
La comunità educante
La scuola ha tanti compiti, anche molto diversificati, ma tra tutti ci si è spesso dimenticati di quello che dovrebbe occupare, invece, un posto d’onore: la crescita personale e sociale dell’individuo e del cittadino che, come tale, vive immerso nella comunità locale e globale. È solo l’ineludibile e tardiva risposta al dettato costituzionale quando afferma «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione Italiana, art. 3, c. 2).
La scuola per lunghi anni ha scelto di continuare nel suo atteggiamento di chiusura in sé stessa, facendo dell’autoreferenzialità quasi una sua nota distintiva.
Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956), uno dei padri costituenti, ebbe a dire, enfatizzando l’importanza della scuola e dell’istruzione, che «trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere». La società si aspetta che la scuola trasformi, appunto, i sudditi in cittadini, e cioè che dia ai ragazzi che le vengono affidati gli strumenti necessari e sufficienti per leggere la società, per interpretarne le dinamiche che la animano e la trasformano quotidianamente, che dia loro gli strumenti necessari per capirne e per saperne rispettare le leggi e le norme che la regolano e che, infine, renda i ragazzi in grado di dare il loro personale contributo per migliorare la comunità che abitano e che li accoglie.
Ma anche la scuola manifesta aspettative nei confronti della società. È una consapevolezza che pian piano si sta affermando e che non può che far bene alla scuola ed alla sua evoluzione.
La scuola deve lasciarsi permeare dalla società, raccoglierne le istanze ed istruire, nel senso più ampio del termine, la comunità di riferimento. L’istituzione scolastica deve aprirsi al territorio, prendere spunto dai problemi reali, farli respirare ai ragazzi per aiutarli a riflettere, tanto sui problemi quanto sulle possibili soluzioni. Non deve, però, fossilizzarsi sulle situazioni contingenti, ma dare strumenti largamente spendibili, strumenti di base che il ragazzo, in assoluta autonomia, possa applicare in qualunque contesto si trovi ed in cui si svolge la sua vita. Con molta modestia, faccio mio l’appello del filosofo Umberto Galimberti che si è dichiarato a favore della filosofia contro l’alternanza scuola-lavoro o, come si chiama adesso, PCTO, acronimo per indicare i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento.
Altro compito implicito della scuola è quello di creare un ponte tra le generazioni per cui deve attivare strategie che siano in grado di favorire una simbiosi ed una contaminazione generazionale il che si può ottenere soltanto se la scuola apre le porte delle aule e opera anche nelle strade.
Si tratta di compiti molto gravosi e complessi e nell’affrontarli la scuola non può essere lasciata da sola, ha bisogno della fattiva collaborazione della famiglia, ma anche della comunità nel suo insieme. È una consapevolezza che sta conquistando tanto la scuola quanto la stessa società.
Il primo, timido, passo di tale necessaria apertura è stato compiuto quasi mezzo secolo fa con l’introduzione, nel 1974, dai cosiddetti decreti delegati grazie ai quali la scuola ha aperto le sue porte alla collaborazione ed al dialogo con le famiglie. In realtà, tali porte non sono state mai completamente aperte, bensì semplicemente socchiuse lasciando solo un piccolo spiraglio, tant’è vero che ancora oggi la sperata sinergia tra scuola e famiglia non può certo dirsi completa ed effettivamente strumentale ad un proficuo lavoro comune caratterizzato dalla collaborazione. In genere si è trattato, nel migliore dei casi, di un flusso unidirezionale perché i docenti molto di rado hanno sollecitato ed accolto i suggerimenti delle famiglie che, d’altra parte, si sono limitate a confrontarsi quasi esclusivamente sulla situazione contingente del proprio pargolo chiedendo, anzi pretendendo, che la classe si organizzasse esclusivamente sulle loro richieste. E tutta la loro soddisfazione viene spesso esaudita con un buon voto, anche se questo non fotografa la situazione culturale reale.
