La valutazione delle competenze

La valutazione delle competenze

La vexata quaestio delle competenze si arricchisce di un ulteriore modesto contributo. Questa volta mi voglio confrontare con voi sulla valutazione di quell’importante oggetto pedagogico che è la competenza. Si tratta di un oggetto complesso e per certi versi sfuggente, che non è affatto semplice definire in modo univoco ed ancora più difficile risulta la sua valutazione. Pierino, quando è nato Mazzini? Quando è morto Garibaldi? Chi era il re d’Italia? E dove incontrò Garibaldi? Qual è stata la prima capitale dell’Italia unita? Bene, bravo, 7+! E fine della valutazione, anzi della verifica. Qualcuno rimpiange quei tempi ritenendoli, addirittura, più formativi per il carattere e la crescita delle nuove generazioni!

Valutare le competenze non è un’attività semplice. Bisogna, invece, affrontarla con la dovuta preparazione ed è necessario farla precedere da un’adeguata riflessione sul perché la si compie. Bisogna, infatti, rispondere ad una serie di domande e le risposte date avranno un’importanza cruciale e dirimente sulla maggiore e minore efficacia della valutazione stessa.

Prima di continuare permettetemi una parentesi, probabilmente inutile ma corro il rischio, per una chiarificazione lessicale. Spesso, senza farci molto caso, i termini verifica e valutazione vengono utilizzati quasi fossero sinonimi. Verifica, che deriva dal latino verum + facere, significa controllare l’autenticità o la validità di un’affermazione o di una risposta. Nel caso specifico del mondo scolastico la verifica è finalizzata a capire quanto e cosa l’alunno abbia appreso e trattenuto in termini di conoscenze e di abilità. Nel caso della verifica abbiamo una situazione ben definita che viene innalzata a verità condivisa da tutti. La verifica si serve di prove strutturate a risposta chiusa, non lascia spazio ad interpretazioni personali: “La capitale d’Italia è Roma”. La frase, che può essere anche proposta sotto forma di domanda (Qual è la capitale d’Italia?) o è vera o è falsa, non esistono altre alternative, né si lascia spazio ad interpretazioni personali e creative. In altri termini, la verifica serve per appurare se la risposta data coincide al vero o meno, e per tale motivo è asetticamente oggettiva, spersonalizzando chi propone la verifica ma anche chi vi viene sottoposto.

Il termine valutazione, invece, implica e richiama il concetto di valore, infatti il suo significato etimologico è “avere valore”, “avere un prezzo”. Il valore, però, è una caratteristica soggettiva che, come tale, cambia al cambiare del soggetto che effettua la valutazione, così come cambia in base al contesto storico e geografico.

In questo caso non esiste una sola ed immutabile verità. Ma esistono possibilità diverse per giungere alla soluzione dello stimolo-problema proposto. Ogni individuo può effettuare il percorso dalla situazione di partenza alla meta in maniera diversa e personale, più o meno o creativa, in un tempo più breve o più lungo e la valutazione si deve basare su criteri precedentemente condivisi tra valutatore e valutato.

Abbiamo accennato a delle domande da porsi prima di iniziare le attività di valutazione, anche se, ad onor del vero, le domande andrebbero poste e corredate delle rispettive risposte al momento della progettazione. La prima domanda dovrebbe essere “Per chi valutiamo?”. Valutiamo per noi? Valutiamo per il ragazzo? Valutiamo per rendere conto ad un ente altro, interno o esterno che sia? Si pensi, ad esempio, al Nucleo di valutazione interno oppure alle prove INVALSI, alle prove OCSE-PISA o, ancora, alle prove TIMSS e PIRLS.

Subito dopo ci dobbiamo interrogare, fornendo una risposta esaustiva, su cosa vogliamo effettivamente verificare, su quale deve essere l’oggetto principale su cui vogliamo o dobbiamo esprimere un parere o un giudizio. È bene soffermarci su poche cose e non voler abbracciare tutto l’universo mondo perché si rischierebbe, alla fine, di avere le idee ancora più confuse di quanto le avessimo prima di effettuare la valutazione.

