
Economia dell’attenzione
All’inizio fu il baratto grazie al quale si cominciò ad avere uno scambio ‘commerciale’ per soddisfare le esigenze primarie. In seguito vi fu l’introduzione del denaro e nacque il primo germe di quello che oggi è il commercio moderno. Dai banchi del mercatino rionale su cui gli agricoltori e gli artigiani offrivano i loro prodotti fino ad arrivare ai grandi centri commerciali moderni ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi la fa da padrone l’e-commerce, il commercio on line. Sulla rete è possibile la compravendita di qualsiasi cosa, soprattutto di quello che non si pensava si avesse bisogno. La logica conseguenza è una concorrenza spietata, una corsa spasmodica per accaparrarsi il fatidico “posto al sole”. Ma la concorrenza non è più quella di pochissimi decenni fa, ora il terreno di battaglia è sulla rete perché la concorrenza più aspra si gioca, come ben sappiamo, nel campo del già citato e-commerce.
Negli ultimi decenni l’economia ha spostato l’attenzione dai prodotti e dai beni ai servizi. Si è passati dall’economia dell’accesso, basata cioè sull’accesso, appunto, al bene o al prodotto ed al suo possesso a quella che qualche studioso ha chiamato iper-economia in cui il possesso dei beni è stato sostituito dall’accesso e dallo sfruttamento di servizi sempre più personalizzati. Basti pensare ad un abbonamento proposto da un qualsiasi gestore telefonico. Il gestore di turno è disposto a regalare il bene, nella fattispecie il telefono cellulare, a fronte della stipula del contratto relativo al servizio. L’utente perde di fatto la proprietà del bene che, paradossalmente, diventa un accessorio del servizio che è pensato per essere lifetime, cioè per tutta la vita.
Nella nostra epoca dominata da una miriade di informazioni su tutti gli argomenti e le tematiche possibili ed immaginabili diventa sempre più carente un requisito importante, anzi essenziale, ai fini della fruizione della stessa informazione. L’anello debole è l’attenzione del fruitore. Chi riesce a catturare efficacemente l’attenzione del proprio target di riferimento, comunque meglio dei suoi concorrenti, riuscirà molto probabilmente a incrementare le “vendite” dei propri prodotti e dei propri servizi.
L’attenzione acquisisce, quindi, almeno in ambito economico, lo status di una vera e propria fonte di guadagno. Su tale convinzione ha preso forma la cosiddetta economia dell’attenzione o, per dirla in inglese, attention economy. Secondo tale visione, l’attenzione viene vista come una merce limitata, che quindi tende a scarseggiare, per cui ad essa vengono applicate alcuni concetti e principi propri dell’economia di mercato.
Davenport e Beck, nel 2001, hanno dato la seguente definizione: «L’attenzione è focalizzata sull’impegno mentale su un particolare elemento di informazione. Grazie all’attenzione, gli oggetti giungono alla mostra consapevolezza, ci occupiamo quindi di un particolare segmento informativo e poi decidiamo se e come agire». È abbastanza lecito pensare che all’aumentare delle informazioni disponibili l’attenzione diventi un fattore sempre più limitante rispetto all’utilizzo delle informazioni stesse.
Ciò scatena un gran fermento sul web perché ogni fornitore di prodotti o di servizi cerca di accaparrarsi l’attenzione di coloro che frequentano la rete. La prossima volta che vi trovate ad andare sulla rete fate attenzione a quanti “ganci” vi vengono proposti al solo fine di catturare la vostra attenzione e farvi rimanere più a lungo possibile su quel determinato sito con la speranza che tale attenzione possa trasformarsi in un profitto, non esclusivamente e non necessariamente economico, per l’inserzionista o per il committente del sito stesso.
Possiamo e dobbiamo fare tesoro di tali studi ed acquisizioni per adeguare il nostro modo di fare lezione. Se il docente non è in grado di tenere desta e viva l’attenzione dei ragazzi per tutto il tempo della lezione difficilmente potrà raggiungere il suo scopo. Possiamo essere perdutamente innamorati delle più belle poesie e conoscerle tutte a memoria, ma se le declamiamo per un’ora intera con un eloquio piatto e monotono, altro che sonno!
