
Sbagliando s’impara
La pedagogia ci dice che l’errore rappresenta un passo importante nel lungo ed a volte faticoso cammino verso la conoscenza. La psicologa statunitense Carol Dweck afferma che «Ogni volta che uno studente commette un errore, cresce una sinapsi». Il nostro sistema nervoso è costituito da un numero enorme di cellule specializzate, i neuroni. Il centro di comando o, se si preferisce, la cabina di regia, di tutte le nostre azioni, ma anche dei sentimenti e delle emozioni, risiede nel cervello. L’efficacia della sua funzione e tutte le sue potenzialità dipendono dal numero delle cellule in esso presenti, secondo recenti studi 86 miliardi di neuroni, ma ancor di più dalle relazioni e dai contatti, (le sinapsi, appunto) che si stabiliscono tra tali cellule. Mentre il numero dei neuroni viene stabilito al momento della nascita è non c’è possibilità che aumenti, in quanto i neuroni non sono in grado di duplicarsi, le sinapsi possono aumentare a dismisura. Proprio il numero e la qualità delle sinapsi renderebbe conto di quella caratteristica che chiamano intelligenza.
Il fatto che gli errori favoriscano l’insorgenza di nuove sinapsi non può se non essere considerato un fatto molto positivo. La conseguenza banale è che, quando un ragazzo commette un errore, non va penalizzato, bensì andrebbe solo aiutato a comprendere l’errore ed accompagnato verso la forma corretta. In tal modo il ragazzo impara tanto la forma corretta, quanto la modalità di correzione dell’errore commesso.
Paradossalmente, quando si commette un errore, e solo in quel momento, il nostro cervello diventa più flessibile perché deve attivarsi per trovare nuovi modi di procedere. È la conferma della massima popolare che recita «Sbagliando si impara», come recita il titolo del presente articolo.
Quando ci si trova davanti ad un qualsiasi problema, andiamo a frugare tra le nostre conoscenze ed attiviamo le nostre competenze per trovare una soluzione soddisfacente. Se la soluzione trovata è corretta, il nostro lavoro è finito. Se, invece, la soluzione si dimostra essere errata, ci dobbiamo mettere nuovamente in ricerca, ma questa volta ben sappiamo che dobbiamo percorrere strade diverse, nuove, e proprio in questa ricerca con parametri differenti sta l’acquisizione di nuova conoscenza legata all’errore.
L’atteggiamento del docente rispetto all’errore deve essere razionale e volto pur sempre all’acquisizione di nuove conoscenze, capacità e competenze da parte dell’alunno. Il docente, ma anche l’alunno, dovrebbero porsi davanti all’errore con un atteggiamento volto all’ottimismo, un atteggiamento colorato di positività. Questo non vuol dire soprassedere all’errore o fare finta che non sia stato commesso o anche solo minimizzarlo, al contrario vuol dire considerarlo adeguatamente, metterlo in primo piano, dedicandogli la necessaria attenzione perché divenga il motore di cambiamento cognitivo e di nuove acquisizioni. L’attenzione del docente e del discente devono essere tutte per l’errore e per il ragionamento che ha portato a commettere l’errore stesso. Il docente, a sua volta, non deve commettere l’errore di sovrapporre errore ed errante, di confondere l’errore con l’alunno che ha sbagliato, altrimenti la risorsa errore si tramuterebbe in un fattore negativo ed inibente la crescita, non solo culturale, dell’alunno. Questi, infatti, si sentirebbe a disagio e perderebbe in autostima, magari preferendo nascondersi dietro un “non ho fatto i compiti” per evitare di commettere un errore.
Bisogna prestare la dovuta attenzione, però, agli errori che si ripetono in modo sistematico, sempre uguale a sé stessi, perché il nostro cervello tende all’automatizzazione, quindi, tende anche ad automatizzare gli errori che dovessero ripetersi più di una volta e non venissero adeguatamente stigmatizzati e corretti.
Quando un bambino, un ragazzo o uno studente in genere, come d’altronde anche un adulto, ha consapevolezza di aver commesso un errore e cerca di superarlo, impara tre cose fondamentali:
- diventa più flessibile e consapevole del proprio modo di procedere;
- impara a fidarsi della propria capacità di affrontare gli errori, aumentando la propria autoefficacia;
- impara a fidarsi dell’adulto di riferimento, in questo caso il docente, e della sua capacità di aiutarlo.
In tal modo la relazione umana tra docente e discente ne esce fortificata. Il ragazzo guarda all’adulto come ad una persona, ad un soggetto altro, al quale potersi rivolgere in caso di necessità avendo la sicurezza di essere ascoltato. Si viene, così, a creare ed a potenziare un rapporto empatico i cui effetti si riverberano anche sul clima generale della classe e nella relazione di insegnamento-apprendimento.
Quando uno studente sbaglia, quindi, non dobbiamo essere subito pronti a puntare l’indice sull’errore o, molto peggio, sull’alunno che sbaglia, ma accostiamoci a lui, facciamogli capire l’errore commesso ed aiutiamolo a superare l’ostacolo.
In questo atteggiamento anche il linguaggio riveste un ruolo importante per cui, invece di dire “stai sbagliando” proviamo a dire “stai imparando” ed il clima relazionale ne sarà positivamente influenzato.
L’apprendimento è la risultanza di una molteplicità di fattori, errori compresi, su molti dei quali possiamo e dobbiamo intervenire, come docenti e come adulti. Quanto appena detto, che oggi è considerato quasi una banalità, è stato elevato a materia di studio in quella che è nota come pedagogia dell’errore. Si tratta di una corrente di pensiero che ha preso avvio solo verso la metà del secolo scorso grazie al contributo di Karl Raimund Popper, filosofo ed epistemologo di origini austriache ma naturalizzato inglese, e di Henry J. Perkinson.
Questi due autori hanno tenuto a battesimo un concetto, a quel tempo, del tutto nuovo: accogliere l’errore come una risorsa, come uno strumento utile per il miglioramento dell’apprendimento. Il nuovo approccio trasforma l’errore da accadimento negativo in protagonista attivo e strumentale per il percorso che porterà alla conoscenza. L’errore deve essere considerato come passo importante e come fonte da cui far scaturire il pensiero critico consapevole.
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