
I dati PISA 2018
Ancora una notizia non bella per il nostro sistema scolastico. Secondo le ultime indagini PISA, la nostra scuola va a peggiorare fornendo un servizio sempre meno adeguato ai tempi.
Il programma PISA (Programme for international student assessment) è un’indagine internazionale promossa dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che, con periodicità triennale, misura le competenze degli studenti quindicenni dei Paesi aderenti. L’indagine riguarda la valutazione delle prestazioni degli studenti in lettura, scienze e matematica.
In Italia l’INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione) ha la funzione di somministrare e raccogliere i dati che vengono poi confrontati con quelli degli altri oltre 80 Paesi che partecipano al programma.
L’analisi delle ultime rilevazioni, risalenti all’anno 2018, mostra una situazione che dovrebbe preoccupare i decisori politici ancor più degli insegnanti. Lo scadimento dell’offerta di istruzione, infatti, sembra essere, a parere degli esperti, strutturale. Non riconoscerebbe infatti, una genesi interna alla scuola, che pure ha le sue colpe, ma quanto ruota attorno ad essa.
Ma vediamo cosa dicono le ultime indagini PISA.
Nell’ultima rilevazione, quella risalente al 2018, gli studenti quindicenni italiani, in matematica, ottengono un risultato medio pari a 487, che risulta essere in linea con la media degli studenti dei Paesi OCSE, che si attesta a 489. In scienze, invece, il divario si allarga perché, mentre il valore medio fatto registrare nei Paesi OCSE anche in questo caso si attesta a 489, gli studenti italiani fanno registrare un livello medio pari a 468. Differenze sostanziali ed apprezzabili si registrano anche nella progressione temporale che ha portato a queste variazioni. Infatti, il livello medio di acquisizione in matematica, dal 2003 ad oggi, ha fatto registrare un gran balzo in avanti tra il 2006 ed il 2009 per mantenersi pressoché costante fino al 2018. Per le scienze, invece, dopo due rilevazioni in crescita si è verificato un calo deciso fino ai livelli registrati nel 2018, di poco inferiori a quelli registrati nel 2003.
Anche in lettura la situazione non è certo allegra tant’è che anche in questo campo si registra una netta flessione che vede collocarsi i nostri quindicenni tra il 23° ed il 29° posto tra i Paesi OCSE.
Secondo gli esperti, non si tratta di una questione di quantità, ma di qualità. Con questo si vuole affermare che non si tratta di una questione legata ai contenuti, ma a qualche cosa di molto più elevato e complesso. La scuola italiana, infatti, non riesce ad essere incisiva per quanto riguarda la preparazione dei giovani alla vita adulta. E la cosa è molto più grave, come è facile arguire.
La società attuale è sempre più complessa e frenetica di quanto poteva esserlo quella di non molti anni fa. La possibilità per tutti di scrivere e far arrivare i loro scritti potenzialmente in ogni angolo della terra grazie ai social ed al web, impone l’acquisizione della capacità di selezionare accuratamente e con il minimo rischio di errore le fonti per separare quelle attendibili dalla marea di notizie false e fuorvianti, siano esse in buona o in mala fede. Il grande potere manipolatorio dell’informazione può essere arginato solo da una lettura attenta, una lettura che sappia interpretare tra le righe, che sappia intelligere, che sappia andare oltre l’apparenza e la forma per penetrare la sostanza. A questo bisogna aggiungere uno spirito critico. Sono entrambe competenze che non si possono acquisire con i semplici contenuti, ma richiedono impegno, dedizione, costanza e chiara visione dell’obiettivo che si vuole raggiungere.
Se i nostri quindicenni non sanno leggere, vuol dire che saranno adulti facilmente manipolabili e non saranno in grado di scegliere razionalmente, non saranno in grado di prendere una posizione in base ad un ragionamento, corretto o sbagliato che sia. Per restare nella nostra tragica attualità, non saranno in grado di scegliere se vaccinarsi o meno in base a dati di fatto ed a ragionamenti che siano frutto di una loro riflessione.
Nella parte iniziale dicevo che le colpe non sono da addebitare in toto alla scuola, ma a tutto il contesto così come ai decisori politici. Permangono, infatti, marcate differenze tra le varie aree geografiche del nostro Bel Paese.
