Mens sana

Mens sana

18 Settembre 2021 0 Di giuseppe perpiglia

Strana l’assonanza fonetica tra mens (= mente) e mensa! I termini che si riferiscono, rispettivamente, allo spirito ed alla carne hanno quasi lo stesso suono, anche se la radice etimologica ed il significato sono ben diversi.

Mi è capitato di leggere un articolo -La mensa non serve l’individualismo- a firma di Nicoletta Martinelli apparso su L’Avvenire del 31 luglio 2019 sulla questione della mensa scolastica che spesso mette in contrapposizione famiglie e dirigenza scolastica. Nelle scuole con funzionamento a tempo pieno, molto poche in verità, esiste e resiste la refezione comune tra alunni e tra alunni e docenti, la cosiddetta “mensa”. Negli istituti di maggiori dimensioni, anche se non in tutti, è possibile anche la presenza della cucina che prepara i pasti al momento. Nella stragrande maggioranza dei casi, invece, ci si affida a società di catering che somministrano cibi precotti e che, nel migliore dei casi, vengono scaldati poco prima di essere serviti. In tutti i casi si prende come criterio ispiratore la riduzione dei costi ed anche nel caso della refezione scolastica i bandi di gara sono al ribasso. È chiaro che il prezzo minimo impatta sulla qualità e sulla quantità del servizio erogato, nella fattispecie sui piatti di alunni e docenti.

Il menu è scelto e stabilito dalla medicina scolastica in base ai criteri che sottostanno ad una corretta alimentazione. Esso, però, non tiene nella necessaria considerazione i gusti dei giovani consumatori. È stato, infatti, rilevato come il 30% circa dei pasti distribuiti rimanga nel piatto e vada a finire nel bidone dell’umido, in special modo quando viene servito pesce o verdura. Sappiamo tutti dell’importanza di tali alimenti nella dieta, in special modo in organismi in attiva crescita, per cui si tratterebbe di rendere più ‘appetibili’ tali alimenti curandone la preparazione e la presentazione. Ma queste caratteristiche non vengono contemplate nel disciplinare del bando di gara.

I ‘capricci’ dei ragazzi a tavola vengono, colpevolmente, raccolti ed a volte addirittura amplificati da alcune famiglie che hanno inteso la mensa come un servizio accessorio in cui poter agire e comportarsi secondo la propria visione e socondo i desiderata dei propri figli. È bene acquisire la necessaria consapevolezza che la refezione è, a tutti gli effetti, parte integrante, quando il servizio viene fornito, del processo di insegnamento-apprendimento, di quel delicato cammino verso l’educazione e la formazione erogato dal sistema scolastico per cui anche in tale contesto bisogna seguire regole comuni. È un modo come un altro per confrontarsi con la società, per cominciare ad accettarne le regole, anche quando possono non piacere.

Alcune famiglie, quelle con i genitori sindacalisti dei propri figli, due anni fa presentarono un esposto per ottenere che i propri figli, i propri adorati pargoli, potessero usufruire del servizio mensa, però mangiando quanto preparato loro dalle amorevoli mani materne. Ed ottennero una sentenza favorevole. Il Comune di Torino ed il MIUR, però, chiaramente non soddisfatti della sentenza, fecero ricorso in Cassazione. Le Sezioni Unite della Cassazione, ribaltando la sentenza di primo grado, diedero loro ragione. In altri termini la Cassazione ha affermato che non esiste, in una mensa scolastica, il diritto di mangiare quello che si vuole, ma che bisogna adeguarsi a quelle che sono le regole comuni, stabilite a monte. Un passo della sentenza è esemplificativo nella sua chiarezza: la scuola non è «un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negoziali». Il diritto individuale, in questo caso, deve lasciare il passo al diritto collettivo che consiste, nella fattispecie, nell’applicazione del diritto-dovere all’inclusività. Portare al tavolo comune cibi diversi crea ed enfatizza differenza e separazione. È giusto ed istruttivo che tutti i compagni di scuola mangino la stessa pietanza. Mi piace ricordare che il termine compagno riconosce l’etimo latino in cum- e panis, cioè colui con cui si mangia lo stesso ‘pane’, per cui mangiare un ‘pane’ diverso sarebbe un controsenso.

La società individualista che ci siamo cuciti addosso porta a volerci distinguere dagli altri sempre e comunque. Porta a volere per noi, ma non anche per gli altri, vantaggi ed attenzioni particolari, tali da soddisfare il nostro ego. Questa mentalità colpisce anche qualche, per fortuna raro, docente che si presenta in mensa con il suo pranzo. In tal modo si comporta nei confronti dei suoi alunni come Alberto Sordi nell’iconico film Il marchese del Grillo quando affermava chi fosse lui e chi fossero gli altri. Con un simile atteggiamento il docente tratterebbe gli alunni come un gregge acefalo costretto a fare cose che lui reputa non adeguate alla sua persona, innalzando in tal modo un muro che andrebbe ad inficiare tutto il lavoro in aula e perdendo il riconoscimento come modello e come esempio. Tradirebbe la convinzione del padre costituente Piero Calamandrei che affermava «Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere» perché condannerebbe i ragazzi a rimanere nella loro condizione di sudditi. Il docente, invece, da educatore serio e credibile dovrebbe dare il buon esempio mangiando quello che mangiano i suoi ragazzi. Dovrebbe, inoltre, utilizzare anche questa occasione per promuovere l’educazione e la formazione sociale e civica delle giovani vite che gli vengono affidate. Anche il momento dedicato alla consumazione dei pasti è un momento di comunità e di condivisione, forse il più alto. In tutte le culture ed in tutte le civiltà, infatti, consumare insieme il cibo indica fiducia ed accoglienza completa. Inoltre, proprio a tavola, dove cadono molte delle sovrastrutture dietro alle quali siamo soliti nasconderci, diventano possibili insperati punti di incontro.

La suddivisone ed il consumo comune del cibo è enfatizzato anche nella religione cattolica, infatti, il momento culminante della celebrazione eucaristica è proprio la consacrazione del pane e del vino cui segue, subito dopo, la comunione dei fedeli.

A coloro che hanno ancora la fortuna, perché tale la considero, di svolgere la propria missione educativa in un corso a tempo pieno rivolgo l’appello a sfruttare il momento della refezione scolastica per rafforzare ulteriormente lo spirito di gruppo e sostanziare il processo di crescita sociale e civile di ogni ragazzo.

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