
Progettazione per padronanza
La progettazione fa parte del fare della scuola sin dal suo nascere, seppure in maniera inconsapevole, ma nel corso del tempo è stata declinata in forme ed in accezioni diverse in base alle finalità che ci si prefiggeva, fino ad arrivare alle forme oggi maggiormente diffuse.
Il concetto di padronanza richiama due concetti mutuati dall’economia: il bene totale ed il bene comune. Il bene totale di una comunità è dato dalla sommatoria del bene di ogni singolo componente, il bene comune, invece, è dato dal loro prodotto. Questo cosa comporta? È presto detto. Nel primo caso, il bene totale sarà sempre un valore positivo senza considerare se uno ha 100 ed un altro zero; la somma, infatti, sarà sempre 100. Non rende conto della differenziazione e della presenza di situazioni deficitarie. Nel caso del bene comune, invece, le cose cambiano drasticamente. Infatti, per la legge di annullamento del prodotto basta che sia nullo un solo fattore per annullare il totale complessivo. Questo vuol dire che le situazioni di disagio vanno ad impattare negativamente su tutta la valutazione e che per questo devono essere individuate e risolte. Il concetto di bene totale e bene comune mi fa venire in mente la storiella sulla statistica secondo la quale se uno mangia due polli ed uno rimane digiuno, per la statistica hanno mangiato un pollo a testa, ma nella realtà la situazione tra i due è ben diversa!
La finalità della progettazione per padronanza è di far raggiungere il meglio a tutti gli alunni, superando ed annullando le differenze individuali con le opportune modifiche e i necessari adeguamenti dell’ambiente e del contesto in cui avviene il processo di l’insegnamento-apprendimento. Il meglio a cui tende la progettazione per padronanza è un meglio assoluto, non un meglio riferito al singolo ragazzo. Bisogna aggiungere che il meglio è qualcosa di relativo, infatti si riferisce a quel determinato periodo storico ed a quella specifica realtà territoriale. Il meglio fino agli anni ’70 del secolo scorso era possedere molte conoscenze, mentre oggi il meglio è considerata l’acquisizione di competenze multiple.
La progettazione per padronanza si differenzia dalla progettazione per competenza perché questa seconda tende al perseguimento della competenza come obiettivo primario, senza porre tutto l’accento necessario sul reale ed effettivo apprendimento da parte di ogni singolo ragazzo. Essa tende a creare e ad implementare le condizioni migliori per raggiungere quella specifica competenza, ma non necessariamente la sua acquisizione, al massimo livello, da parte di tutti gli allievi. Con questo non voglio certo affermare che la progettazione per competenze si disinteressi del singolo alunno, è solo una questione di gerarchie. Nel caso della didattica per competenze la finalità principale è perseguire la competenza e solo in un secondo tempo fare in modo di coinvolgere nella sua acquisizione quanti più alunni possibile.
Nel caso della progettazione per padronanza, invece, le gerarchie si invertono. In questo secondo approccio, infatti, si cerca di attivare tutte le condizioni possibili affinché tutti gli alunni raggiungano il livello massimo di conoscenza e di operatività, di padronanza appunto, legato a quella specifica disciplina o a quello specifico argomento o tematica.
La didattica per padronanza è anche nota con la locuzione inglese mastery learning ed i suoi princìpi affondano le radici nei precettori e nei tutori greci, latini e, poi, medioevali, che operavano nel rapporto uno a uno. Sono stati ripresi in modo scientifico circa 60 anni fa (Carrol, 1963, Bloom, 1971, Block, 1978) ma, ancora oggi, rappresentano, almeno nelle sue linee essenziali, un modello di riferimento per l’operatività didattica, in particolare per quanto riguarda l’attenzione ai ritmi ed ai modi personali di apprendimento degli alunni. Sarebbe fuorviante creare una dicotomia che comporti un’esclusione reciproca tra la progettazione per padronanza e quella per competenze. Le due tipologie di progettazione, infatti, possono tranquillamente coesistere in una progettazione maggiormente articolata, ma sicuramente molto più efficace.
