L’educazione

L’educazione

12 Luglio 2021 0 Di giuseppe perpiglia

L’educazione, in questi ultimi due secoli, è stata sempre più strettamente legata alla scuola. Un’attività così importante nella vita di tutti, sia come singoli individui sia come comunità, è stata istituzionalizzata. Questo è stato un fatto sicuramente positivo, ma è stata anche scaturigine di qualche problema attuale. La famiglia, infatti, ha cominciato lentamente ma costantemente a tirarsi indietro, ha intrapreso un percorso di delega che è in fase di accentuazione. I genitori si lasciano prendere, anzi travolgere, dal lavoro e non pensano a ritagliarsi il tempo necessario da dedicare ai figli. A volte, in effetti, non possono, ma si tratta quasi sempre di casi limite, numericamente poco più che trascurabili.

L’educazione non è un fatto esclusivamente istituzionale, l’educazione è un’attività che si esplica, in modo consapevole o meno, in ogni nostra azione. Non è certo un processo unidirezionale tra un docente, visto come portatore di verità, ed un discente che deve imparare tutto, il classico otre vuoto da riempire. L’educazione è sempre un processo bidirezionale tra due persone in cui ognuna, momento per momento, insegna ed impara ad un tempo, in un processo continuo che dura tutta la vita.

Si insegna e si impara in ogni contesto ed in ogni situazione, da quelle più formali a quelle più impensate. Se ognuno prendesse consapevolezza di questa semplice osservazione tante cose andrebbero sicuramente meglio. Spesso, invece, ci si comporta, anche tra i docenti, in modo molto difforme. Pensiamo, ad esempio, per non andare molto lontano, al rapporto scuola-famiglia. La scuola pensa di essere l’unica depositaria della cultura, mentre non detiene l’esclusiva neanche su un mero nozionismo, sorpassata decisamente, nella società dell’informazione, dalla miriade di notizie presenti sulla rete.

La famiglia, dal canto suo, tende ad abdicare al suo ruolo di educatrice primaria, impostole dalla natura, dall’etica e dalla Costituzione, delegando tutto alla scuola, salvo poi contestare per un voto in più o un voto in meno. Se entrambe queste importantissime agenzie formative prendessero consapevolezza dei rispettivi ruoli il processo educativo prenderebbe una piega ed una efficacia ben diverse, anche senza fare ricorso a risorse esterne.

Qualcuno tende a confondere cultura con educazione. Sono due aspetti ben disgiunti anche se gli effetti dell’una si riverberano, in una netta influenza reciproca, sull’altra. Non è detto, infatti, che una persona educata debba essere necessariamente colta o che, viceversa, una persona colta debba essere anche educata. È anche vero, però, che la persona educata è più facile che senta il bisogno di conoscere e di apprendere come esigenza per un continuo miglioramento. Allo stesso modo una persona colta, molto probabilmente, se di vera cultura si tratta, non può non essere sensibile al bello, non può non avere rispetto per gli altri, per le cose e per l’ambiente. In altri termini, non può non essere “educata”.

Si può pensare all’educazione come ad un processo finalizzato all’inserimento di un soggetto all’interno della comunità in modo armonico. Un inserimento caratterizzato da un’osmosi continua tra il singolo e la comunità per il miglioramento dell’uno e dell’altra.

È invalso il vezzo, sia tra i docenti sia tra i genitori, di soccombere alle richieste di allievi e figli rispettivamente. C’è la propensione, da parte dell’adulto, ad evitare i conflitti, ad instaurare atteggiamenti amicali con alunni e figli. Il che non è certo educativo, se portato oltre un certo limite dettato dal buon senso.

Permettetemi un piccolo aneddoto personale. Quando la mia figlia maggiore frequentava il liceo psico-pedagogico (per quelli attempati come me, il magistrale) ho avuto la ventura di far parte del Consiglio di Classe come rappresentante dei genitori. Un giorno mia figlia, con la febbre che sfiorava i 38°C, ha insistito per andare a scuola perché aveva compito in classe di italiano ed aveva studiato tanto. Era il primo giovedì del mese. Senonché torna a casa e noi genitori, dopo aver chiesto come si sentisse, abbiamo, ovviamente, chiesto anche come fosse andato il compito, quali fossero le sue impressioni. La ragazza, con aria triste, quasi sconsolata, ha risposto che il compito in classe era stato rinviato a data da destinarsi perché giovedì c’era il mercatino mensile e la maggior parte delle alunne era impegnata in ben altri interessi. La professoressa di lettere, vicina alla pensione, aveva preferito soddisfare tale esigenza primaria spostando il compito ad altra data. In Consiglio di Classe ho fatto presente alla cosiddetta professoressa che da un’educatrice mi sarei aspettato ben altra risposta! Sarebbe bastato concordare la data con la classe per evitare una simile situazione in grado di provocare una grave delegittimazione della funzione docente.

