
Una situazione conflittuale
Alla scuola ogni giorno viene chiesto tanto e di più. La si considera la cenerentola, la zona franca alla quale si possono togliere risorse impunemente, l’istituzione che si può oltraggiare in tutti i modi senza alcuna conseguenza. Salvo, poi, qualunque sia la problematica dibattuta nei diversi contesti, riversare nuovo lavoro sulla scuola stessa e da essa pretendere che si comporti da vera panacea per tutti i mali fornendo soluzioni ad ogni problema e rispondendo efficacemente ad ogni bisogno. È un atteggiamento a dir poco ipocrita, ma molto diffuso. Di tanto in tanto qualche mente illuminata ipotizza l’inserimento di una nuova disciplina ad hoc, chiaramente senza aggravio per le finanze dello Stato, clausola presente in moltissime leggi di riforma, per dare una risposta a quel determinato e particolare oggetto della discussione contingente.
Eh no, cari signori! Non si può trattare la scuola come un bancomat culturale, da cui poter prelevare sempre e comunque e per qualunque motivo, pretendendo di non versarvi dentro le risorse necessarie, economiche o meno, in modo da poter contare su un fondo cassa adeguato.
L’introduzione dell’educazione civica rappresenta una finestra aperta, in modo istituzionale e, speriamo, strutturato su un orizzonte immenso di possibilità. La preoccupazione seria è che ci si limiti ad illustrare qualche articolo della Costituzione ed il funzionamento di qualche organismo nazionale o europeo.
Senza entrare nel dettaglio, si può affermare che l’educazione civica ci invita a focalizzare l’attenzione su due grandi temi: la salute e la solidarietà. Tali due importanti tematiche, però, sono, almeno in linea di principio, in contrasto tra loro. La salute a cui in prima istanza ci si riferisce è la propria, quindi un fatto per così dire interno, mentre la solidarietà è un fatto esterno, infatti riguarda il mondo delle relazioni in cui l’uomo vive e che tiene, o dovrebbe tenere, uniti gli individui di una qualsivoglia comunità a partire da quella familiare fino a coinvolgere l’intera comunità umana. Si può utilizzare la metafora dei cerchi nell’acqua che si allargano sempre più fino a comprendere tutto lo stagno. A mano a mano che si allontanano dal centro, però, l’altezza delle onde tende a diminuire e ad affievolirsi sempre più. Lo stesso succede nelle relazioni, anzi alla consapevolezza delle relazioni, che è molto forte per le persone che ci stanno più vicine, mentre tende a ridursi man mano che le persone si allontanano dal nostro orizzonte.
La ricerca della salute ed il suo mantenimento riguardano, in prima istanza, l’individuo come singolo. Quando si parla di salute, infatti, siamo portati a pensare alla “nostra” salute. La salute degli altri e la salute del pianeta vengono dopo, quando entra in campo il raziocinio, quando la razionalità prende il posto dell’istintività.
La solidarietà, invece, è un sentimento che è rivolto all’esterno dell’individuo, si rivolge, infatti, verso gli altri.
Quindi, le due finalità -salute e solidarietà- sembrano essere in conflitto. Ed in prima istanza lo sono. Sta al docente mediare tra le due opposte esigenze e visioni. La visione razionale successiva alla necessaria riflessione ci porta a prendere coscienza che la propria salute dipende sicuramente dai propri comportamenti e dal proprio stile di vita, ma dipende anche, ed in larga misura, dai comportamenti e dagli stili di vita adottati dagli altri appartenenti alla comunità vicina e lontana e che i propri comportamenti, soprattutto quelli adottati nei confronti dell’ambiente, influenzano la salute, il ben essere e la qualità della vita degli altri.
