Le competenze: uno strumento complesso

Le competenze: uno strumento complesso

15 Febbraio 2021 0 Di giuseppe perpiglia

Abbiamo già avuto modo di leggere da più parti che le competenze hanno soppiantato le conoscenze e che l’apprendimento è considerato prioritario rispetto all’insegnamento. Vi sono ancora dei rigurgiti a favore delle conoscenze, ma diventano sempre più residuali.

In effetti, il paradigma che l’apprendimento fosse una mera conseguenza dell’insegnamento è stato ribaltato di 180 gradi. Oggi, infatti, è consapevolezza comune che è l’insegnamento che si deve adeguare alle forme ed alle modalità di apprendimento di ogni singolo alunno.

L’eccessiva velocità con cui vengono proposte sempre nuove conoscenze, la specializzazione sempre più spinta in ogni settore, nonché la globalizzazione e la sempre maggiore mobilità, inoltre, hanno spostato il fulcro dalle conoscenze, che diventano obsolete in un breve battito di ciglia, verso le competenze che, invece, hanno vita più lunga, più efficace e più ampia nel senso che possono essere applicate in contesti anche molto diversi tra loro.

Le competenze, al contrario delle conoscenze che sono monodimensionali, sono in grado di attivare ben quattro dimensioni soggettive:

  • Cognitiva
  • Procedurale
  • Metacognitiva
  • emotiva

Dimensione cognitiva                le competenze hanno bisogno di una solida base cognitiva per potersi sviluppare, così come hanno bisogno delle necessarie abilità. Le competenze non hanno certo annichilito ed annullato le conoscenze, bensì le hanno semplicemente poste in secondo piano. Da fini sono diventate mezzo. Sono diventate oggetti strumentali all’acquisizione delle stesse competenze. Queste ultime, poi, per essere acquisite e per essere esperite, hanno pur sempre bisogno di abilità, anch’esse, quindi, strumentali all’acquisizione delle competenze.

Dimensione procedurale          le competenze vengono acquisite facendo, mettendo il ragazzo di fronte a problemi aperti, i cosiddetti compiti di realtà, in cui assumono un ruolo di primo piano non tanto e non solo ciò che il ragazzo sa e ciò che il ragazzo sa fare con quello che sa, ma soprattutto i meccanismi logico-operativi che il ragazzo mette in atto per raggiungere e trovare la soluzione di quel determinato problema. In altri termini possiamo affermare che non tanto importante la meta, quanto la strada percorsa per raggiungerla.

Dimensione metacognitiva       questa dimensiona sfrutta e persegue la consapevolezza metodologica, cioè la consapevolezza delle attività esperite. Conoscere il perché ed il come e soprattutto con quale finalità viene effettuata quella specifica attività. È un fare che si interroga su sé stesso ed in tal modo diventa autentico e motivante.

Dimensione emotiva                   per quanto appena detto, le attività volte all’acquisizione delle competenze devono essere significative per lo studente. Non ci si può più esimere dal partire dalle aspettative e dalle esigenze del ragazzo che apprende. Se così è, esse andranno ad impattare sulla partecipazione, sull’interesse e sulla motivazione dello studente, arricchendole e potenziandole. Queste tre caratteristiche sono strettamente interconnesse e non vengono sicuramente attivate quando l’insegnamento è pedissequamente basato sulle conoscenze.

La professione del docente è basata sulla capacità di accompagnare la crescita educativa, culturale e sociale delle nuove generazioni incoraggiando le capacità proprie di ogni bambino/ragazzo di emozionarsi, appassionarsi, lasciarsi coinvolgere. Le strade per raggiungere tale traguardo sono tante e mote di esse si rifanno al modello dell’inclusive education secondo il quale i sistemi educativi debbono svilupparsi su una pedagogia centrata sul singolo bambino o ragazzo (child centered pedagogy) rispondendo in modo flessibile alle esigenze di tutti e di ciascuno. È a partire dall’atto intenzionale di fiducia dell’adulto nelle possibilità del ragazzo che si crea lo spazio relazionale per lo studente di sperimentare un’immagine positiva di sé, in grado di aprirlo alla realtà ed al futuro. Il docente non deve puntare a riempire un vaso, bensì ad accendere un fuoco, per usare le parole che Michel de Montaigne scrisse negli Essais e che furono successivamente riprese da diversi altri autori, tra cui Maria Montessori e Edgar Morin, di cui ricordiamo La testa ben fatta in contrapposizione ad una testa ben piena.

