
Riflessioni in libertà
È prassi ormai consolidata da parte dei nostri politici quella dei tagli lineari, tagli che tendono a colpire, guarda caso, la sanità e la scuola. Non è mia intenzione fare della polemica spicciola e qualunquista, ma solo portare l’attenzione su un dato di fatto. La pandemia, seppure in modo tragico, ha ricordato a tutti l’importanza di una sanità adeguata alla bisogna. Una sanità in grado di dare risposte adeguate alle varie contingenze. Non si poteva prevedere una pandemia di tale portata, ma al tempo stesso non è stata una buona idea chiudere ospedali e bloccare il turnover, riducendo drasticamente il numero del personale medico e paramedico.
La scuola, poi, è stata vittima sacrificale privilegiata da immolare sull’altare di un presunto risparmio. Anche nella contingenza della pandemia alla scuola è stato fatto pagare un conto molto salato. Tra tutte le nazioni europee, infatti, all’Italia spetta il primato della chiusura delle scuole per il periodo più lungo. Tale scelta scellerata è stata dettata dalla convinzione, contestata da molti virologi, che lo stare insieme in una classe, seppure con i necessari accorgimenti, avrebbe potuto creare le condizioni favorevoli all’insorgenza di molti focolai di infezione da Covid-19. Coloro che abbiamo mandato a gestire le sorti del nostro Paese ed, in definitiva, le nostre stesse vite, però, nulla hanno fatto sul fronte dei trasporti, vera, e più sinistramente efficace, sorgente di trasmissione. Il ministero, inoltre, ha lasciato i dirigenti scolastici in balia degli eventi senza fornire alcuna linea guida efficace. Anche i banchi con le rotelle si sono rivelati un semplice e colpevole spreco di denaro pubblico perché di nessuna utilità.
In questa fine di aprile è stato varato il PNRR -piano nazionale di rilancio e resilienza- in cui, seppure in modo marginale, si parla di scuola. È il classico libro zeppo di sogni che però tralascia, colpevolmente, di confrontarsi con la realtà di un futuro non molto prossimo. Infatti non sembra garantire la sostenibilità delle misure che intende attivare.
La protratta chiusura delle scuole rende molto opportuna una verifica degli eventuali ritardi formativi che molti alunni, presumibilmente, potrebbero aver accumulato. Sarebbe, quindi, opportuno che si pensasse, per tutti i gradi scolastici, a trovare ed a porre in atto i correttivi necessari per ottemperare a tale richiesta implicita, ma poi nemmeno tanto. Per avere contezza di quale problema ci si potrebbe rivolgere all’INVALSI ed al progetto PISA, già in uso nel nostro sistema di istruzione e formazione. A questa punto di innesta una necessaria riflessione sulla considerazione di cui gode la valutazione nel nostro sistema scolastico e su come essa venga percepita dai vari soggetti coinvolti.
Solo in questi ultimi anni la scuola si sta lentamente aprendo all’esterno e sta timidamente e con molte remore cominciando ad abbandonare quell’atteggiamento pervicacemente autoreferenziale che l’ha caratterizzata per molto, troppo, tempo.
La valutazione auto- ed etero-diretta è il solo modo per conoscere punti di forza e punti critici del proprio e dell’altrui operato. Non solo degli individui ma anche dei sistemi, semplici o complessi che siano.
In particolare mi vorrei soffermare sulla valutazione dei docenti. La “Buona scuola” ha introdotto il sistema premiale per quei docenti dimostrano particolare impegno nello svolgere il proprio dovere, andando al di là di quanto loro richiesto dal CCNL. Lo spirito della legge, però, non è stato colto nella sua essenzialità e nelle sue finalità da tutti i dirigenti scolastici. Molti di essi, infatti, hanno tradito lo spirito della legge premiando gli appartenenti al ristretto gruppo dei docenti compresi nei rispettivi “cerchi magici” o, al contrario, nella speranza di accontentare tutti, hanno frammentato il budget a disposizione in mille rivoli, per cui ogni docente ha ricevuto una cifra risibile. In entrambi i casi, il numero dei docenti insoddisfatti è stato nettamente superiore a quello dei docenti che si sono sentiti effettivamente gratificati per il proprio impegno. Sono gli effetti di errori che partono da lontano. In Italia, non esiste una formazione specifica per chi si voglia dedicare all’insegnamento o alla dirigenza scolastica. Nel primo caso basta solo conoscere la propria disciplina, anzi avere un titolo di studio compatibile con la disciplina che si vuole insegnare, e non sempre le due cose collimano.