In quell’occasione mia figlia, e non solo lei, ha ricevuto un insegnamento negativo e fuorviante, disorientante. Ha recepito, consapevolmente o meno, che il senso del diritto non ha senso, per usare un piccolo gioco di parole, non ha nessuna importanza e non è remunerativo cercare di essere ligi ai propri doveri. Le è stato insegnato che i valori vacui hanno la precedenza sulla coerenza, sulla serietà e sul senso del dovere. Alle signorine che dovevano andare al mercato, d’altro canto, le si è detto a chiare lettere che l’apparire è più importante dell’essere, che il superfluo ha la precedenza ed è più importante dell’indispensabile, che l’abito esterno precede e predomina l’abito interno. La pseudo-educatrice, la professoressa che ha ceduto alle richieste delle allieve, ha disatteso il suo ruolo di guida, di adulto credibile. Ben difficilmente avrà avuto più la legittimazione e l’autorevolezza necessarie, se mai le ha avute. Sono due caratteristiche che stanno alla base di un sano ed efficace rapporto docente-alunno e della relazione adulto-adolescente. E purtroppo non si tratta di casi isolati.

L’educazione è cosa altra rispetto all’istruzione. La seconda ha come oggetto nozioni, formule, dati, procedimenti più o meno meccanici e ripetitivi, ragionamenti pre-stabiliti. L’educazione, invece, si occupa di fare apprendere principi intellettuali e morali sia agli individui che alla società.

Il processo educativo, al contrario dell’istruzione, è un processo bidirezionale perché da un lato tende a fare acquisire, come appena detto, principi e valori, e quindi è un flusso che va dall’esterno all’interno, cioè dalla comunità all’individuo. Dall’altro, come insito nel termine educare, prevede un flusso che va in direzione opposta, cioè dall’individuo alla comunità.

Il termine educare viene dal latino ex ducere, cioè tirare fuori, fare venire alla luce qualche cosa che è nascosto. In un certo senso è il contrario di istruire, che deriva dal latino in struere, cioè inserire, portare dentro. Non è, quindi, un caso che l’educatore venga anche indicato con il termine maieuta, che etimologicamente deriva da un termine che significa ostetrica, tali termini sono nati nell’ambiente socratico-platonico che basava il suo operato sulla ricerca della verità che a sua volta consisteva nella sollecitazione del soggetto pensante a ritrovare in sé stesso la verità ed a tirarla fuori dalla sua anima.

Tutto ciò si ricollega alla funzione essenziale, primigenia, della scuola che è chiamata a mettere in pratica l’art. 3, comma 2, della Costituzione che prevede “il pieno sviluppo della persona umana”.

La funzione ultima, quasi escatologica, del docente deve essere quella di guida e di facilitatore del processo di affrancamento del discente e deve tendere al suo proprio annichilimento. Il docente deve, cioè, operare in modo tale da rendere inutile la sua presenza e la sua opera. Ed è bene acquisire una tale consapevolezza. È bene rendersi conto che è il docente che deve andare incontro all’alunno e piegarsi alle sue necessità e rispondere efficacemente alle sue aspettative. Non è l’alunno che deve adeguarsi al docente o alla scuola.

È, questa, anche un’esigenza pratica, un punto ineliminabile nell’attuale società flessibile, liquida.  Oggi, infatti, bisogna avere necessariamente strumenti culturali appropriati che permettano di adeguarsi alle mutevoli condizioni lavorative e relazionali. Questo richiede non solo conoscenze, che in un simile contesto sono relative e sicuramente transitorie, ma anche la capacità di leggere i tempi e di rispondere in modo efficace ai cambiamenti. Avere gli strumenti complessi richiesti, cioè le competenze, permette di cogliere le occasioni che il mercato del lavoro, molto diverso da quello di un passato molto prossimo, mette a disposizione. Il posto fisso, tanto agognato da Checco Zalone nel suo film Quo vado? tende a scomparire, e quelle forme che ancora resistono, sono in continua evoluzione. Basti pensare alla funzione docente ed a come è cambiata da un paio di decenni a questa parte.

Ebbene, a conclusione di questo articolo, non posso fare altro che incitare caldamente i docenti a ragionare in termini di educazione lasciando all’istruzione il solo spazio di strumento necessario ma pur sempre accessorio.

 

Articoli correlati:

  1. Sbagliando si impara
  2. Una riflessione sulle competenze
  3. La legittimazione del docente
  4. Conversazione sull’educazione nella vita quotidiana
  5. Le intelligenze multiple
  6. Cittadinanza attiva
  7. Essere o avere?
  8. La competenza dell’ascolto
  9. Oltre la conoscenza: l’essere
  10. La scuola: riflessioni