Adulti credibili cercasi

Adulti credibili cercasi

17 Ottobre 2021 0 Di giuseppe perpiglia

Il nostro cervello è un insieme ordinato e straordinariamente efficiente di un numerosissimo gruppo di cellule particolari, molto specializzate, dette neuroni. Tra questi ve ne è un gruppo particolare costituito dai cosiddetti neuroni specchio. Questa particolare classe di neuroni si attiva selettivamente sia quando compiamo un’azione, sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. In altre parole i neuroni specchio ci permettono di scimmiottare o di copiare gli altri. Dal punto di vista evolutivo non è un’acquisizione da poco perché l’apprendimento per imitazione è la prima forma di apprendimento, infatti si manifesta sin dalla più tenera infanzia. Con il passare del tempo, essa non viene persa completamente, infatti, rende conto di quella forma di apprendimento che va sotto il nome di apprendimento informale. Questo tipo di apprendimento non è necessariamente intenzionale e pertanto può non essere riconosciuto, a volte neanche dal soggetto interessato, come un apporto significativo alle proprie conoscenze ed alle proprie competenze. È primariamente l’apprendimento informale che rende conto e dà sostanza al lifewide learning, cioè alla dimensione orizzontale della formazione continua che, appunto, può avere luogo in tutti gli ambiti ed in qualsiasi fase della vita.

Le tre forme di apprendimento -formale, informale e non formale- sono legate da una stretta e rilevante complementarietà. Ne consegue che nell’evoluzione cognitiva del ragazzo nel corso della sua vita, e quindi anche nella scuola, egli continui ad imparare e ad apprendere, suo malgrado, da quanto gli capita attorno. La scuola, ma anche e sicuramente di più la famiglia, quindi, dovrebbe dare la necessaria importanza e riservare l’imprescindibile attenzione non solo agli amici ed alle compagnie praticate dai propri figli e dai propri alunni, ma anche agli esempi di cui i ragazzi stessi si nutrono. Esempi che altro non sono che i comportamenti di noialtri adulti.

In un simile contesto non può non essere richiamato alla mente il vecchio, e quindi sicuramente conosciuto, andante “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”, volendo intendere che le cattive compagnie portano ad atteggiamenti sbagliati. Ebbene, gli adulti non debbono cero fare la parte dello zoppo, tutt’altro!

I ragazzi, ma anche e forse ancor di più i bambini, hanno estremo bisogno di modelli da copiare, di modelli con cui confrontarsi o magari contro cui sbattere la testa. L’adulto, però, non può fossilizzarsi nel ruolo di bastian contrario o di guardiano testardo ed irrazionale per tarpare la voglia e l’esigenza che spinge il giovane ad affrancarsi da un controllo eccessivo ed asfissiante, da una guardiania che non lo ascolta, che non si fa carico delle sue istanze.

L’adulto, oltre ad essere genitore o docente, deve acquisire la consapevolezza che è soggetto principale ed inalienabile su cui poggia l’insegnamento informale. Il ragazzo, guardando l’adulto, comincia a strutturare la propria personalità operando delle scelte, spesso inconsapevoli, sui comportamenti esperiti dagli adulti che incontra sul suo cammino, sia esso reale o virtuale.

È un fatto naturale, un ciclo che si ripete uguale a sé stesso dalla notte dei tempi. Ma il fatto che sia naturale, insito nella stessa natura umana, non vuol dire che sia scontato o garantito a prescindere da tutto. Tale ciclo può essere interrotto o svuotato di sostanza, infatti, da un comportamento non congruo dell’adulto. Se quest’ultimo non dimostra di essere coerente e non merita la legittimazione a seguito di comportamenti non adeguati perde di credibilità e non sarà più visto come modello. In una simile evenienza, oggi sempre più frequente, il ragazzo si rivolgerà la sua attenzione verso altri modelli con tutte le conseguenze del caso, non sempre positive.

L’adulto non deve, però, limitarsi ad un ruolo di modello passivo, inerte, a modello messo su un piedistallo per essere ammirato e guardato quasi si fosse in un museo. Deve, al contrario, interagire, deve dialogare, indagare su quelle che sono le aspirazioni del giovane, quali i suoi sogni. Non deve, però, mai, giudicare quasi fosse il detentore della verità assoluta. Anche l’adulto deve apprendere ed imparare dal giovane. Qualunque processo di insegnamento-apprendimento è, infatti, sempre un processo reciproco in grado di influenzare entrambi i soggetti che, di volta in volta, si alternano nelle funzioni di docente e di discente.

