L’economia del gratuito

L’economia del gratuito

27 Febbraio 2022 0 Di giuseppe perpiglia

La rete è una grande miniera dalla quale si possono estrarre informazioni su qualsiasi campo del sapere. Il problema non sta nell’offerta, che è praticamente illimitata, bensì nella domanda che deve essere razionale e mirata per non perdere la rotta e, di conseguenza, correre seriamente il rischio di andare in una direzione che potrebbe anche rivelarsi pericolosa.

Stavo navigando alla ricerca di materiale su un argomento che nemmeno ricordo più e mi sono imbattuto in una tematica che ha stimolato la mia curiosità: l’economia dell’attenzione. Leggendo una serie di articoli su tale argomento per me completamente nuovo, mi sono imbattuto in questo di cui mi accingo a scrivere. Sull’economia dell’attenzione ci soffermeremo in un futuro molto prossimo.

Il tutto nasce nel campo dell’economia e precisamente del commercio e della grande distribuzione, sia dei mega centri commerciali sia sul web. È un confronto che il negozio di zona, tanto caro nei nostri ricordi, non può sostenere. È il trionfo della new economy che fa tranquillamente a meno di armi quali la cortesia, la cordialità, il rapporto umano, la competenza. Oggi l’arma vincente è la capacità di catturare l’attenzione. E proprio questo è il ruolo dei social network.

I colossi del web -Facebook, Netflix, Google, YouTube- solo per citarne alcuni, combattono con armi sofisticate che vanno dal neuromarketing all’attenzione persuasiva e schierano ingegneri, psicologi e sociologi al fine di analizzare i comportamenti ripetitivi di ogni singolo internauta e sfruttarli a loro vantaggio.

Penso sia capitato a molti di noi di fare surfing sulla rete, cioè saltare da un sito ad un altro, in modo spesso compulsivo, alla ricerca di un qualche prodotto e subito dopo, nel giro di solo qualche ora e per lungo tempo, ricevere al proprio indirizzo di posta elettronica offerte relative all’oggetto cercato. La spiegazione è semplice: siamo stati oggetto di un algoritmo sviluppato grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Un piccolo inciso. Il neuromarketing consiste nell’applicazione delle conoscenze e delle pratiche neuroscientifiche al mercato. Lo scopo è quello di analizzare i processi ripetitivi messi in atto in modo inconsapevole dal consumatore e che sono in grado di influenzare le decisioni d’acquisto.

A questo punto, qualcuno si chiederà: «Ma cosa c’entra tutto questo discorso con il titolo?». È presto detto. Tra le tecniche del marketing moderno volte a catturare l’attenzione è molto utilizzata quella che fa ricorso ad una parolina che sembra avere proprietà magiche: GRATIS.

Il consumatore, quindi ognuno di noi, è attratto fortemente da questo termine. Un solo esempio per tutti. Qualche anno fa, Amazon, il colosso dell’’e-commerce, decise di azzerare le spese di spedizione per acquisti che prevedessero un importo totale superiore ad una certa soglia. Nei mesi successivi si registrò un boom di vendite in tutto il mondo. L’unica eccezione fu quella della Francia perché, in quel Paese, si decise di mantenere, per le spese di spedizione, un importo poco più che simbolico di soli 20 centesimi. Questa cifra risibile fu in grado di condizionare le scelte d’acquisto dei francesi, infatti, quando anche la Francia azzerò le spese di spedizione come era stato fatto negli altri Paesi, le vendite si allinearono a quelle del resto del mondo.

È possibile fare un piccolo esperimento anche nelle nostre classi, proponendo agli alunni la seguente domanda: «Immaginate di dover fare un acquisto di 10 euro. Quale fra queste offerte scegliereste?

  1. Prodotto 10 € +            spedizione GRATIS
  2. Prodotto 5 € +            spedizione 5 €
  3. Prodotto GRATIS +            spedizione 10 €»

Le tre offerte, in termini di spesa complessiva, sono identiche ma la maggior parte dei partecipanti a questo semplice esperimento sarà portata a scegliere la prima o la terza opzione, relegando all’ultimo posto la seconda.

La costatazione che un articolo o un servizio sia fornito senza nessun esborso apparente ci porta a “non lasciarci sfuggire l’occasione”. Poco importa, come nell’esempio dell’esperimento proposto, se le spese di spedizione ammontano alla cifra dell’articolo stesso. In tal modo il potenziale acquirente è portato a consumare o ad acquistare oggetti, servizi e prodotti di cui non ha effettivo bisogno. Si pensi alle offerte sempre presenti nei supermercati. Si entra per comprare una confezione, ad esempio, di panna per cucina, ma non si riesce a resistere e perdere l’occasione del 3×2. Il risultato finale è di avere speso il doppio ed avere tre confezioni di panna che, in realtà, non servono e che, probabilmente, arriveranno a scadenza prima di servirsene.