Le regole di ingaggio richieste al momento della trasformazione del contratto a tempo indeterminato sono regole molto blande. Il tutto si riduce ad un concorso-esame che verte sui contenuti della disciplina su cui poggia la ‘classe di concorso’. L’anno di prova, poi, è un pro-forma che non ha nessuna valenza. Sono, infatti, rarissimi i casi di non superamento dello stesso. La formazione in servizio, ancora, non dà alcun benefico professionale, né in termini di nuove acquisizioni, né in termini di progressione di carriera. La progressione stipendiale è legata esclusivamente all’avanzare dell’età. In queste condizioni, la norma è perdere la motivazione. Il lavoro dell’insegnante diventa facile preda di una standardizzazione che si ripete sempre uguale a sé stessa, senza nessun sbocco verso il futuro e di ciò ne risente pesantemente anche la motivazione dei ragazzi.
Lo Stato, che dovrebbe garantire una scuola di qualità, non fosse altro che per garantire quanto previsto nella Costituzione, la vede, invece, solo come una istituzione che assorbe risorse che lo stesso Stato, invece, vorrebbe risparmiare, ed i tagli lineari di cui la scuola è fatta spesso oggetto lo stanno a dimostrare senza ombra di dubbio. I risultati di un tale atteggiamento sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia, infatti, importa tecnologia con un impatto molto significativo sul bilancio statale. Le eccellenze, che pure la nostra scuola riesce a far emergere, ed in numero non proprio trascurabile, sono costrette ad espatriare, il che comporta la perdita netta di tutte le risorse, economiche, strutturali e umane, impiegate per la loro formazione.
Non bisogna poi dimenticare la subdola campagna di denigrazione messa in atto anche da politici dei vari governi coadiuvati da soggetti dei media (Brunetta, Bussetti, Sallusti, …). la conseguenza è una delegittimazione sociale della scuola come istituzione e dei singoli docenti, la qual cosa aumenta a dismisura l’inefficienza del sistema. In tal modo si genera un circolo vizioso, in cui l’effetto alimenta la causa in un continuo rimando che porterà, prima o poi, all’instabilità del sistema stesso fino alla sua distruzione. Altro fattore che alimenta il circolo vizioso di cui si è appena detto è la retribuzione dei docenti italiani, che è la più bassa in Europa.
Approfittando delle risorse legate al PNRR, bisognerebbe imprimere una forte sterzata a tale andazzo, un cambio di paradigma forte ed efficace per trasformare la situazione attuale in un circolo virtuoso. Non è impossibile, ma non è nemmeno facile perché coloro che gestiscono il PNRR sono gli stessi che hanno provocato tale situazione.
Sarebbe opportuno, come primo atto, cambiare le regole di ingaggio, magari riesumando lo spirito che ha guidato le esperienze legate alla SSIS (Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario), al TFA (tirocinio formativo attivo) ed ai PAS (percorsi abilitanti specifici). Prevedere un percorso formativo specializzante finalizzato all’insegnamento in grado di formare professionisti già “abili” all’insegnamento, gestendo adeguatamente le iscrizioni a tali corsi si annullerebbe la piaga del precariato e, cosa senz’altro più importante, si avrebbero professionisti adeguatamente preparati. Il secondo punto dovrebbe essere quello di garantire, a chi frequenterebbe tali corsi, in un tempo congruo, un posto di lavoro a tempo indeterminato e con uno stipendio in linea, questa volta si, con la media europea. Ancora, puntare su una formazione in servizio obbligatoria, ma adeguata ed in linea con le nuove acquisizioni pedagogiche. Potrebbe, infine, essere adottato il sistema vigente nei campus americani, dove i docenti sono a disposizione degli studenti e delle famiglie anche nel pomeriggio. Tali ore aggiuntive potrebbero essere destinate anche alla progettazione, alla correzione dei compiti ed a tutte le altre mansioni che costituiscono il corpus della funzione docente, riunioni collegiali comprese. Con cadenza biennale o triennale, infine, prevedere una valutazione della professionalità dei docenti come passaggio obbligato per la progressione di carriera e di scaglione stipendiale.
Forse in tal modo si potrebbero risollevare le sorti non solo della scuola, ma anche dell’intero Paese.
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