
I giovani e la tecnologia
La temperatura si affanna per raggiungere i 40°C, per fortuna, almeno per ora, senza riuscirci. Un’afa appiccicosa in grado di toglierti il respiro e rivestirti di una patina di sudore che enfatizza a dismisura il disagio.
In casa si ricorre al refrigerio artificiale, surrogato di primavera, dei condizionatori che lavorano senza sosta. Sento, però, il bisogno di spazi aperti. Ed ecco la mia soluzione di compromesso: il balcone. È un balcone abbastanza ampio che di pomeriggio offre un’oasi, se non di vera e propria frescura, almeno di ombra. Vivendo in un appartamento posto al quinto piano, con una vista che può spaziare praticamente fino all’orizzonte su tre lati, la temperatura viene mitigata da una leggera brezza, da un lieve movimento dell’aria che la rende respirabile.
Dopo il necessario ed immancabile riposino post-prandiale e l’altrettanto insostituibile caffè, rigorosamente caldo, al risveglio, mi posiziono sul balcone con un libro per tuffarmi nella lettura. A volte a scrivere per essere puntuale all’appuntamento del lunedì, giorno dedicato alla pubblicazione su questo blog.
In questo periodo sto leggendo diversi libri su argomenti i più disparati. Oggi ho terminato l’agile, in tutti i sensi, lavoro dell’amico Francesco Pira dal titolo Figli delle App, sottotitolo “Le nuove generazioni digital-popolari e social-dipendenti”.
L’amico Francesco è professore Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è Delegato del Rettore alla Comunicazione e Coordinatore Didattico del Master in Esperto in Comunicazione Digitale nella Pubblica Amministrazione e nell’Impresa. Queste notizie le ho prese dalla quarta di copertina di questo suo ultimo lavoro. Per me, e me ne scuso con lui, è solo Francesco, una persona, anzi un Uomo, che sono contento di aver conosciuto e che ringrazio per onorarmi della sua amicizia.
Ma è ora di parlare un po’, per quelle che possono essere le mie scarse competenze e per quanto possa valere il mio parere, del lavoro al centro di questo articolo.
Ho saputo della pubblicazione di questo lavoro dell’amico Francesco da un post su Facebook e l’ho subito ordinato sul mercato globale per eccellenza. Ad onor del vero, però, non ho iniziato a leggerlo subito perché i testi di sociologia non mi intrigano più di tanto e quindi aspettavo la corretta ed adeguata predisposizione d’animo per accingermi a tale impresa.
L’ho acquistato per due ordini di motivi. Il primo, quello più importante, è che, come docente seppure in pensione, mi interessa conoscere le motivazioni e le conseguenze sottese all’uso ed all’abuso delle nuove tecnologie e delle nuove forme di comunicazione ad esse connesse. Mi interessa, inoltre, cercare di capire l’eventuale nesso tra le nuove tecnologie e la costruzione di cultura da parte dei ragazzi. Il tutto alla luce della pandemia da Covid-19 che ha portato prepotentemente in primo piano l’uso delle nuove tecnologie nell’attività didattica.
Il secondo motivo è legato alla conoscenza delle grandi capacità comunicative dell’amico Francesco, e non poteva essere altrimenti. Tra i suoi innumerevoli impegni, infatti, è da annoverare anche quello di consulente per la comunicazione interna ed esterna della sede Avis regionale Calabria e formatore per i giovani in servizio civile. L’Avis Regionale Calabria, infatti, ogni anno, si avvale della collaborazione di 50 ragazzi che hanno deciso di svolgere un anno di servizio civile presso alcune delle 161 sedi Avis presenti sul territorio regionale. Per norma di legge, e per scelta convinta, l’associazione dedica loro una formazione molto ampia ed articolata tenuta da alcuni formatori, in gran parte interni all’associazione stessa con qualche notevole eccezione. Francesco è una di queste. È per tale motivo che ho potuto apprezzare il suo eloquio fluente e semplice, ma semplice solo in apparenza, perché poi ti rendi conto di quanti messaggi, di quante informazioni, di quante visioni ha saputo sapientemente veicolare.