Seppure timidamente, però, la scuola si è via via accorta che non era chiamata ad occuparsi di entità individuate soltanto da un cognome ed un nome elencati in rigoroso ordine alfabetico in un registro, ma doveva confrontarsi giornalmente con delle persone aventi ognuna caratteristiche umane, culturali, sociali ed economiche molto diverse e ad ognuna di esse era chiamata e tenuta a dare la risposta maggiormente adeguata. Era chiamata a confrontarsi con soggetti che dovevano ottemperare ai doveri previsti ma ai quali bisognava anche riconoscere dei diritti, sia come persone in quanto tali sia come cittadini. In questa ottica, il 24 giugno 1998 venne emanato il DPR n. 249 che prevedeva, oltre al soggetto principale che era lo Statuto delle studentesse e degli studenti, anche la condivisione della responsabilità educativa della scuola con la famiglia e lo studente per mezzo della firma di un vero e proprio contratto. Ci si sta riferendo, come facile intuire, al Patto di corresponsabilità educativa, documento che chiama direttamente in causa, coinvolgendoli nel processo educativo e formativo, tanto la famiglia quanto lo stesso studente. A fronte del dovuto riconoscimento dei diritti, vengono loro ricordati anche i doveri di cui sono portatori.
Il DPR n. 249 è stato modificato dal DPR 21 novembre 2007, n. 235 ed integrato dalla nota 22 novembre 2012, prot. 3214 “Linee di indirizzo – Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa”.
La redazione della nota appena citata si è avvalsa delle indicazioni e dei suggerimenti forniti dal Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola. Con detta nota il legislatore riconosce il ruolo che le famiglie, in forma individuale o collettiva, possono esercitare proponendo e esprimendo le loro istanze per contribuire significativamente e attivamente alla definizione dell’autonomia didattica e culturale della scuola. Viene richiamata l’attenzione sull’importanza di una stretta collaborazione educativa tra scuola e famiglia fondata sulla condivisione dei valori nel rispetto delle competenze di ognuno. Viene ribadito il concetto che l’educazione e l’istruzione siano anzitutto un servizio alle famiglie e che esse non possano prescindere da rapporti di fiducia e di continuità che vanno costruiti, riconosciuti, sostenuti e valorizzati.
Tutto questo movimento culturale e normativo trova fondamento già nella Carta Costituzionale. Infatti, l’art. 4, comma 2 recita «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». La Repubblica si fa carico di eliminare gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana, ma richiede che ognuno, studenti compresi, concorrano al progresso del Paese.
Le famiglie sono chiamate in causa, invece, dal successivo art. 30, comma 1: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». La delega alla scuola, come spessissimo accade, non è prevista, non è contemplata. La scuola è chiamata costruire l’edificio culturale poggiando sulle fondamenta predisposte dalla famiglia che deve continuare a cooperare nell’edificazione nella direzione del pieno sviluppo della persona umana.
Il patto di corresponsabilità, quando correttamente applicato ed interpretato da tutti i soggetti coinvolti, si dimostra uno strumento in grado di creare una relazione bidirezionale tra scuola, famiglia e studente perché rende tutti e tre gli attori responsabili, appunto, con pari dignità e nel rispetto delle prerogative di ognuno, del percorso formativo proposto, in prima istanza, dalla scuola.
Il processo di apertura della scuola verso il territorio e la comunità che lo abita ha avuto una decisa accelerazione con l’emanazione, il 17 febbraio 2006, della Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica -Rendicontazione sociale delle amministrazioni pubbliche- pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 63 del 16 marzo 2006.
Le scuole, come amministrazioni pubbliche, sono chiamate anch’esse, sulla base della direttiva appena citata, a rendere conto del loro operato e delle scelte ad esso relative. In tal modo si arricchisce e si sostanzia la relazione tra scuola e famiglia, ma anche con il territorio e la comunità.
Grazie alla flessibilità concessa dall’autonomia qualche scuola ha cercato di trovare e di sfruttare risorse esterne ad essa, magari siglando protocolli di intesa con soggetti diversi, in particolar modo con il volontariato e con enti del Terzo Settore. Nello stesso tempo ha sempre più preso piede la consapevolezza dell’importanza di sfruttare al meglio, oltre all’apprendimento formalizzato erogato storicamente dalla scuola stessa, anche quello informale e non formale che si realizza in famiglia e nella comunità.