Ancora, un altro interrogativo che non possiamo trascurare è il come valutare. Ci basiamo su osservazioni sistematiche relative al processo utilizzando una rubrica di processo? Oppure ritemiamo più indicato, al termine dell’attività, utilizzare una rubrica di prodotto, o ancora preferiamo avvalerci di una rubrica metacognitiva? Non si tratta mai, però, di sceglierne una tralasciando le altre, bensì di avvalersi di tutti e tre i tipi di rubrica a seconda se la valutazione viene effettuata durante o al termine dell’attività formativa. Stilare una rubrica di valutazione richiede di stabilire dei criteri a monte in modo da non perdersi dietro impressioni del momento, dietro mete contingenti che sarebbero ben poco efficaci nel bilancio complessivo. I criteri inerenti la valutazione delle competenze trasversali andrebbero stabiliti in una apposita riunione a livello di Collegio docenti o, almeno, a livello di Consiglio di Classe. In tal modo il giudizio finale sarà molto più articolato e pluri-prospettico e, quindi, molto più aderente alla realtà.

Per la scelta dei criteri basta avvalersi dei documenti a disposizione: le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente del Consiglio d’Europa, le competenze di cittadinanza, le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012, in particolare il capitolo Profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione. È molto indicato consultare anche il documento Indicazioni Nazionali e nuovi scenari. Esempi di criteri per l’osservazione e la successiva valutazione possono essere:

  • L’autonomia nel portare avanti il compito assegnato.
  • La continuità nell’impegno.
  • La tipologia della situazione, cioè se si tratta di una situazione nota oppure di una situazione nuova.
  • Quali risorse vengono mobilitate dal ragazzo per affrontare la situazione problematica propostagli.

È possibile, ovviamente, fare ricorso ad ulteriori criteri elaborati dal Collegio Docenti ed inserite nei criteri di valutazione all’interno del PTOF.

Ultimo, ma solo per esigenze di enunciazione e non certo per importanza, è necessario dedicare un momento di riflessione sull’uso a cui il giudizio elaborato in fase di valutazione è destinato, facendo molta attenzione al codice valutativo da utilizzare.

Potrebbe, infatti, la valutazione essere destinata ad un uso interno, quale fattore di regolazione dell’insegnamento, oppure ad un uso esterno.

Tutte queste domande, e le relative risposte, non sono slegate una dall’altra, non vivono vita autonoma, ma sono strettamente interdipendenti e la risposta ad una di esse influenza quella data ad una o più altre.

La consapevolezza che dovrebbe aleggiare al di sopra dell’intero percorso di insegnamento-apprendimento e del momento legato alla valutazione è che quest’ultima deve avere una valenza non già punitiva o persecutoria, bensì formativa.

Secondo Philippe Perrenoud, la valutazione è realmente formativa solo quando permette di conoscere meglio l’alunno, secondo i canoni della pedagogia differenziata, al fine di aiutarlo meglio. Il modello della pedagogia differenziata è un modello che si basa sia sul riordino del lavoro scolastico a misura degli allievi secondo pratiche e tecniche consolidate, sia sulla creazione e sulla diffusione di metodologie didattiche in funzione delle differenze cognitive di ciascun allievo rispetto agli altri. Questo modello rappresenta una delle applicazioni più significative e attuali dell’approccio costruttivista. La classe all’interno di questa visione pedagogica diventa un laboratorio, in quanto i soggetti perseguono il proprio personale piano di crescita, attraverso pratiche costruite ad hoc e allo stesso tempo sono responsabilizzati, ovvero tenuti a rendere conto agli altri compagni del proprio impegno.

In questo caso il docente ha dei precisi compiti tutti ricadenti nell’obiettivo di aiutare l’alunno a trovare quelle situazioni in cui le conoscenze possono assumere un ruolo significativo. La pedagogia differenziata si basa su tre capisaldi:

  • molteplicità dei percorsi;
  • riflessione sulle strategie di apprendimento;
  • promozione della capacità di apprendere.

Per concludere è bene sottolineare che la valutazione deve essere al servizio dell’azione, ovvero dell’apprendimento e non deve essere considerata una “resa dei conti” tra docente ed alunno.

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