Il docente deve essere in grado di stilare e portare a termine un progetto educativo e formativo in grado di rendere il ragazzo capace di camminare con le proprie gambe, altrimenti lascerà più macerie e più frustrazioni di quante ne abbia trovate. Un progetto che possa proporre al ragazzo sfide impegnative, ma inserite sempre in una cornice di realtà.

Il complesso processo di insegnamento-apprendimento è prima di tutto una relazione affettiva per cui bisogna che il docente, come adulto, si faccia carico di andare incontro alla crescita del ragazzo per aiutarlo e per sostenerlo, ma non già per sostituirsi a questi o per portarlo sulle sue convinzioni[1].

La complessità delle competenze si reverbera anche nel momento della loro osservazione e delle rilevazioni ad essa connessa, così come nella valutazione. L’osservazione del processo di acquisizione delle competenze può seguire tre strade diverse, non escludentesi a vicenda ma che, al contrario, vanno utilizzate in sinergia tra loro. Le competenze, per essere perseguite, hanno bisogno di poggiare su compiti di realtà, cioè su attività reali o realistiche che siano significative per l’alunno. La prima fase, quindi, per osservare il processo di acquisizione delle competenze è proprio quella di osservare la competenza stessa nel suo dipanarsi durante l’esecuzione del compito di realtà. Si tratta, quindi, di una valutazione di processo focalizzata sull’agire competente in situazione.

La valutazione deve essere quanto più oggettiva possibile e deve essere strutturata a monte in base alla progettazione iniziale. Per avere una valutazione di processo oggettiva e tale da poter permettere un confronto parimenti oggettivo tra situazioni diverse è bene stilare, già in fase di programmazione, delle griglie di osservazione sistematica con le evidenze su cui puntare l’attenzione. Questo accorgimento permette di eliminare, o quanto meno di ridurre al minimo, le interferenze legate a contingenze ed a contesti diversi che potrebbero falsare le osservazioni stesse.

Altro momento di osservazione è quello riservato al prodotto finale del compito. Ogni compito di realtà, ogni percorso formativo, deve prevedere un qualche prodotto che deve essere e rappresentare il risultato di un agire competente. Questa fase prende il nome di valutazione di prodotto. Anche in questo caso ci si potrebbe servire di un’apposita griglia oppure di una rubrica di valutazione.

Un altro orizzonte molto ampio è quello che si apre con l’osservazione della relazione o, meglio ancora, del diario di bordo. In questo caso l’attenzione si focalizza su diversi aspetti: quelli metacognitivi ed emotivi, senza tralasciare l’importante aspetto dell’autovalutazione.

Abbiamo appena detto dell’osservazione dei fatti e della rilevazione delle evidenze, la fase successiva è quella riferita alla valutazione di tali fatti e di tali evidenze indicandone il grado di rilevanza riferito ad una scala precedentemente compilata. Le competenze, per loro natura, non possono essere certo valutate con una semplice quanto asettica ed insignificante, in questo caso, scala in decimi, ma hanno bisogno di una valutazione molto più articolata. Più che una scala in decimi, quindi, vengono utilizzati dei livelli di padronanza organizzati in una rubrica di valutazione in cui riportare i vari indicatori. Questi ultimi dovranno riferirsi alla consapevolezza delle attività portate a termine, al senso di responsabilità, al grado di autonomia dimostrato, alla capacità di risolvere problemi ed all’originalità delle soluzioni trovate.

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  10. Il curricolo verticale e le UdA (e-book gratuito)

[1] Si consulti il volume Oltre la conoscenza: l’essere, e-book gratuito dell’autore.