
L’educazione tra pari
Le nuove tendenze pedagogiche concordano per una scuola alunno-centrica, una scuola in cui l’alunno sia protagonista, una scuola flessibile che sia in grado di adeguarsi alle esigenze ed alla personalità di ogni singolo alunno.
In tale contesto il docente ha dovuto rivedere il suo ruolo per adeguarlo alle nuove acquisizioni pedagogiche passando da oracolo e portatore di verità indiscutibili a moderatore e facilitatore, a colui che accompagna con fare discreto, pungolandolo e gratificandolo per ogni successo registrato, l’alunno nel suo percorso, quanto più possibile autonomo, di crescita e di costruzione della propria cultura. In un simile contesto si è affermata una metodologia che sembra dare buoni risultati. Il riferimento è alla metodologia della peer education o, per dirlo nella nostra lingua, dell’educazione tra pari.
Tale metodologia è particolarmente adatta per la prevenzione di comportamenti a rischio perché permette il coinvolgimento attivo dei ragazzi nel contesto scolastico con l’obiettivo di modificare comportamenti specifici e di sviluppare le life skills, cioè quelle competenze di vita quotidiana necessarie affinché ciascuno possa stare bene anche mentalmente.
È risaputa l’importanza del gruppo dei pari, in particolar modo nell’età di mezzo, cioè nell’adolescenza in cui si è ancorati alle sicurezze della fanciullezza, ma si anela ad una propria identità, ad una propria libertà di espressione e di movimento. È il periodo dell’incertezza. Il gruppo dei pari, in effetti, esercita una considerevole importanza ed influenza anche oltre tale età. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, ai tifosi di una squadra o ai fans di personaggi famosi. È sempre il gruppo e la sua influenza che sta alla base delle varie mode, sia per quanto riguarda l’abbigliamento sia in altri campi.
Il gruppo è in grado di trasmettere una sensazione di sicurezza per cui in esso il soggetto si sente a suo agio perché accettato. I pari diventano, quindi, modelli per l’acquisizione di competenze diverse e per la modifica di comportamenti ed atteggiamenti.
In questa metodologia acquista un ruolo importante, non il docente, bensì il peer educator. Questi non è un professore classicamente inteso, né tanto meno un esperto in uno specifico sapere scientifico, ma un soggetto a cui si richiede di saper gestire con competenza e sicurezza le relazioni. Il suo ruolo precipuo, infatti, è quello di mediatore, ruolo che gli permette di essere percepito come un membro del gruppo. Nulla vieta, anzi è vivamente raccomandato, che il docente non possa svolgere tale ruolo, assicurandone, però, le funzioni.
Tra i punti di forza della peer education va inserita di diritto l’attivazione, o la riattivazione, dei processi di socializzazione all’interno del gruppo classe. La peer education, infatti, mette a disposizione del ragazzo uno spazio dove parlare di sé e confrontare le proprie esperienze con quelle degli altri. In tal modo si permette alla “vita” di entrare nella scuola.
Ma quali sono le fasi necessarie per costruire un percorso di peer education?
Il primo passo, comune ad ogni progetto, è relativo all’analisi dei bisogni. Ogni progetto deve essere finalizzato al soddisfacimento di uno specifico bisogno altrimenti non ha ragione di esistere. E deve trattarsi di un bisogno reale. Quanti progetti vengono esperiti per bisogni che non sono della classe, ma sono, al contrario, del docente o del dirigente? Il docente, magari, vuole guadagnare considerazione agli occhi del dirigente, mentre il dirigente non vuole perdere quelle risorse economiche che potrebbero aiutarlo nella risoluzione di quella questione che non riesce a risolvere in altro modo. Questa tipologia di progetti è fatalmente destinata a fallire, perché sono senza anima.
La seconda fase riguarda l’analisi delle risorse disponibili. Quante volte ci siamo lamentati che non riusciamo a fare quello che vorremmo e che ci sembra irrinunciabile lamentando la carenza di risorse. Prima di intraprendere un qualunque progetto bisogna avere contezza delle risorse necessarie e delle risorse disponibili. Quando si parla di risorse, però, non ci si riferisce necessariamente al fattore economico, che senza dubbio riveste spesso la sua importanza, ci si riferisce anche alle strutture ed alle risorse umane, interne ed esterne. Nelle scuole bisognerebbe dedicare molta più attenzione alle competenze interne che spesso sono presenti, ben al di là della semplice disciplina in segnata. Un simile atteggiamento, da solo, permetterebbe di risolvere non poche situazioni.
