
Dad vs presenza
Andare a scuola ogni mattina, occupare il proprio banco e stare con i propri compagni è un rito che dà sicurezza. E la sicurezza è ancora più importante nel momento di disorientamento generalizzato che si manifesta nel periodo della crescita.
Ma la scuola in presenza non è solo questo. È soprattutto creazione e sperimentazione di rapporti interpersonali e di relazioni tra individui che vengono da contesti sociali, economici, culturali e familiari diversi, a volte molto diversi. Si pensi alla sempre maggiore presenza di ragazzi stranieri, al crogiolo di culture diverse che si viene a creare in una classe ed in cui i nostri ragazzi si trovano a vivere ed a convivere esperienze diverse maturate in contesti diversi, trovandosi di fronte a vissuti diversi con tutto il bagaglio culturale ed umano che è possibile acquisire. Sono “ospiti” che arrivano da culture molto diverse dalla nostra, molto lontane dal nostro modo di pensare, lontane non solo in senso geografico ma, appunto, culturale. In questi casi, sempre più numerosi, la scuola in presenza permette ai ragazzi di altri Paesi di entrare in sinergia con la cultura del Paese che li ha accolti, preparandoli, in tal modo, ad una lunga, ed a volte faticosa, integrazione. Per i nostri ragazzi, invece, è l’occasione per confrontarsi con qualcosa di veramente altro da sé e dal proprio mondo. È un’occasione per continuare, in un contesto privilegiato, a sperimentare la vita.
Nel rapporto tra pari, ogni ragazzo, qualunque sia la sua età, sperimenta e costruisce la propria identità, i suoi limiti e le sue potenzialità in un ambiente che, senza dubbio, possiamo definire protetto. Nel gruppo dei pari il ragazzo si sente più libero di esprimersi e di essere sé stesso perché non si sente giudicato, perché percepisce che le sue paure sono anche le paure del suo compagno di banco, così come i suoi dubbi, le sue incertezze, le sue domande sul futuro e sulla vita. Ed in gran misura anche i suoi sogni sono condivisi da altri.
La scuola, infatti, non è solo quel luogo deputato all’apprendimento di nozioni e di conoscenze, essa è molto di più. Ma anche restando nel solo campo delle conoscenze, non si può certo negare l’importanza della comunità educante per promuovere e creare cultura. Già questa sola costatazione dovrebbe far capire l’enorme importanza della didattica in presenza.
Il ministero è ben conscio di ciò se ha allargato il concetto di Patto di corresponsabilità con l’introduzione del Patto educativo di comunità. Lasciare, quindi, i ragazzi al chiuso delle proprie stanzette, per chi ne può godere, non è certo il massimo. Ben si comprende l’emergenza dettata dalla contingenza pandemica, ma il ricorso alla didattica a distanza dovrebbe essere veramente l’ultima ratio e, soprattutto, non bisognerebbe tralasciare di perseguire tutte le piste percorribili per poterne fare a meno garantendo, però, a docenti e ad alunni tutta la sicurezza possibile e necessaria.
Lo stare insieme in modo efficace e proattivo è un ineludibile quanto ben remunerativo strumento di crescita per tutti. Non basta stare seduti nella stessa aula a distanza di sicurezza o meno, c’è bisogno di un “quid” in più.
Se e quando, infatti, l’insegnante saprà creare e mantenere un positivo clima relazionale tra i suoi alunni si troverà la strada spianata verso successi scolastici e di crescita personale inimmaginabili perché la comunità-classe è in grado di trarre da ogni ragazzo il meglio di sé. Le capacità e le competenze di ognuno vengono potenziate ed enfatizzare dall’interazione con gli altri. Il gruppo dei pari riesce a fare da ammortizzatore degli errori e delle inevitabili cadute del singolo, ma funziona anche da cassa di risonanza delle positività, sicuramente presenti in ogni persona.
Come può la didattica a distanza, per quanto ben fatta, garantire tutto questo? Quale interazione può essere creata con uno schermo, quale contatto fisico se non quello con un mouse?
È comprensibile che bisogna fare di necessità virtù e quindi, quando ritenuto strettamente necessario, fare ricorso alla didattica a distanza è doveroso, però bisogna che ognuno accetti e si faccia carico fino in fondo delle proprie responsabilità. Il ministero emana leggi e circolari rimanendo molto lontano, in tutti i sensi, dalle aule e passa la palla agli Uffici Scolastici Regionali i quali, in questo momento di disorientamento generale, la fanno rimbalzare verso i dirigenti scolastici, che rappresentano i collettori anche di responsabilità che non competerebbero loro.
