Conversazione sull’educazione nella vita quotidiana

Conversazione sull’educazione nella vita quotidiana

22 Marzo 2021 0 Di giuseppe perpiglia

Nei giorni scorsi ho ricevuto questo, molto gradito, contributo dalla dirigente scolastica dottoressa Stumpo Mariarosa che ho avuto come dirigente nel corso della mia carriera di docente di Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali, allora si chiamava così, nella scuola media, oggi scuola secondaria di primo grado. L’ultimo anno della mia permanenza nell’istituzione da lei diretta, mi assegnò il compito di coordinare un gruppo di lavoro per una ricerca-azione dal titolo “Oltre la conoscenza: l’essere”. Da questa esperienza ho preso lo spunto per la stesura della mia ultima opera Oltre la conoscenza: l’essere, scaricabile gratuitamente da questo sito. Della dirigente ho sempre apprezzato l’amore per la sua professione, prima di docente e poi di dirigente. Riferimento sicuro per tutti i docenti che ha sempre stimolato ad un continuo miglioramento. Non posso se non ringraziarla per la stima dimostratami con l’invio di questo contributo che pubblico volentieri nella versione originale a cui non mi sono permesso di apportare modifica alcuna.

Presentazione

Lo scritto di cui propongo la lettura è uno stralcio, con qualche modifica, di un mio piccolo saggio dal titolo Conversazione sull’educazione nella vita quotidiana, editore Macabor, 2019[1].

Scrivendolo ho provato a riflettere su alcuni aspetti dell’educazione, a darmi delle spiegazioni e a condividerle non tanto con gli “addetti ai lavori”, che già conoscono bene gli argomenti trattati nel saggio, ma a tutti coloro che si trovano ad occuparsi di educazione o che sono per qualche motivo interessati al discorso educativo. L’argomento, pertanto, non è trattato dal punto di vista prettamente scolastico, ma come una riflessione personale, esposta in modo colloquiale e discorsivo. Lo stralcio che propongo riguarda l’educazione come socializzazione. Altri aspetti (educazione come acquisizione di conoscenze e competenze, come affinamento della sensibilità, come correzione del comportamento, ecc.) sono affrontati nel resto del saggio.

Conversazione sull’educazione nella vita quotidiana

di Mariarosa Stumpo

Premessa

Dopo aver studiato Pedagogia per anni, mi ritrovo a fare una riflessione su questa domanda di fondo: alla fine, che cos’è l’educazione? Perché si sono occupati di educazione tanti illustri intellettuali nel corso dei secoli? Tutto sommato sembra un fatto naturale, che accompagna la crescita e l’evoluzione dell’individuo, che avviene in modo spontaneo o per consuetudine sociale, anche se non si riflette su di essa.

Eppure se la sono posta come problema filosofi, intellettuali, politici … perché?

Perché l’educazione, quando si riflette su di essa, è un fenomeno complesso e implica questioni morali, etiche, sociali, politiche, religiose …

Anche la normale educazione che avviene in famiglia. Essa si riflette sulla società, sulla comunità, sullo Stato. In ogni caso, anche in quello più basico, più ordinario, se l’educazione dei figli ha un minimo di consapevolezza, comporta un impegno costante, significa farsi delle domande e darsi delle risposte, significa sacrificio e rinunce.

Intanto, anche se l’educazione “sembra” un fatto spontaneo, in realtà non lo è affatto. Neanche la crescita lo è. I bambini che, per diverse cause, sono vissuti in isolamento, i cosiddetti “bambini selvaggi”, non solo non sono “educati”, ma non hanno neanche la motricità fine, necessaria per afferrare un oggetto, non hanno la capacità di parlare e anche la loro crescita è limitata, come nel caso di Genie, studiato da Curtiss, nel 1977 e da Rymer nel 1974[2].

Ho provato, con questa riflessione, a darmi delle spiegazioni, e a condividerle non tanto con gli “addetti ai lavori”, che già conoscono bene gli argomenti trattati nel saggio, ma a tutti coloro che si trovano ad occuparsi di educazione o che sono per qualche motivo interessati al discorso educativo.

Educazione come socializzazione

L’educazione è un processo complesso e, come tale, presenta diverse sfaccettature.

Un primo importante aspetto dell’educazione in età evolutiva[3] è costituito dal suo essere processo che inserisce il bambino in una famiglia (ovvero in un contesto familiare, micro contesto sociale con le proprie regole, abitudini, consuetudini, prospettive di vita, condizioni economiche, ecc.) e in un contesto sociale, culturale, etico, morale.

In questo senso l’educazione si identifica appunto con la socializzazione ovvero con il processo attraverso il quale un individuo entra a far parte di una specifica società, attraverso cui, cioè, si costruisce la propria identità culturale. Comporta l’acquisizione della lingua, delle regole, dei valori che caratterizzano quel determinato contesto sociale (K. Danzinger 1972).