È un argomento particolarmente importante e la pandemia in corso ce ne dà una dimostrazione a prova di critiche. Come stiamo apprendendo dai mass media, la pandemia sta riprendendo vigore, anche se per fortuna non si toccano le cifre che abbiamo visto all’inizio dello scorso 2020. Le ragioni, a parere degli esperti, sono da ricercare nei comportamenti di alcuni gruppi che non riconoscono la validità della vaccinazione e dei relativi richiami per cui si astengono, anzi rifiutano di mettere in atto le misure di prevenzione personale e sociale consigliati dagli esperti. Il caso dei portuali di Trieste e delle numerose manifestazioni no-vax e no-green pass è esemplificativo degli effetti che possono provocare i comportamenti inadeguati. Le ragioni dei no-vax potrebbero essere anche valide, ma ci si dimentica che le conseguenze della loro scelta non ricadono solo su di loro, ma riguardano e coinvolgono l’intera comunità. Sono gli effetti della cultura dei diritti che dimentica sistematicamente i doveri. La libertà, richiamata a gran voce dai dissidenti non può, in un contesto sociale, essere un concetto assoluto ed avulso da tutto il resto. Lo potrebbe, forse, essere in un pianeta disabitato, ma anche in un tal caso vi sarebbero dei limiti, seppure molto più ampi e sfumati rispetto a quelli che bisogna rispettare in un consesso comune. Si ripropone l’antico dilemma che vede contrapposte esigenze individuali ed esigenze collettive e che si origina dal mettere al centro la propria individualità senza considerare gli altri.
E qui entriamo nel campo della solidarietà. Essa, richiamata come “dovere inderogabile” dalla Costituzione e citata ben prima del diritto alla salute, rappresenta il collante necessario e sufficiente per mantenere la comunità in ottima salute, per permetterne il miglioramento continuo e per renderla sempre più forte e coesa.
La solidarietà è l’apertura all’altro e si basa sull’empatia. Empatia deriva, come moltissimi altri termini della nostra lingua, dal greco ed ha il significato letterale di “soffrire insieme”. Oggi il termine viene usualmente utilizzato per indicare “la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza far ricorso alla comunicazione verbale”, come ci ricorda l’enciclopedia Treccani on line. Subito dopo il contatto empatico interviene la solidarietà per dare risposte reali ai problemi o alle esigenze rilevate ed emerse. Le fasi dell’empatia e quella della solidarietà possono essere rivolte tanto al singolo quanto alla comunità. Entrambe, poi, costituiscono il substrato della cittadinanza attiva promossa dall’educazione civica.
È compito primario ed ineludibile della scuola istruire ma, anche, e forse ancor di più, educare. L’educazione del buongiorno, del grazie e del rispetto deve partire dalla famiglia, è nel nucleo familiare che bisogna piantare il seme della correttezza, della creanza, del garbo, della finezza, della raffinatezza e del galateo. Alla scuola spetta il compito di portare a compimento il lavoro della famiglia arricchendolo e traslandolo in ambito sociale. L’educazione perseguita dalla scuola deve essere anche finalizzata ad operare una sintesi, anzi un’efficace sinergia, tra il “me” ed il “noi” vigente nella comunità. Deve essere un’educazione che mira al miglioramento personale e ad una corretta ed efficace relazionalità sociale.
In questa ricerca dall’esito affatto scontato, un grande aiuto può venire dal volontariato, quello vero e sincero, però. È proprio in questa nobile attività umana, infatti, che vengono portate a sintesi le esigenze personali e la sensibilità verso le esigenze ed i bisogni altrui. Ad esempio, la salvaguardia della propria salute così come la promozione e l’ampliamento delle proprie competenze vengono perseguite alfine di aiutare meglio gli altri, di essere di aiuto alla comunità. Non è retorica, è solo quanto un vero volontario fa giornalmente, magari senza neanche rendersene conto.
Per cui, organizzare incontri con volontari delle diverse organizzazioni di volontariato all’interno di una programmazione ben articolata è, senza dubbio, un valore aggiunto da considerare con particolare attenzione perché è strumentale alla crescita ed alla maturazione individuale dei ragazzi. Essi, infatti, hanno bisogno di esempi, di modelli, di fatti concreti. Hanno bisogno della concretezza che dia sostanza alle parole che, in caso contrario, rimarrebbero solo nell’effimera esistenza di flatus vocis.
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