Subito dopo bisogna concentrare la propria attenzione sull’individuazione di finalità ed obiettivi. La loro esposizione deve essere chiara e non lasciare adito ad interpretazioni diverse, perché anche questo sarebbe di nocumento alla buona riuscita del progetto.
Il passo successivo riguarda la definizione del gruppo di lavoro. Bisogna stabilire il numero dei membri ricordando che maggiore è il numero dei componenti minore è l’efficacia del metodo e la produttività del gruppo perché qualche alunno potrebbe, per sue specificità caratteriali, mimetizzarsi e non partecipare adeguatamente. D’altra parte un numero troppo esiguo potrebbe contare su pochi apporti e pochi stimoli, non permettendo al gruppo stesso di decollare. Un numero adeguato dovrebbe essere compreso tra i 10 ed i 15 membri, per cui sarebbe opportuno suddividere la classe in due gruppi a composizione variabile in modo da evitare nette suddivisioni del gruppo classe. L’analisi dei bisogni e le finalità andranno, comunque, riferite a tutta la classe, anche se questa viene divisa in gruppi.
A questo punto si impone la ricerca e l’individuazione di un peer educator che, nel caso della scuola secondaria di secondo grado, potrebbe anche essere un alunno. Tale ruolo potrebbe essere svolto dal docente a patto che si adegui alle funzioni richieste. Il docente avrà, in ogni caso, il compito di supervisionare, in modo molto discreto, lo svolgimento di tutto il lavoro e l’avanzare del processo. Nel caso si opti di assegnare il ruolo di peer educator ad un alunno, bisogna prevedere un seppur breve periodo di formazione.
Dopo avere preparato il terreno non resta che stilare un programma operativo e realizzare gli interventi tra pari. A conclusione di tutto, il docente deve procedere alla valutazione dell’esperienza utilizzando la chiave criteriale rappresentata dalle finalità e dagli obiettivi stabiliti e fissati nella parte iniziale.
L’insegnamento reciproco consente agli studenti di accrescere e di perfezionare le proprie conoscenze, il metodo di studio e la capacità di problem solving in un ambiente molto meno stressante della classica lezione in quanto l’alunno si sente a proprio agio venendo meno l’invadenza e l’incombenza, spesso inconsapevoli, della figura del docente.
Lo studente tutor sarà valorizzato e responsabilizzato dal suo ruolo per cui assumerà un comportamento sempre più propositivo nei confronti della scuola. Lo studente che apprende, invece, trarrà vantaggio dal lavorare in un ambiente protetto con una persona che considera vicina a lui ed al suo sentire.
L’istruzione tra pari rientra tra i metodi cosiddetti a mediazione sociale insieme al cooperative learning ed al peer tutoring, rispettivamente apprendimento cooperativo e insegnamento reciproco.
Gli interventi di peer education fanno leva sul legame che si viene a creare dalla similarità percepita e sull’influenza sociale. Il sentire una persona legata da una qualche comunanza la rende un interlocutore credibile. I pari, quindi, diventano modelli credibili in grado di favorire l’acquisizione di conoscenze e di competenze di varia natura, ma favoriscono anche la modifica di comportamenti e di atteggiamenti. Durante l’adolescenza i pari vengono vissuti come interlocutori privilegiati a cui chiedere informazioni, ma anche per scambiare consigli e condividere paure ed esperienze.
Nella peer education viene attivata la trasmissione orizzontale del sapere in grado di attivare un processo naturale di passaggio anche di emozioni e di esperienze tra i membri del gruppo. In tal modo gli studenti a vario titolo coinvolti diventano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione. Questa dinamica non esclude di certo la possibilità di un supporto da parte di esperti esterni se ritenuto opportuno e strumentale alla buona riuscita del progetto.
Il gruppo deve essere finalizzato al confronto franco ed aperto tra i diversi punti di vista, allo scambio di idee, all’analisi dei problemi ed alla ricerca condivisa delle relative soluzioni.
A conclusione di tale articolo mi permetto di ricordare a tutti i colleghi, specie a quelli che stanno costruendo la loro esperienza, che essere un buon insegnante che vuole assolvere efficacemente al proprio ruolo di formatore richiede un aggiornamento continuo ed un altrettanto continua ricerca di strade nuove per meglio rispondere alle sempre diverse esigenze della società e dei singoli alunni.
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