La scuola come comunità

La scuola come comunità

28 Dicembre 2020 0 Di giuseppe perpiglia

 

Nelle mie lunghe passeggiate impostemi dal medico curante per tenere a bada l’ipertensione, mi è capitato di incontrare, seppure raramente, qualche collega, anche lui in pensione. Quando dico loro che, con una certa frequenza, ritorno a scuola come volontario Avis, subito reagiscono dicendo che loro, a scuola, non vogliono passarci neanche da lontano. Non è certo una bella cosa, perché vuol dire che per loro la scuola non è stata un’esperienza positiva, che la scuola non è stata in grado di fidelizzare i suoi docenti. Ma la cosa ancora più grave è che una situazione simile si verifica anche sul fronte dei ragazzi. Questi, infatti, in bona misura, vedono la scuola come una medicina da prendere e che, per quanto abbia un brutto sapore, si fidano degli adulti quando dicono loro che fa bene.

Da questa breve introduzione ne discendono che si innescano problematiche di una certa gravità. Un docente non motivato, un docente che stenta a svolgere la sua missione perché non ci mette il cuore, senza passione, agli alunni potrà solo trasmettere questi suoi sentimenti, per cui i ragazzi e le ragazze non potranno mai innamorarsi della cultura e della scuola.

In questo contesto si innesta un’altra considerazione, che non aiuta il docente e neanche i ragazzi. Questo tempo di pandemia ha creato, o enfatizzato, un dualismo tra didattica in presenza e didattica a distanza. È, in effetti, un dualismo che non ha ragion d’essere in quanto la scuola dovrebbe essere in grado, come in larga misura ha già dimostrato, di far convivere efficacemente le due anime, tradizionale ed innovativa, per continuare a perseguire i suoi obiettivi didattici e formativi. I problemi della scuola italiana sono molteplici, anche se distribuiti sul territorio a macchia di leopardo.

Tale diatriba è solo un’ulteriore rappresentazione dello scontro, che in genere non si manifesta chiaramente ma è strisciante, fra tradizione ed innovazione, presente ed attivo anche nella scuola. Non si tratta di scegliere l’una o l’altra, infatti bisognerebbe operare cercando di trovare e mettere in pratica la sintesi più efficace e più remunerativa in termini di risultati, cioè di obiettivi conseguiti. Operare in modo da tendere alla risoluzione dei tanti problemi presenti anche all’interno delle istituzioni scolastiche e nel sistema scolastico nazionale. Ogni docente, così come ogni istituzione scolastica, dovrebbe sforzarsi di armonizzare l’innovazione con la tradizione, di innestare il nuovo, sia esso rappresentato dalle tecnologie informatiche o da nuove metodologie di insegnamento, sulle buone prassi consolidate.

Tra i problemi più pregnanti trovano sicuramente un posto di primo piano l’abbandono scolastico e la povertà culturale. Si tratta, come è facile comprendere, di due problemi strettamente collegati. Il punto focale è che, in questi casi, la scuola si dovrebbe ripensare, dovrebbe, come l’araba fenice, rinascere dalle sue ceneri. Dovrebbe togliersi di dosso le tante incrostazioni legate al passato ma superate dal presente e vestire nuovi panni, acquisire e seguire nuovi paradigmi. Non dovrebbe, come agenzia educativa, inseguire il futuro, ma crearlo.

In questa sua azione la scuola non può contare sull’aiuto di una politica sempre più miope e capace solo di tagli lineari e di volgere lo sguardo dall’altra parte. D’altro canto non può pensare di affrontare una tale battaglia da sola, per cui deve trovare nuovi partner ed accendere nuove alleanze. In primo luogo la famiglia, con cui deve cercare di superare, una volta per tutte, la reciproca diffidenza, e poi altri attori sociali, non ultimo il volontariato.

Per i due problemi precedentemente stigmatizzati, non vi sono risposte miracolose o comportamenti miracolistici, vi deve essere, invece, un momento forte di riflessione per superare alcuni falsi dogmi e quella autoreferenzialità di cui ancora la scuola è impregnata.