Passiamo, adesso, ad una rapida presentazione dell’ospite d’onore: Figli delle app. Il lavoro è suddiviso in tre capitoli preceduti da un’introduzione e seguiti da una conclusione. La disanima delle conseguenze dovute e connesse all’uso smodato delle nuove tecnologie parte dalla vera rivoluzione che le ha introdotte nelle case e nelle vite di tutti noi: la televisione, il nuovo focolare, come qualcuno l’ha definita. Il vecchio tubo catodico è soppiantato, oggi, da schermi piatti e super performanti. Il lavoro si dispiega, quindi, illustrando gli effetti, documentati e suffragati da diverse citazioni, dei numerosi social che tanto piacciono ai giovani e che hanno cambiato il modo di comunicare di tutti noi. Ma anche il modo di pensare e di vivere le relazioni. “Siamo tutti connessi ma non siamo in relazione” o, per riportare una frase dello psichiatra Tonino Cantelmi, “Siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati, ma essenzialmente sempre più soli”. È questa l’amara conclusione.
Fa riflettere lo spazio dedicato al falso mito della maggiore informazione, falso perché spesso si tratta di fake news, cioè di notizie false. Infatti, è vero che nella rete si trovano molte più informazioni di quante ce ne possano servire, ma spesso cadiamo vittime della disinformazione e della misinformazione. La prima è la deliberata creazione di notizie false per scopi politici o commerciali, mentre la seconda è la diffusione involontaria di informazioni false. Quanto sta succedendo circa la pandemia da Covid-19 ne è un chiaro esempio. L’informazione, anche in questo caso, invece di dare informazioni corrette e creare certezze e sicurezza, crea solo disorientamento e disagio. Su Facebook basta un click per condividere in tempo reale un post con tutti i nostri contatti senza ricavarci il tempo necessario per verificare se la notizia riportata sia vera o falsa. È sempre più diffuso, ahimè non solo tra i giovani, l’inquietante, ed a volte addirittura tragica, condotta di utilizzare la rete per fare del male, sfruttando l’anonimato. Da una ricerca condotta dall’Autore, emerge che quasi il 70% dei ragazzi intervistati dichiara di avere un profilo falso.
Il professore Pira, seppure senza addentrarsi oltre il dovuto ed il consentito datosi il mezzo scelto, ci parla di cyberbullismo e di sexting. Quest’ultimo termine è un neologismo creato dalla fusione dei termini inglese “sex” (sesso) e “texting” (inviare messaggi in forma elettronica). Consiste, appunto, nell’inviare testi e/o immagini sessualmente espliciti tramite cellulare o internet. E, come già accennato, il fenomeno non è presente soltanto nei giovani, ma riguarda anche gli adulti. Si pensi, infatti, al revenge porn, che in italiano diventa vendetta porno e consiste nella diffusione di immagini o video presi nei momenti di intimità al fine di cercare una vendetta screditando la vittima per rivalersi e rifarsi di un qualche torto subìto. In genere il motivo scatenante è la rottura di una relazione affettiva o ritenuta tale.
Il social più pericoloso, quello che occupa, probabilmente, il primo posto di questa poco invidiabile classifica, è TikTok che propone delle challenge, cioè delle sfide, che possono portare ad eventi tragici, come purtroppo sentiamo dai media.
In questo contesto ipertecnologico basato sulla velocità i ragazzi tendono a perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Per loro, infatti, secondo l’Autore, non esiste più il passato ed il futuro, ma vivono immersi nel qui ed ora.
Mi permetto di consigliare la lettura di tale lavoro a tutti coloro che vivono e lavorano a stretto contatto con i ragazzi perché possano riflettere e rendersi conto dei pericoli cui essi possono andare incontro.
È bene precisare, però, che il libro non dà delle risposte, ma, con l’esposizione di dati e di fatti, ci permette di porci delle domande, fornisce degli stimoli per riflettere sulla situazione connessa all’errato e massiccio utilizzo dell’informatica affinché ognuno possa cercare e dare delle risposte adeguate al suo contesto di vita e di lavoro.
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