Sulla parola GRATIS e sul gratuito si è costruita un’intera branca della moderna economia che va sotto il nome di Economia del gratuito. Bisogna avere la consapevolezza che tutto ha un prezzo e che non è possibile dare o avere nulla senza una qualsiasi contropartita di qualsivoglia natura. C’è un prezzo per tutto nella vita. Anche quello che ricevi gratuitamente è già stato pagato da qualcuno. E, nella stragrande maggioranza dei casi, questo qualcuno si aspetta qualche cosa in cambio. Parlando di economia, si aspetterà un ritorno economico.

In effetti, la parola gratis è capace di creare una specie di cortocircuito tra mente e denaro, è un potente fattore psicologico a cui Dan Ariely, professore di psicologia e di economia motivazionale presso la Duke University, ha dato il nome di zero price effect, effetto del prezzo zero. Tale fattore è in grado di incidere pesantemente e sulle scelte di acquisto, come prima dimostrato.

I principi dell’economia del gratuito vengono largamente utilizzati in svariati campi, in special modo sul web. Si pensi a tutti i servizi offerti da un colosso come Google. A fronte di una serie di variegati quanto complessi servizi sembra non pretendere nulla. Lo stesso vale per Facebook, LinkedIn e tanti altri. Ma perché lo fanno, non certo per filantropia! Ma qualche ritorno Google lo deve pure avere.

Ed il ritorno è ampiamente e perfettamente spiegato da una sola cifra. L’utile 2016 di Alphabet (società capogruppo di Google) è stato di 5,4 miliardi di dollari!

Questo vuol dire che l’economia del gratuito funziona, ed anche bene. Ma da dove arriva questo fiume di denaro se i servizi vengono forniti in modo gratuito?

È stato affermato che la filantropia c’entra poco, anzi non c’entra affatto e così è. È vero che Google dà un cospicuo numero di servizi in modo completamente gratuito. Servizi anche interessanti e più che apprezzabili, si pensi a quanto tempo ci fa risparmiare Google map ed all’utilità delle tante app scaricabili da Play Store o da App Store del sistema IOS. In realtà non si tratta di un regalo, di un dono senza contropartita, ma solo di uno scambio di cui non ci rendiamo facilmente conto. Quando ci rivolgiamo a Google o ad un qualsiasi altro sito di e-commerce o di servizi on line per accedere la prima volta dobbiamo registrarci per ottenere l’ID, cioè il termine che ci identifica e che è pubblico, e la password, cioè una parola chiave scelta da noi, che è personale e non va certo divulgata. Per poter ottenere queste credenziali dobbiamo fornire alcuni nostri dati, spesso anche con un certo livello di dettagli: sesso, età, interessi, …

Ed è proprio questo il costo del servizio di cui vogliamo usufruire. I nostri dati andranno a costituire e ad alimentare enormi banche dati. Gli specialisti addetti, in sede di gestione e di manipolazione di questi stessi dati, saranno in grado di estrapolare pacchetti di potenziali clienti, target settorializzati, da fornire ai numerosi soggetti interessati che, a loro volta, sono disposti a sborsare fior di quattrini per potersene, a loro volta, servire per mirare le vendite più efficacemente raggiungere il rispettivo target o fascia di mercato.

Forse vi sarete chiesto perché accedendo ad un qualunque sito vi chiedono se accettate o meno i cookie. Il significato letterale del termine è “biscotto” ed in questo caso indica unità di dati che servono a “capire” gli interessi di chi entra in quel sito. Tale disposizione è stata introdotta per legge al fine di salvaguardare la privacy degli utenti della rete.

Riprendiamo la chiosa iniziale per ricordare, ancora una volta, che il problema oggi, nell’attuale infosfera (l’insieme dei mezzi di comunicazione e delle informazioni da essi diffuse), è la scelta razionale e la consapevolezza delle proprie azioni. E questo è compito proprio della scuola. Ogni docente dovrebbe dare il suo contributo per fare acquisire ai ragazzi questa importante, anzi vitale, competenza. Bisogna che i ragazzi conoscano e capiscano i potenziali pericoli connessi ai nuovi media. Il docente è chiamato ad essere creatore di uomini liberi e per essere liberi bisogna essere informati e formati. Non si può non essere d’accordo con un pensiero espresso da Luciano Canfora nel 2013: «Gli studenti condannati a una preparazione scarsa o apparente, o addirittura all’ignoranza, diventano più facilmente vittime del potere». Se vogliamo una società migliore dobbiamo avere dei cittadini liberi e la libertà si conquista anche grazie ad un’adeguata formazione.

 

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