Allora, qualunque sia l’argomento bisogna essere in grado di proporlo con una lezione da rendere viva e coinvolgente ricorrendo ad artifici di varia natura dettati dal nostro carattere e dalla nostra esperienza. Ogni docente conosce bene l’andamento della curva dell’attenzione per cui sa quali contromisure sarebbe opportuno prendere.
Anni addietro, in occasione dell’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, come Avis regionale Calabria e provinciale di Crotone abbiamo invitato nella nostra provincia il professore Luciano Corradini, fautore principale di quell’introduzione perché relazionasse su quell’argomento a lui tanto caro. Il convegno ha visto la partecipazione di un folto pubblico di docenti interessati, nonché di molte “autorità”. Il punto focale del convegno fu preceduto, come di prassi, da discorsi ed interventi di saluto atti alla circostanza e quindi abbastanza noiosi. Alla fine tocca, finalmente, al professore Corradini. Con enorme sorpresa di tutti toglie di tasca la sua armonica a bocca ed inizia a suonare “calabresella mia”. Dopo un attimo di sorpresa, è scoppiato un applauso scrosciante. Per quanto mi riguarda, è stata la più grande lezione di quella giornata. Con un gesto inaspettato, e quindi sorprendente, il professore Corradini è riuscito a catturare l’attenzione degli astanti che era andata scemando dietro le frasi di circostanza.
Qualche nostalgico è ancora convinto che fare scuola voglia dire mettere in atto una didattica trasmissiva basata sulla quantità di informazioni e di nozioni. Per una simile funzione c’è la rete che volge un lavoro egregio, molto più efficace di quello che può fare un qualsiasi docente. Oggi la scuola deve operare ed intervenire ad un livello più alto, maggiormente qualificato ed impegnativo, tanto per il docente quanto per il discente. La scuola è chiamata ad abbandonare la didattica della quantità per abbracciare una didattica basata sulla qualità. Deve abbandonare lo schematismo della trasmissione di fatti e puntare alla flessibilità.
Zigmunt Bauman, uno dei maggiori sociologi del Novecento, propone per la scuola una “rivoluzione culturale”, resa necessaria dal fatto che l’educazione attuale non può più essere quella dell’apprendimento affidato a un maestro e dell’accumulazione delle conoscenze, dal momento che oggi i giovani possono trovare in internet molte più informazioni “che in tutte le lezioni dei professori sui filosofi esistiti”. I docenti devono adottare uno stile di insegnamento “liquido”, ossia flessibile, scardinando i vecchi schemi, fornendo gli strumenti per comprendere ciò che è essenziale per affrontare i problemi della contemporaneità.
Questo trafiletto è stato tratto dal sito Regolarità e trasparenza nella scuola (R.T.S.) e spiega molto meglio di me come intendere correttamente la scuola attuale e la relativa didattica.
Bisogna mettere in atto una scuola che persegua l’apprendimento significativo in grado di far nascere interesse e partecipazione, ma che sia nel contempo in grado di fornire le competenze necessarie per permettere al ragazzo di apprendere in modo autonomo. Al fine di raggiungere tale scopo molto ambizioso, però, c’è bisogno della partecipazione attiva del discente, il che non può avvenire senza che il ragazzo tenga sempre viva la sua attenzione.
Un modo sicuramente efficace per tenere alta l’attenzione dei ragazzi è quello di renderli protagonisti attivi del loro apprendimento. È bene, quindi, valorizzare e proporre tutte quelle attività basate sulla didattica del fare, quelle attività che impegnano il ragazzo in lavori di tipo laboratoriale e manuale finalizzati verso un prodotto ben determinato, un prodotto che sia condiviso dalla classe. Questo modo di operare stimola, tra l’altro, anche l’autovalutazione, cosa di non poco conto. Se il compito è adeguatamente complesso viene spontaneo lavorare in gruppo per sfruttare le competenze e le abilità di tutti al fine di raggiungere il traguardo stabilito.
Il lavorare in gruppo, nelle sue varie declinazioni, stimola l’acquisizione delle competenze di cittadinanza, cioè quelle competenze sociali e civiche che servono per la vita, non solo per la scuola.
Spesso ci si lamenta che nella scuola non cambia niente, allora non mi resta che ricordare una frase del Mahatma Ghandi: «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
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