Una riflessione sulle competenze

Una riflessione sulle competenze

10 Maggio 2021 0 Di giuseppe perpiglia

L’autonomia scolastica è stata causa ed effetto, ad un tempo, della transizione dalle semplici conoscenze alle più impegnative competenze. Il navigare tranquillo della monodimensionalità che caratterizza le conoscenze si è trasformato in un procedere accidentato e non certo scevro da pericoli nell’infido mare delle competenze.

Eh già, perché le competenze sono un oggetto, o se preferite un soggetto, di difficile connotazione. Infatti, basta andare sulla rete, aprire un qualsiasi motore di ricerca e digitare “competenze” per ritrovarsi in una foresta inestricabile di migliaia di pagine in una frazione di secondo. Se poi ci si vuole soffermare solo sulle definizioni, se ne contano alcune decine che si diversificano per la caratteristica che mettono in risalto.

Tra tutte queste notizie ed informazioni relative alle competenze, però, è possibile rintracciare elementi comuni e largamente accettati come tali. In primo luogo, il concetto chiave, ormai diventata un classico: «La competenza deve coniugare conoscenze, capacità ed abilità e deve essere in grado di indicare ciò che si sa fare con ciò che si sa e ciò che si sa essere» è universalmente riconosciuto come tratto distintivo.

Da questo punto di partenza si può individuare e condividere l’affermazione che la competenza deve essere in grado di mobilitare dimensioni diverse. Le competenze sono caratterizzate dalla soggettività e, per tale motivo, sono legate al necessario ed ineludibile coinvolgimento di tutta la persona nella loro attivazione. Le dimensioni mobilitate dalle competenze sono:

  • la dimensione cognitiva
  • la dimensione procedurale
  • la dimensione metacognitiva
  • la dimensione emotiva

La dimensione cognitiva

È in atto, a volte più gridata ed a volte più sopita, una diatriba circa l’importanza delle conoscenze e delle competenze. I progressisti affermano la necessità di abbandonare la scuola nozionistica a favore della scuola delle competenze. I conservatori, dal canto loro, adducono a sostegno della loro tesi a favore delle conoscenze, che l’averle messe in secondo piano ha fatto sì che l’impegno dei ragazzi venisse sempre meno. Il perseguire le competenze avrebbe trasformato le scuole in progettifici e che, all’uscita dal primo ciclo di istruzione e formazione, i ragazzi si troverebbero ad avere una cassetta degli attrezzi, cioè un bagaglio di conoscenze, piuttosto deficitario.

Dal mio modesto punto di vista penso che le conoscenze mantengano tutta la loro valenza: hanno solo cambiato drasticamente funzione essendo passate dall’essere il fine a strumento indefettibile per l’acquisizione delle competenze. Per quanto non sia certo un cambiamento da poco, non ne ha intaccato l’importanza. Basta ricordare la massima tante volte ascoltata: “Non ci può essere formazione senza informazione”.

Le competenze debbono basarsi e condurre lo studente verso la responsabilità e l’autonomia. Si tratta di due caratteristiche che impongono, entrambe, numerose scelte. Ma per scegliere bisogna conoscere i termini della questione, per scegliere c’è bisogno delle conoscenze!

Infine, un’ultima chiosa.  Il mondo attuale è sempre più caratterizzato da cambiamenti ogni giorno più veloci, in tutti i campi, per cui un soggetto che vuole vivere ed essere immerso a pieno titolo nella comunità, deve essere in grado di adeguarsi a tali cambiamenti. Ebbene, le competenze permettono e facilitano tale flessibilità, al contrario, delle conoscenze che rimangono cristallizzate nella loro staticità.

La dimensione procedurale

La competenza, per definizione universalmente accettata, è un sapere in movimento. Ne consegue che implica, e non potrebbe essere il contrario, che essa preveda un momento operativo altrimenti non potrebbe essere definita competenza, fermandosi al semplice status di conoscenza.

La dimensione procedurale è caratteristica peculiare della competenza. Non deve trattarsi, però, di una semplice e pedissequa applicazione di algoritmi o di procedure staticamente predeterminate e standardizzate. Anche in questo caso, l’abilità operativa deve essere caratterizzata da flessibilità affinché una determinata procedura possa essere esperita in contesti diversi. La competenza deve, quindi, essere anche caratterizzata dalla trasportabilità tra contesti diversi. Ed anche in questo caso continua a perdurare la necessità di effettuare scelte diverse, che saranno scelte operative, per cui si ripresenta la necessità di conoscere operatività diverse per scegliere quella più adeguata o ritenuta tale.

È un passo importante quanto obbligatorio perché le competenze si sviluppano e si possono valutare solo nel mentre in cui si opera. Non considerare questo momento vorrebbe dire togliere efficacia e validità a tutto l’impianto formativo che poggia sulle competenze.