L’apertura della scuola al territorio ed alla comunità è diventata un’esigenza sempre più pressante con l’introduzione delle competenze che si esplicano e si acquisiscono con l’applicazione tanto nello studio teorico quanto ancor di più nel fare in quanto richiedono una corretta ed efficace alchimia tra conoscenze, capacità ed abilità, spesso molto diversificate e flessibili per potersi meglio adeguare al contesto. Anche il momento della valutazione delle competenze pone dei problemi non certo trascurabili. Infatti, mentre per le conoscenze poteva essere bastevole un semplice test di qualunque tipo, per valutare le competenze c’è bisogno di mettere il ragazzo in situazione. Non può, per quanto appena detto, trattarsi di una situazione standardizzata in quanto si ricadrebbe a piè pari nelle conoscenze, deve necessariamente trattarsi di situazioni reali o almeno realistiche. E quale migliore contesto realistico se non la vita reale? Proprio le situazioni reali costituiscono il terreno di coltura dell’approccio pedagogico del service learning, approccio che mette insieme l’apprendimento formale e la riflessione critica sul contesto reale in cui la scuola ed ogni singolo allievo sono immersi. Per una più ampia e dettagliata trattazione del service learning si rimanda ad altri articoli.
L’ultima frontiera, l’ultima sfida che ci viene proposta dal ministero è contenuta nel Piano scuola 2020-2021 allegato al DM 26 giugno 2020, n. 39 e successivamente ribadita anche nel Piano scuola 2021-2022.
I due documenti ministeriali propongono nel Piano 2020-2021 il paragrafo Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa: il ruolo delle comunità territoriali per la ripresa delle attività scolastiche, mentre per il piano 2021-2022 il paragrafo Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa: il ruolo delle comunità territoriali entrambi dedicati ai Patti educativi di comunità. Nel Piano scuola 2021-2022 si legge testualmente «Per la realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni dell’attuale scenario pandemico, in adesione al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa, Enti locali, Istituzioni, Terzo settore e scuole è auspicabile continuino a sottoscrivere specifici accordi e “Patti educativi di comunità”, attuando con ciò i principi fondamentali della Costituzione».
I principi costituzionali su cui si basano i patti educativi di comunità sono quelli della solidarietà, richiamata nell’art. 2, la comunanza di interessi presente nell’art. 43 e la sussidiarietà orizzontale prevista ed auspicata dal comma 4 dell’art. 118.
La funzione che il legislatore riserva ai “patti” è quella di dare maggiore forza ed un certo grado di strutturazione alle alleanze educative, civili e sociali in cui la scuola debba essere sicuramente il perno ma non l’attore unico. Grazie all’attivazione dei “Patti di comunità”, le scuole hanno la possibilità di attingere al capitale sociale espresso dai diversi soggetti presenti sul territorio, siano essi di tipo culturale, artistico, ricreativo, sportivo, produttivo o appartenenti al Terzo Settore. Una tale alleanza porta ad un arricchimento sia dal punto di vista formativo che educativo.
In estrema sintesi, i Patti educativi di comunità presentano le seguenti caratteristiche:
- l’effettiva attivazione del principio di sussidiarietà;
- rientrano tra le fonti del diritto pubblico in quanto poggiano tipicamente su regolamenti comunali;
- rappresentano un’importante occasione di coesione all’interno della comunità e fra i cittadini;
- promuovono e realizzano in modo efficace innovazione sociale, culturale ed anche amministrativa.
I patti educativi di comunità non vanno a sostituire il Patto educativo di corresponsabilità, ma, al contrario, servono a renderlo più forte.
Ma, in definitiva, cosa sono questi Patti educativi di comunità? Sono intese che sanciscono la collaborazione tra scuole, enti, amministrazioni locali, Terzo Settore ed eventuali altri soggetti al fine della tutela e della promozione dei “beni comuni urbani”. Le attività contemplate debbono permettere un apprendimento informale e non formale che vada a fare da necessario corollario all’apprendimento formale progettato e programmato dall’istituzione scolastica. Nel campo dell’istruzione formalizzata, però, non si può mai navigare a vista. Prima di iniziare il processo educativo e formativo connesso ai Patti educativi di comunità bisogna progettare l’evento formativo e stilare un programma operativo quanto più dettagliato possibile. All’interno del progetto vanno sistematizzate le risorse offerte dal territorio, siano essere strutturali, strumentali o umane per poterle sfruttare al meglio.
Per fare qualche esempio, si può pensare ad un protocollo di intesa che veda coinvolto, oltre all’amministrazione comunale ed alla scuola, il museo cittadino, oppure un parco attrezzato ed associazioni ambientaliste, ma anche associazioni culturali volte alla promozione, alla valorizzazione ed al mantenimento delle tradizioni popolari. È una ulteriore opportunità che la scuola deve cogliere per dare un servizio sempre più corrispondente alle attuali esigenze e richieste dell’utenza e della società.
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