Parlando di didattica per competenze e di didattica per padronanza si incontrano termini quali individualizzazione e personalizzazione, per cui reputo importante fare un po’ di chiarezza su questi due termini. L’individualizzazione non prevede un’istruzione individuale, da realizzare nel rapporto uno a uno. Essa consiste piuttosto nell’adeguare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli alunni (ai loro ritmi di apprendimento, alle loro capacità linguistiche, alle loro modalità di apprendimento ed ai loro prerequisiti cognitivi), cercando di conseguire individualmente obiettivi di apprendimento comuni al resto della classe. Bisogna percorrere strade diverse, più attente ai bisogni di concretezza o più astratte, più lunghe o più corte, ma sempre orientate al raggiungimento di traguardi formativi comuni.
L’individualizzazione attiene alle procedure di tattiche volte a far perseguire a tutti gli studenti le abilità strumentali di base e le competenze comuni attraverso una diversificazione dei percorsi di apprendimento.
La personalizzazione, invece, attiene alle procedure didattiche volte a permettere ad ogni studente di sviluppare le proprie peculiarità e potenzialità intellettive, differenti per ognuno, sempre attraverso forme di differenziazione degli itinerari di apprendimento. In estrema e forse semplicistica sintesi l’individualizzazione mira ad obiettivi comuni per tutti, mentre la personalizzazione si basa su traguardi diversi e personali per ognuno. È la base della cosiddetta didattica taylored, cioè tagliata su misura come un capo di alta sartoria. In altri termini possiamo dire che mentre l’individualizzazione si pone obiettivi uguali per tutti, la personalizzazione si prefigge di fornire a tutti le stesse opportunità, facendo sì che ognuno le possa sfruttare al meglio. Per essere ancora più chiari, correndo il possibile rischio di infastidire qualcuno, possiamo dire che l’individualizzazione si pone obiettivi assoluti perché uguali per tutti, mentre la personalizzazione si pone obiettivi relativi e proporzionati alle reali capacità di ogni singolo allievo.
I princìpi della progettazione per padronanza sono stati tradotti essenzialmente nello scomporre i percorsi formativi in unità elementari, collegate tra loro a formare l’unicum primigenio. Tali unità sono le unità di apprendimento. Esse permettono, rendendolo molto più agevole, di seguire molto meglio e molto più facilmente il processo di apprendimento di ogni singolo alunno, i suoi ritmi e la peculiare modalità di apprendimento che gli permettono delle acquisizioni più efficaci.
Le UdA, come acquisizione comune, sono progettate su una competenza specifica e prevedono obiettivi, contenuti e modalità di valutazione. Tale parcellizzazione deve essere caratterizzata da frequenti valutazioni in itinere, le cosiddette valutazioni formative, che permettono di individuare tempestivamente eventuali difficoltà, la cui pronta soluzione ed il cui immediato superamento permettono di calibrare i percorsi didattici rispettando gli effettivi bisogni formativi di ogni singolo studente nella sua specificità.
Si può tranquillamente affermare che il motore principale della didattica per padronanza sia proprio la valutazione formativa in quanto è un dispositivo metodologico che consente di migliorare e di mirare con grande precisione gli interventi di insegnamento grazie al progressivo adattamento attivato e messo in campo in seguito alle risposte ottenute dal gruppo e, ancor di più, da ogni singolo ragazzo.
Nella didattica per padronanza il momento topico è da rintracciare nell’elaborazione delle procedure di feedback che devono essere finalizzate al continuo affinamento delle diverse fasi del processo di insegnamento-apprendimento.
Per concludere, la didattica per padronanza parte, accettandola, dalla constatazione della distribuzione gaussiana, vi ricordate la classica curva a campana?, degli studenti e si attiva per fare in modo che tutti raggiungano il livello più elevato, agendo sul contesto e sulle condizioni ambientali in cui si dipana il processo di insegnamento-apprendimento. A tal fine, si potrà agire, ferma restando la quantità e la qualità dell’insegnamento, sul tempo a disposizione per apprendere e sulle modalità. Questo modo di operare fa tendere a zero il gap, cioè il rapporto tra l’attitudine o meno, intesa come naturale inclinazione, verso una certa disciplina o il rifiuto di un’altra ed il relativo profitto.
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