarsi e riflettere sul suo operato. Dalla stagione delle riforme, cioè dal 2000 in poi, si è completamente annullata la visione sul lungo periodo, il sistema di istruzione italiano va a zonzo senza una meta, naviga a vista, in base al sentire contingente ed all’estro del ministro in carica.
Nella famosa stagione delle riforme ogni ministro che si è avvicendato al dicastero di viale Trastevere si è sentito in dovere di lasciare la sua impronta associata a nomi ed oggetti: concorsone, portfolio, cacciavite. Si è comunque trattato di riforme molto evanescenti perché subito cancellate ed annullate dal rispettivo successore. Il risultato ottenuto, e non poteva essere altrimenti, è stato solo quello di aggiungere altra demotivazione a quella, tanta, già presente per altri motivi. Motivi storici quali quelli consistenti nella scarsa considerazione sociale, politica ed economica riservata ad una categoria di professionisti appena sopportata da una politica miope. Salvo poi chiamare in causa la scuola per ogni problema della società. Il malumore dei docenti, in modo cosciente o meno, si è trasformato in un servizio reso ancora più scadente, potenziando il già annoso circolo vizioso “mi paghi poco e lavoro male, lavori male quindi ti pago e ti considero ancora meno”. Le spese di tutto ciò le hanno pagate e le stanno pagando i ragazzi. A questo bisogna aggiungere la latitanza o, peggio, l’esplicita contrapposizione delle famiglie.
L’economia ha da sempre cercato di annichilire la scuola ed il suo ruolo fondamentale, ma oggi questa tendenza è ancora più evidente. Si sta sempre più affermando l’idea che la scuola non debba più preparare alla vita, ma debba preparare al lavoro. La scuola non ha più la funzione, alta ed impegnativa, di formare cittadini, bensì solo lavoratori che presentino poco o punto spirito critico, quasi incapaci di pensare e ragionare con la propria testa. E la differenza non è di poco conto.
In effetti, abbiamo costruito un sistema “educativo” e scolastico studiato solo per rendere i ragazzi adatti al mondo degli adulti, salvo escludere, già dai primi anni, chi non riesce o non vuole adeguarsi. La nostra scuola è ancora intrisa dell’atteggiamento volto ad escludere piuttosto che ad accogliere. È emblematica la costatazione che viene ancora utilizzato il termine RESPINTO per indicare che un ragazzo non ha raggiunto i traguardi previsti per passare alla classe successiva.
I ragazzi, da che mondo è mondo, sono fatti per cambiare il mondo che li ha accolti, non per adeguarsi ad esso. E questo richiede la capacità di conoscere e capire le regole esistenti per selezionare quelle inefficaci o dannose e cambiarle in meglio, mentre qualcuno pretenderebbe che essi le accettino senza discutere.
Qualche adulto dirà che i giovani hanno la testa tra le nuvole, che non hanno il senso della realtà, che sono sempre persi dietro i loro sogni. Bene! Ogni cambiamento trova la sua scaturigine in un sogno. Si pensi a Madre Teresa di Calcutta, si pensi a Enrico Mattei, si pensi ai grandi artisti che nella loro testa hanno albergato sogni che, una volta realizzati, hanno portato alle grandi opere d’arte che ancora oggi ci riempiono di meraviglia e ci insegnano cosa sia la bellezza. E per questo che il mondo degli adulti, scuola compresa, deve lasciar sognare i ragazzi. È nel sogno che vengono fuori le inclinazioni di ognuno. La scuola e gli adulti in genere dovrebbero soltanto aiutare i ragazzi a mettere in pratica i loro sogni, a trasformare l’idea in realtà, per avere una società diversa, più attiva, più dinamica. E forse anche più giusta.
Ben venga lo studio, ma bisognerebbe fare in modo che lo studio discenda da un’autonoma scelta individuale e che non sia posto come un’imposizione dall’alto. Mettiamo da parte le spinte, sostenute dal mercato, basate sulla pretesa di preparare non tecnici bensì ‘operai’ e cerchiamo, come docenti e come adulti, di preparare i ragazzi ad affrontare la vita. Cerchiamo di farli innamorare dei classici, delle scienze, del pensiero dei grandi, … Creiamo le migliori condizioni in modo che possano dare sfogo alla loro curiosità ed essere quindi spronati a seguire e soddisfare le loro esigenze e le loro inclinazioni. Se un ragazzo ha una testa ben fatta e non una testa ben piena, per usare una bella espressione di Edgar Morin, potrà imparare l’operatività del lavoro che si troverà ad affrontare senza eccessive difficoltà. Anzi, ne trarrà soddisfazione perché, facendo un lavoro che gli piace, lo farà con passione traendone gratificazione.
Ritorniamo allo spirito dei Padri costituenti che avevano demandato alla scuola l’alto ed impegnativo compito di creare cittadini, elevandoli dallo stato di sudditi in cui per innumerevoli anni avevano vissuto. In effetti, a causa di diversi fattori socio-economici, è in atto una deriva che sta tentando di riportarci nella condizione di sudditi. Allora riscopriamo la Costituzione come linea guida del fare quotidiano non come ulteriore materia da studiare nel chiuso delle proprie camerette, oppure relegati all’interno della scuola, ma come documento vivificare nelle relazioni sociali ed amicali, tra la gente.
Chiudo queste riflessioni con una frase di Albert Einstein «Il mondo che abbiamo creato è un prodotto del nostro pensiero. Non può essere cambiato senza cambiare il nostro pensiero». Ed è proprio questo che gli adulti, ed i docenti in particolare, dovrebbero fare.
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