Nelle società monolitiche, in cui sono molto forti il senso dell’identità culturale e le tradizioni e i riti non sono messi in discussione, in cui non esistono altri modelli di riferimento e se esistono vengono comunque rifiutati (mi riferisco alle comunità tribali dell’Africa, agli Indios dell’Amazzonia, a comunità religiose, ma anche contesti sociali evoluti, ma fortemente ancorati alle tradizioni, come per esempio il Giappone[4] e alla nostra stessa società, prima della polverizzazione sociale), il processo di socializzazione avviene semplicemente con l’adattamento: ci sono regole codificate o non codificate di comportamento sociale, c’è, in genere, un rapporto di supremazia dell’adulto o del capo carismatico, ci sono i riti, le cerimonie di iniziazione, oppure, come avveniva in Italia fino a qualche decennio fa, c’era l’avvio precoce al lavoro. Il sistema sociale era però forte, con poche divergenze rispetto alla società consolidata.

Oggi, in una società liquida (Bauman, 1999), polverizzata, in cui non esiste un solo modello di riferimento, ma tanti piccoli contesti sociali che a volte si identificano con la famiglia di provenienza, altre volte con gruppi in cui l’individuo si trova a vivere, per scelta o per caso, il processo di socializzazione è diventato più complesso. In principio c’è sempre la famiglia, ma poi il gruppo dei pari e l’influenza dei mass media e dei social rivestono un ruolo importante, se non preminente. E quando si parla di famiglia si intende famiglia nucleare ristretta o allargata, spesso con un solo genitore di riferimento o di genitori con culture diverse e altri adulti senza autorevolezza (compagni di uno dei due genitori, fratellastri, zii, nonni).

Cambiato è anche il ruolo e il valore, nel senso dell’investimento affettivo, che il minore ha nell’ambito della famiglia. Spesso è figlio unico, conteso da genitori e nonni.

Inoltre, negli ultimi decenni, rispetto al passato, è cambiata la concezione stessa dell’infanzia, con il riconoscimento che il bambino è portatore di diritti (Dichiarazione dei Diritti del bambino, 1979). Così, se in passato, o in altre culture, doveva solo obbedire e adattarsi, in famiglia e nelle altre istituzioni educative, oggi il ruolo del bambino è molto più attivo e rilevante. Certamente ci sarà un adattamento, ma egli stesso cambierà le dinamiche comportamentali e strutturali del contesto in cui è inserito. È facile capire: per esempio, se si trova in una famiglia, si dovrà adattare a quel contesto, ma quel contesto stesso sarà modificato dalla sua presenza e lo sarà ancora di più quando comincerà ad agire in modo autonomo.

Comincerà allora una specie di lotta, un fronte, in cui ci saranno interessi contrapposti: quello del bambino che proverà a saggiare e affermare la sua “potenza” e quello del genitore/educatore che dovrà difendere il suo ruolo e le sue posizioni e porre limiti alla volontà di onnipotenza del bambino. Questa “lotta” è particolarmente visibile quando il bambino è nell’età dell’opposizione (a partire dai due anni e mezzo) e durante l’adolescenza. Ma in sordina c’è per tutto il percorso formativo, e anche dopo. Si trasforma spesso in scontro generazionale … che è giusto che ci sia, purché di fronte a tesi contrapposte si arrivi a una sintesi di maturazione e arricchimento per tutti.

In questa lotta attualmente la tendenza è che sia l’adulto a soccombere. Anzi, c’è la propensione, da parte dell’adulto, ad evitare i conflitti, ad avere atteggiamenti “amicali” con i figli e gli allievi. Ma a cosa ha portato questo atteggiamento? Alla caduta di valore dell’adulto e all’affermazione della propria onnipotenza da parte del bambino, ad una eccessiva parità di ruoli tra adulto (genitore/docente) e essere in formazione. In realtà non sono, non devono essere sullo stesso piano. Hanno pari dignità di persone, ma l’adulto ha un patrimonio di esperienze, conoscenze, capacità che il discente deve ancora acquisire. Il rapporto non è paritario, come ha ben evidenziato Alessandro D’Avenia in un recente articolo apparso sul Corriere della sera (2019).

Oggi si dice che per la prima volta nella storia i discenti hanno più conoscenze dei docenti. È vero, ma di che tipo di conoscenze si tratta? Tecnologiche, estemporanee, abilità manipolative dei social, conoscenze prevalentemente operatorie. Come fanno i giovani a salire sulle spalle dei giganti se non riconoscono che prima di loro c’è stata tutta una costruzione culturale da cui bisogna partire per andare oltre? Non si può sempre ricominciare da zero. La cultura pregressa, faticosamente acquisita dall’umanità non può andare perduta.

A questo punto mi sorge un dubbio: i diritti dei bambini, anche nelle società cosiddette civili, firmatarie della dichiarazione, sono concepiti dappertutto allo stesso modo? Il permissivismo senza limiti che ha portato all’adorazione dei “piccoli budda” (Crepet 2019) è presente in tutte le culture? In tutti i 194 stati firmatari della Convenzione?

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[1] È possibile acquistare il volume sul sito dell’editore all’indirizzo http://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-categories-listing/product/98-conversazione-sull%E2%80%99educazione-nella-vita-quotidiana

[2] Fabbro 2018, pagg.55-56

[3] In realtà, di educazione si parla ormai riferendosi a tutta la vita, dalla culla alla tomba, come educazione permanente, ma il valore, l’intensità degli interventi, la permeabilità dei soggetti educandi, diminuisce con l’avanzare dell’età. In questa sede, quindi, ci si occuperà solo dell’età evolutiva.

[4] Marco Corona, Intervista a Murakani Ryu, inserto del Corriere della Sera del 12 maggio 2019