Il ruolo del dirigente scolastico è ben diverso da quello del preside o del direttore didattico. Questi ultimi due ruoli, ormai consegnati alla storia, infatti, consistevano nella semplice funzione di esecutori di ordini che provenivano dall’alto, dal potere centrale. Il grado di coinvolgimento era molto limitato. L’attività principale, se non unica, si sostanziava nel mantenere l’organizzazione dell’istituzione scolastica ad essi affidata nei binari tracciati dall’autorità centrale. Rappresentavano, però, un riferimento professionale sicuro ed attendibile per i docenti. Il ruolo del dirigente scolastico, invece, si è quasi completamente spogliato del ruolo di guida professionale, assumendo quello più asettico e distaccatamente professionale di manager.
Il ruolo del dirigente scolastico implica un grado di coinvolgimento molto maggiore. Esso, infatti, richiede di prendere decisioni autonome e di far quadrare bilanci sempre più asfittici. È una conseguenza delle tre “I” di morattiana memoria e della conseguente deriva della scuola in un’ottica sempre più aziendalistica ed imprenditoriale. Il ruolo di dirigente scolastico implica l’accettazione di responsabilità di cui bisogna rispondere in prima persona.
In questo lungo periodo di pandemia, caratterizzato dall’assenza di notizie precise e scientificamente valide e verificate fornite dal potere centrale, il dirigente che si trova a dover gestire un caso di Covid-19 viene assalito da molti dubbi. Se il caso coinvolge un docente, la cosa si rivolve con relativa facilità: il docente sta a casa per tutto il periodo di quarantena ed il problema si risolve. Se, invece, il caso coinvolge un alunno le cose si complicano e di molto. La prima preoccupazione del dirigente sarà quella di tutelarsi quanto più possibile, per cui, appena riesce a trovare l’occasione propizia, sarebbe a dire appena la norma glielo consente, manda tutti in quarantena con l’attivazione della didattica a distanza. È una reazione molto comprensibile ed umanamente condivisibile. I dirigenti scolastici, infatti,vengono mandati a combattere un nemico subdolo ed insidioso senza armi adeguate, vengono mandati allo sbaraglio senza una copertura adeguata e senza nessuna rete di protezione.
Il Comitato Tecnico Scientifico -CTS- l’unico deputato ad indicare l’orizzonte scientificamente valido in cui muoversi ed agire per contenere l’infezione da Covid-19 e le sue conseguenze, non sempre riesce a comunicare con voce autorevole. I mass media, dal canto loro, fanno a gara ad accaparrarsi il virologo di turno, con relativo codazzo di tuttologi ed influencer, cercando di dare notizie “sensazionali” al solo scopo di fare audience, altro che informazione! La politica non è da meno. Infatti, invece di arginare tale andazzo, cerca di trarne beneficio in termini di voti essendo in un perenne stato di campagna elettorale. In tal modo tradendo, in modo vergognoso ed ignobile, il fine ultimo della politica che è quello di fare il bene del Paese e non l’interesse proprio o di parte.
Anche la scuola è entrata in questo gioco al massacro come vittima sacrificale. Infatti, i vari partiti sono a favore della didattica a distanza o in presenza in base ad interessi di bottega, non certo per salvaguardare gli interessi dei ragazzi ed il loro diritto ad una istruzione, ad una maturazione e ad un futuro migliore.
In questo quadro complesso e ben poco edificante, cosa può e deve fare la scuola? Va da sé che non ho risposte definitive, ma solo quelle dettate da quel po’ di buon senso che mi riconosco. Per quanto possibile la scuola deve accettare integralmente le responsabilità che le competono, non dimenticando di lasciarsi guidare dalla necessaria consapevolezza del suo importante ruolo di guida per la crescita complessiva dei ragazzi. Se il docente pensa che il suo unico ruolo sia quello di trasmettere qualche nozione, può anche fare a meno della didattica a distanza e limitarsi ad indicare quali pagine del libro di testo leggere. Se vuole ampliare l’orizzonte informativo, può accludere l’indirizzo di qualche sito. Se, invece, vuole vivere fino in fondo il suo ruolo di educatore e di formatore deve spendersi e fare in modo che, rispettando tutte le disposizioni legate al contenimento della pandemia, possa effettuare una corretta didattica in presenza. È solo con la didattica in presenza, infatti, che si può perseguire un’efficace educazione dei giovani. Per raggiungere tale scopo, però, la scuola ha bisogno di “maestri” che prendano a cuore l’esperienza educativa nella sua interezza.
Non bisognerebbe mai dimenticare che l’educazione dei giovani è compito ed interesse civico e morale di tutti, è un investimento che riguarda tutti, non solo la famiglia e la scuola.
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