La dimensione metacognitiva

Il punto saliente, vero e proprio spartiacque rispetto ad un passato non molto lontano, è che all’acquisizione di conoscenze e di abilità è richiesto di affiancare la riflessione sul processo che ha portato a tali acquisizioni. Il momento dedicato alla riflessione serve a potenziare l’acquisizione appena raggiunta, ma serve anche ad acquisire consapevolezza del proprio metodo di apprendere, dei personali percorsi che ognuno compie per raggiungere gli obiettivi che aveva programmato e che aveva comunque condiviso. Prendere consapevolezza di tali variabili rende possibile un miglioramento continuo. Permette, inoltre, di fare emergere competenze che non si pensava di avere; permette, anche, di crearsi le condizioni migliori per uno studio più efficace e più efficiente. Potenziare le condizioni che ci permettono di apprendere con maggiore facilità e più in profondità ci fa guadagnare tempo e tutto il tempo guadagnato lo possiamo dedicare ad altro. Avendo consapevolezza delle situazioni che si trasformano in ladri di tempo, potremmo riuscire a far grandi passi in avanti anche per quanto riguarda l’auto-orientamento.

Creando ed operando in condizioni ed in contesti a noi più favorevoli, otterremo risultati migliori e questo si riverbererà positivamente sulla nostra autostima, innescando un circolo virtuoso in grado di auto-alimentarsi.

Ogni docente dovrebbe stimolare nei propri ragazzi il momento dedicato alla riflessione, anche a scapito di qualche nozione che, per quanto importante possa essere o sembrare, può sempre essere acquisita in un secondo tempo.

La dimensione emotiva

È da qualche decennio, ormai, che il focus dell’attività educativa e didattica è passata dall’insegnamento all’apprendimento. Il fulcro su cui ruota tutta l’attività non è più il programma, l’attività principale non è più l’insegnamento. È passato, speriamo in modo definitivo, il periodo in cui l’alunno doveva adeguarsi alla scuola. Oggi, causa ed effetto dell’autonomia scolastica, è l’attività educativa e didattica che si deve adeguare alle esigenze ed alle aspettative di ogni singolo alunno. L’alunno, come ormai acquisito, ha cessato di esse un soldatino di stagno fra tanti altri soldatini di stagno, tutti uguali e tutti in fila, allineati e coperti. Oggi l’alunno deve essere considerato per quello che effettivamente è stato ed è tuttora: una persona. Questo vuol dire che bisogna considerare tutte le sue dimensioni, non certo ultima quella emotiva, vero e proprio motore di ogni azione e di ogni reazione ai vari stimoli che caratterizzano la vita di ognuno. Strettamente collegata alla sfera emotiva vi sono altre due importanti caratteristiche di cui bisogna tener conto: l’interesse e la motivazione. Tutte e tre queste caratteristiche sono legate in modo indissolubile ed ognuno è in grado di influenzare gli altri due.

Le competenze debbono essere proposte con attività che siano in grado di intercettare l’interesse del ragazzo e debbono essere situate in un testo che sia familiare al ragazzo stesso ed alla sua esperienza. Queste due situazioni, andando a potenziare l’interesse, potenzieranno anche la motivazione e la partecipazione. Agire positivamente sulla sfera emotiva del ragazzo, rispettando l’identità e l’individualità, dovrebbe essere la prima azione che ogni docente dovrebbe compiere quando entra in classe. Entrare in classe dovrebbe voler dire entrare in relazione empatica con ogni singolo alunno perché il ragazzo, non solo deve essere, ma deve sentirsi e viversi, al centro delle attenzioni dei docenti, deve sentirsi trattato come un soggetto unico ed irripetibile, se oggetto degno di rispetto per il solo fatto di essere quello che è.

Osservazione e rilevazione

Per simili operazioni, venendo meno in te caso le classiche prove strutturate, semi-strutturate e non strutturate da somministrare e concludere nell’arco di una giornata, ci si deve rivolgere ad altre tipologie valutative. In particolare, a tal fine, ci si può rivolgere a:

  • i compiti di realtà o compiti autentici
  • il prodotto finale del compito assegnato
  • il diario di bordo o autobiografia cognitiva

I compiti autentici

Si sente parlare di compiti di realtà e di compiti autentici. Si tratta di un distinguo che è bene fare per fissare le idee ed evitare confusioni ed equivoci. Un esempio di compito di realtà o realistico potrebbe essere: “Pierino, eccoti 50 €: vammi a comprare 1 Kg di pane, 2 pacchi di spaghetti, 2 Kg di mele rosse, …”. È sicuramente un compito reale, ma non coinvolge l’alunno in prima persona, nel senso che, per svolgere tale compito, non è chiamato ad esercitare una sua autonomia ed anche per quanto riguarda la responsabilità essa risulta assente o molto limitata. Invece, se la mamma dice: “Pierino, eccoti 50 € e vai a fare la spesa” cambia tutto in quanto Pierino deve scegliere da sé cosa comprare e quanto comprarne ed il compito da reale diventa autentico. In questo secondo caso, infatti, vengono pesantemente coinvolte sia l’autonomia delle scelte, sia la responsabilità ad esse connessa.