Bisogna ripensare la scuola come fulcro e centro di comunità aperta a genitori e ad altri soggetti con cui cercare di creare una comunità educanda. Una comunità in grado di creare e di costruire un’alleanza tra scuola e società civile che abbracci la comunità di riferimento, coinvolgendo i ragazzi in attività ludico-formative che siano in grado di arricchirne il bagaglio culturale, offrendo loro opportunità di crescita e di realizzazione personale.

Un simile atteggiamento sarebbe anche un pungolo importante per i docenti la cui motivazione troverebbe nuovi stimoli in grado di donare quella gratificazione umana e personale che, nel contesto attuale, invece, latita. E tale latitanza si ripercuote negativamente su tutto il sistema, divenendone causa ed effetto ad un tempo.

La scuola è tenuta a contrastare demotivazione ed abbandono, tanto dei docenti quanto degli alunni, eventi che vanno ad alimentare la povertà educativa. E per raggiungere tale scopo deve percorrere vie diverse e nuove, anche rischiando. Non c’è bisogno di partire subito da chissà quali mirabolanti attività, basta iniziare con piccole cose, come la riprogettazione degli ambienti. Bisogna attivarsi per mettere al centro l’idea di una scuola che parla ed opera per il benessere reale dell’alunno, una scuola che sia capace di proporsi come punto di riferimento nel quartiere, così da trasformarsi in un luogo di aggregazione per gli studenti, anche al di fuori dell’orario scolastico. È necessario, però, che la scuola non dimentichi mai che essa è il luogo deputato a costruire il futuro dei ragazzi e delle ragazze partendo dal momento contingente. In una società sempre più complessa e disgregata la scuola deve fare di tutto per presentarsi come luogo in cui vigono e vengono promossi valori tali da gratificare l’esistenza umana. In tal modo la scuola si riapproprierebbe del suo ruolo di agenzia educativa prevalente, sposando il nuovo senza tagliare i ponti con la grande esperienza acquisita.

La scuola deve continuare a perseguire l’obiettivo di educare i ragazzi e le ragazze, ma lo deve fare prevedendo attività nuove perché i giovani oggi hanno aspettative diverse. Essa deve proporsi come un’istituzione in grado di aiutare gli studenti a scoprire le loro vocazioni ed a coltivarle. Ogni persona, qualunque sia la sua età, si sente gratificata se i suoi talenti vengono riconosciuti e valorizzati. E ciò rappresenterebbe un valido motivo per frequentare la scuola. In questo modo si renderebbe la scuola un luogo vivo di aggregazione. Un luogo in grado di dare risposte ai ragazzi che sono in cerca di senso, che sono all’affannosa ricerca di un loro personale progetto di vita. Se la scuola, insieme alla famiglia, non riesce a dare tali risposte, il rischio è quello di avere pseudo-adulti che non sapranno verso quale direzione indirizzare la loro vita.

Bisogna che la società guardi alla scuola come ad un luogo che, oltre alle classiche lezioni frontali, agli incontri dedicati al recupero ed al potenziamento, tutte attività necessarie, si pratichino e si sperimentino altre attività quali il teatro o altri laboratori per risvegliare o scoprire motivazioni e passioni, tutti insieme, senza differenze.

È proprio questa la strada per combattere la povertà educativa ed il rischio di abbandono: far vivere la scuola in modo diverso e più coinvolgente. Vivere la scuola in modo diverso significa dare agli studenti ed alle studentesse attenzioni e stimoli mirati ma allo stesso tempo bisogna stare vicini ai genitori, porsi al loro fianco, supportandoli nelle difficoltà quotidiane.

Negli ultimi tempi è stato messo in essere il progetto LOST, dedicato alla creazione di giochi di gruppo ed incentrato sul protagonismo degli studenti a forte rischio dispersione. È uno dei tanti esempi di laboratorio in grado di promuovere la creatività delle ragazze e dei ragazzi che ha suscitato entusiasmo grazie alle modalità innovative e che sono esplicative delle loro capacità che la scuola ha saputo mettere in pratica.

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