L’adulto non deve imporsi e non deve imporre la sua visione della vita, al contrario deve mettersi al fianco del giovane per fargli sentire la sua presenza, per dirgli «Se vuoi, io ci sono». Ogni generazione ha dovuto combattere con quella precedente e la causa risiede nella voglia, frammista a paura, di cambiare. La loro speranza è quella di non commettere quelli che reputano sbagli, ma al contrario sono protesi nello sforzo di migliorare una situazione che, a torto o a ragione, mal sopportano. Questi piccoli e grandi cambiamenti, sommandosi nel corso del tempo, portano a modi diversi di intendere la vita ed il futuro. In questo processo esercitano grande influenza le acquisizioni tecnologiche, oggi sempre più veloci. È facile capire quanto abbia inciso internet e la tecnologica informatica in genere sulle nostre vite, sul nostro modo di ragionare e di affrontare i problemi quotidiani da parte di tutti, in misura maggiore nei giovani. L’influenza dell’informatica si è fatta sentire, ovviamente, anche nella generazione dei millennials, cioè i genitori degli attuali giovani, così come in quella dei nonni. In questi ultimi due casi, però, genitori e nonni hanno dovuto adeguarsi ad una generazione nuova, mentre nel caso dei ragazzi e dei giovani adulti, quelli che costituiscono la cosiddetta generazione Z, la situazione è completamente diversa. Si parla, infatti, di nativi digitali in quanto la digitalizzazione era già in atto alla loro nascita.

Il problema intergenerazionale non è certo nuovo. È stato, però, enfatizzato, portato agli estremi, specialmente sul lato dei giovani, acuito da questa pandemia che ancora ci accompagna. L’età della pre-adolescenza e quella dell’adolescenza sono caratterizzate dall’interazione, primariamente quella con i propri pari. L’interazione, infatti, è uno degli elementi fondamentalmente funzionali e strumentali per la crescita identitaria della persona. Le interazioni vanno intese principalmente come interazioni fisiche, condivisione di uno stesso spazio nello stesso tempo. Grazie ai mezzi tecnologici ed alle tecnologie informatiche si è in parte sopperito alla necessità dell’isolamento, ma è solo un palliativo perché la relazione umana non si può risolvere con la mediazione di un freddo display. I nostri neuroni specchio, infatti, hanno bisogno di stare in contatto, di vedersi, di sentirsi, di toccarsi, di incontrarsi in un luogo di condivisione e di scambi reciproci.

La pandemia da Covid-19 ha enfatizzato i comportamenti di tutti spostandoli verso gli estremi opposti: una chiusura totale o un’apertura all’altro ed ai suoi bisogni. Alcuni protestano, anche in modo violento, per la libertà negata, mancando in tal modo di razionalità e di senso civico. D’altro canto molte persone, tra cui molti giovani, si sono rese utili alle persone fragili o in difficoltà con piccoli e grandi gesti.

Il covid-19 potrebbe rappresentare l’occasione giusta, quella crisi in grado di portare cambiamenti positivi se il mondo degli adulti riuscirà a coglierla efficacemente per iniziare una relazione nuova, una relazione basata su un confronto sincero e chiaro senza promettere ciò che non è in grado di mantenere. Potrebbe essere l’occasione per costruire un patto generazionale basato sulla collaborazione fattiva e prosociale con i giovani.

Ci si potrebbe attivare prendendo spunto dai ragazzi che si spendono nelle attività sociali, giovani che nel loro cammino hanno incontrato adulti positivi che sono stati in grado di smuovere qualcosa nel loro spirito, non solo a parole, ma con fatti concreti.

Tra adulti e giovani bisogna creare una relazione che non potrà mai essere paritetica ma che deve comunque essere improntata all’ascolto reciproco e basata su una comunicazione efficace. Queste due caratteristiche sono fondamentali perché danno il senso e la sostanza di un vero interesse nei confronti dei giovani senza addossare loro ogni tipo di responsabilità ed ogni tipo di frustrazione dovute alla pandemia.

In particolare gli adulti dovrebbe portare un messaggio positivo sulla possibilità di crescita post-traumatica. Non parlare solo di resilienza alla pandemia ed ai suoi effetti ma anche della possibilità di uscirne fuori rinnovati, cresciuti, diversi.

Per propria natura, conseguenza del loro bagaglio esperienziale, gli adulti tendono ad avere meno fiducia nel futuro, nella possibilità che le cose possano cambiare in meglio. E questa fiducia la dovrebbero mutuare dai giovani che riescono a vedersi ed a viversi come possibili artefici di cambiamento.

Questo obiettivo dovrebbe essere vissuto per quello che è: la possibilità concreta di mettere insieme scuola e famiglia chiamate, entrambe ed insieme, a procedere sullo stesso percorso.

Articoli correlati:

  1. L’educazione tra pari
  2. L’educazione
  3. L’effetto Flynn
  4. L’apprendimento significativo
  5. Le intelligenze multiple
  6. Service learning ed educazione civica
  7. Il pensiero e l’azione
  8. La scuola come comunità
  9. Cittadinanza attiva
  10. Etica, solidarietà ed impegno civico