Il docente, in un simile frangente, dovrà valutare tutto il processo messo in atto nell’agire in situazione. Dovrebbe indagare e riflettere sui meccanismi mentali che il ragazzo ha mobilitato. Il problema maggiore è quello di disperdersi e di cadere in una soggettività che ben poco aiuta, sia il ragazzo che il docente. Per evitare, o almeno ridurre, tali effetti collaterali è bene ricorrere alle griglie per le osservazioni sistematiche stilate a monte, cioè nel momento della progettazione del compito autentico. Ancora meglio, perché più efficaci, se le griglie vengono condivise a livello di gruppo, quale potrebbe essere, ad esempio, il dipartimento disciplinare, sia esso orizzontale o verticale.

Il prodotto finale

Ogni compito deve essere finalizzato alla realizzazione di un prodotto, materiale o immateriale, che rappresenti il compendio delle conoscenze, delle abilità e delle competenze mobilitate per portarlo a termine. Il prodotto previsto deve rappresentare il risultato di un agire competente, quindi non può essere banale nel suo processo di realizzazione. Anche per valutare il prodotto ritorna utile servirsi di una griglia basata su criteri, indicatori e descrittori stabiliti a monte, sempre in fase di progettazione. Tali criteri, come quelli riportati nelle griglie per le osservazioni sistematiche, devono essere messe a conoscenza degli alunni in quanto essi devono aver ben chiara la destinazione da raggiungere. Il prodotto deve rappresentare un obiettivo che abbia senso per lo studente e deve essere in grado di gratificarlo del suo lavoro e del suo impegno. Se si tratta di un qualche oggetto che può servire o essere utilizzato da altri, cioè che abbia una certa visibilità ed utilità, l’effetto positivo sull’auto stima e, quindi, sulla motivazione sarà enfatizzato al massimo.

L’autobiografia cognitiva

Questo strumento di osservazione e rilevazione delle competenze poggia preminentemente sulla dimensione metacognitiva delle competenze stesse. In questo documento lo studente è invitato a scrivere le ragioni per cui ha operato le varie scelte che lo hanno condotto verso la realizzazione del prodotto finale, il perché dell’uso di alcuni metodi o di alcuni strumenti invece di altri. È invitato, anche, a scrivere cosa gli è piaciuto di più e perché. Lo stesso deve fare con quello che gli è piaciuto di meno, anche in questo caso spiegandone le ragioni. In questo modo lo studente è portato a riflettere sulla sua attività. È chiamato a guardarsi dentro, attivando un processo di introspezione. Tale attività, quindi, diventa importante anche ai fini dell’auto orientamento. L’autobiografia cognitiva porta in sé, e non potrebbe essere altrimenti, la positiva conseguenza di un’efficace autovalutazione. Il ragazzo si trova a valutare da sé stesso. Il proprio operato. Si tratta di un esame che, non venendo da un soggetto altro da sé, è scevro dalla paura e dalla soggezione legati ad eventuali errori ed al giudizio che ne può derivare. Un senso di disagio in misura maggiore o minore accompagna sempre la valutazione da parte di un estraneo. E l’assenza di tale disagio aiuta il lento percorso verso l’acquisizione di uno spirito critico.

Valutazione e graduazione

Il prodotto finale del mega-compito autentico che è il processo di insegnamento-apprendimento nella sua totalità è l’acquisizione da pare del ragazzo delle competenze previste in fase di progettazione dell’attività. Anche in questo caso è richiesto, anzi prescritto dalla norma, che si debba valutare il prodotto finale. Tra i vari documenti che il docente deve stilare nella sua attività, infatti, è compreso anche quello relativo alla certificazione delle competenze acquisite. Non è certamente pensabile che tutti gli studenti raggiungano lo stesso livello di acquisizione nello stesso tempo, relativamente a tutte le competenze previste nella fase progettuale. Si rende, quindi, necessario poter usufruire di una linea guida per poter assegnare ad ogni alunno e per ciascuna competenza, un quanto più possibile ed oggettivo livello di acquisizione in grado di fotografare la situazione reale. Per cercare di perseguire tale oggettività, già nel momento della progettazione dobbiamo stilare e condividere nel dipartimento, o nel Consiglio di classe per quanto riguarda le competenze trasversali, delle rubriche di valutazione. Ogni rubrica, ovviamente, sarà basata su più competenze, ognuna delle quali verrà suddivisa in criteri, questi in indicatori che a loro volta saranno scomposti in descrittori per concludere con la descrizione dei livelli di acquisizione previsti dalla normativa vigente: avanzato, intermedio, di base. A volte se ne aggiunge un quarto con la dicitura “in fase di acquisizione”. Nelle rubriche di valutazione bisogna scrivere solo quello che c’è, evitando di fare riferimento a quello che manca. Bisogna, cioè, mettere tutto in positivo per agire in modo pro-attivo sulla motivazione del ragazzo. I criteri presenti nelle rubriche di valutazione dovrebbero essere descritti in base alle dimensioni delle competenze che abbiamo visto all’inizio di questo articolo:

  • consapevolezza
  • responsabilità
  • autonomia
  • originalità
  • capacità risolutiva

In fase di progettazione, per individuare le competenze da perseguire basta consultare le Indicazioni Nazionali 2012, in particolare nel capitolo “Profilo dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione”.

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