Secondo un ricercatore OCSE, come dichiarato in una recente intervista, le differenze tra diverse regioni geografiche riscontrate nelle indagini PISA relativamente al nostro Paese sono quelle più ampie tra tutti i Paesi OCSE. È facilmente intuibile e condivisibile che tali differenze vanno a poggiare su differenze le cui radici si perdono nella storia della nazione, ma è altrettanto chiaro che ben poco si è fatto dall’unità di Italia ad oggi per tentare di ridurle, tanto è vero che tendono addirittura ad aumentare.
Anche nel caso delle differenze regionali non si tratterebbe di una questione di quantità bensì di una questione di qualità, questa volta, però, il riferimento è alle risorse. Torna prepotente il problema della valutazione. Sarebbe interessante investigare con quali mezzi e con quale efficacia si sia svolta la valutazione del corretto impiego delle risorse, sempre ammesso che vi sia stata una valutazione.
A questo bisogna aggiungere la disponibilità delle risorse e delle opportunità offerte dall’extra-scuola. In questo senso, ed a dire il vero non solo in questo, il Centro ed il Sud sono svantaggiati da una infrastrutturazione alquanto deficitaria. Diventa un cane che si morde la coda, un circolo vizioso che si ripete sempre uguale a sé stesso aggravato da un feed back positivo, infatti l’effetto potenzia e rafforza la causa. La scuola, per tutto quanto finora detto, non è in grado di formare individui in grado di inserirsi efficacemente nel contesto socio-economico della comunità, per cui questa non evolve per dare un miglior contributo alla scuola.
In questo discorso, che tende sempre più ad allargarsi per tutte le implicazioni che è in grado di far nascere, non dobbiamo dimenticare il ruolo fondamentale, come già accennato, dei decisori politici nazionali che, fino ad ora, non si sono dimostrati molto “interessati” al problema.
Per far crescere il Sud non c’è bisogno di costruire faraoniche cattedrali nel deserto, e mai locuzione fu più azzeccata, strumentali soltanto a sanare gli appetti insaziabili di cosche e mafie varie, nonché ad innescare collusioni ai vari livelli. Ci sarebbe bisogno di un’infrastrutturazione delle comunicazioni e dei trasporti, ma anche sociale, che renda più efficaci i collegamenti tra il Sud al resto dell’Italia, rendendo più agevole ed economicamente meno gravoso il trasporto di merci e prodotti verso i mercati italiani ed internazionali. Il Centro ed il Sud presentano contesti sicuramente svantaggiati ed i ricercatori OCSE sono concordi nel ritenere che nascere in un contesto svantaggiato fa aumentare la possibilità di raggiungere solo bassi livelli di acquisizione tanto in lettura quanto in scienze ed in matematica. Nella lettura, ad esempio, il divario tra il Nord-Est ed il Sud, isole comprese, sale a 30÷35 punti di differenza, ovviamente a favore del Nord-Est.
C’è, poi, un’ulteriore differenza su cui riflettere ma che lasciamo ai sociologi indagarne le cause. Il livello minimo di lettura è raggiunto solo dal 19% delle ragazze contro il 28% dei ragazzi.
In queste condizioni la scuola ha perso anche quel minimo di funzione di ascensore sociale che per molto tempo l’ha resa alquanto appetibile e considerata. Oggi molti sono i figli che si trovano a vivere o a prevedere una condizione più precaria di quella dei loro padri, molti sono i giovani che per sopravvivere devono ancora ricorrere alle risorse del nucleo familiare originario.
Questo comporta un ancoraggio al presente per cui siamo un Paese in cui manca il pensiero del futuro, affermazione suffragata dal crescente livello di povertà culturale.
La consapevolezza che la situazione registrata dal programma PISA sia dovuta a più fattori, tutti esterni alla scuola, non deve indurre i docenti ad abbracciare ed a vivere atteggiamenti di scoramento e scadere nella nefasta mentalità del tanto peggio, tanto meglio. La scuola ed ogni singolo docente devono fare quanto è giusto, doveroso ed etico, per maturità ed onestà individuale e per deontologia di una professione che non può essere banalizzata in una mera e semplice trasmissione di nozioni.
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