Educare alla cittadinanza II parte

Educare alla cittadinanza II parte

7 Dicembre 2020 0 Di giuseppe perpiglia

Il sogno del singolo è destinato a rimanere tale fino a quando non si è in grado di coagulare attorno a sé altre persone, motivandole. Solo in questo caso il sogno diventa forza creatrice e generatrice in grado di indurre il cambiamento auspicato. L’auspicio di ogni persona di buona volontà, fatto proprio da papa Francesco, è quello che non ci siano più steccati in grado di dividere e di separare i tanti “io” dai tanti “altri”, ma di costituire un unico grande “noi” in grado di accogliere tutti gli uomini e le donne senza distinzione alcuna. È questo l’obiettivo ultimo verso cui tutti dovremmo tendere. Il motore capace di spingere ogni individuo verso tali comportamenti è da ricercare nella convinzione che la cosa più giusta e più socialmente remunerativa è quella di mettere la dignità umana al centro e su questo pilastro costruire una società nuova, una società che possa dirsi ed essere umana perché ricca di umanità.

Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui quello che si vede in realtà non esiste. I sogni si costruiscono insieme. Andare avanti da soli ci porta con facilità verso mete fallaci, mete che continueremo a rincorrere in quanto non c’è un altro che mi avvisa, che mi riporta sul binario corrette. Persi nel nostro personale punto di vista, spesso corriamo il rischio di porci obiettivi che non potranno mai avverarsi perché, magari, non abbiamo considerato alcune variabili, oppure ne abbiamo dato delle valutazioni sbagliate. Ogni sogno deve passare il vaglio della fattibilità e della sostenibilità, deve essere confrontato con la realtà. Si tratta di un passaggio obbligato e molto delicato. Essere in un gruppo, invece, essere insieme ad altri in un noi coeso ci permette una maggiore relazionalità e razionalità, ci dà la possibilità e l’opportunità di vedere le cose da più punti di vista, di valutare meglio e più compiutamente l’ipotesi originaria e, quindi, fare delle previsioni che siano più razionali e che abbiano più possibilità di riuscita.

In una simile società si aprirebbero orizzonti illimitati, opportunità che farebbero dissolvere come per incanto molti problemi piccoli e grandi, locali e mondiali, che attualmente avvelenano i rapporti tra gli uomini, tra le comunità e tra gli Stati. Se mettiamo, infatti, al centro la dignità dell’uomo in quanto tale, la contaminazione reciproca tra culture finisce di essere percepita come un attentato alla propria esistenza ed alla propria individualità, ma sarà vista, come in effetti è, come una grande occasione di crescita, perché è un’efficace antidoto contro la sclerosi culturale che sta diventando sempre più pervasiva. Si pensi all’autarchia, anche culturale, che ha caratterizzato la politica italiana del secondo biennio del secolo scorso, il tristemente famoso ventennio, causa ed effetto di un modo sbagliato di intendere l’amor di patria che ha causato milioni di morti. Ed alcuni politici italiani tendono l’orecchio interessati ai rigurgiti di tale atteggiamento.

Il docente deve entrare nell’ottica di acquisire una funzione paterna, intesa come figura autorevole e di riferimento per l’alunno/figlio. Solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle nel proprio, ma per aiutarle ad essere maggiormente sé stesse, si fa realmente padre. Con questo non si vuole certo dire che il docente debba vicariare il genitore o che la scuola debba vicariare la famiglia, bensì si vuole sostenere che per rafforzare l’efficacia del proprio ruolo il docente debba proporsi ed essere percepito come un’autorità giusta, un modello in grado di dare risposte efficaci a tutte le domande del ragazzo. Ma ci si fa veramente padre solo quando ci si avvicina all’alunno, o a qualsiasi altra persona, non per portarlo sulle nostre posizioni, bensì quando si aiuta l’altro a dispiegare le ali e farlo volare nel campo delle scelte autonome, quando lo si aiuta a promuovere ed a potenziare le sue capacità e a realizzare i suoi sogni e le sue aspettative.

A volte l’adulto, nel tentativo di aiutare il ragazzo o una qualsiasi altra persona tende a sostituirsi ad esso in un mero tentativo di assistenza. L’assistenza per sostituzione dovrebbe essere considerata solo una risposta provvisoria legata alla contingenza, non può essere portata a regime comportamentale, altrimenti si procurerebbe un danno enorme all’altro.

Molti alunni e molte volte si trovano nella condizione di chiedere aiuto. Il docente deve essere sempre pronto a raccogliere la domanda di aiuto, ma l’aiuto fornito dal docente, o dal genitore, non deve essere una pura e semplice sostituzione, bensì l’occasione per un’ulteriore possibilità di apprendimento da parte dell’alunno ed un’ulteriore occasione per l’adulto nel portarlo e nel guidarlo verso la necessaria autonomia di pensiero e di azione. Viene in mente, a tal proposito, il noto aforisma cinese “Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnali a pescare e lo avrai nutrito per tutta la vita”.

L’educazione deve essere finalizzata a far sì che ogni essere umano sia artefice del proprio destino. Papa Francesco ci ricorda che il vero fine ultimo sull’educazione, il suo obiettivo escatologico, come d’altro canto richiesto anche dalla nostra Costituzione, è quello di rendere ogni uomo artefice del proprio destino. Non è cosa semplice, ma gli effetti sarebbero considerevoli. Un uomo autonomo è un uomo libero, non tanto nel corpo quanto nel pensiero. Sarebbero sbaragliati in un colpo solo tutti gli effetti negativi indotti dalle fake news, oggi tanto di moda. Verrebbe meno la capacità di alcuni personaggi di creare movimenti caratterizzati da un pensiero unico, comportandosi come il pifferaio magico. Gli arruffa-popolo avrebbero vita meno facile.

Essere artefici del proprio destino vuol dire, necessariamente, anche aprirsi all’altro, farsi carico delle altrui necessità e degli altrui problemi. Vuol dire vivere una vita improntata alla solidarietà, ma non una solidarietà teorica, di facciata, bensì una solidarietà che si esprima nel servizio. Ed anche questo è campo dell’educazione civica, infatti l’’educazione civica ha come corollario imprescindibile quello della solidarietà. Ma non deve trattarsi, però, di una solidarietà teorica, di principio, ma di una solidarietà basata sul servizio all’altro. La solidarietà deriva dal prendere consapevolezza della fragilità altrui e dal sentirsene responsabili, cercando un destino comune. Per questo non può bastare lavarsi la coscienza con un soldino al mendicante o una donazione ad una qualsivoglia ONG o ente di ricerca nazionale, bisogna impegnarsi in prima persona con atti concreti e tangibili verso il prossimo più vicino. Anche per questo bisognerebbe fare ricorso, preferibilmente in uno stretto rapporto di collaborazione con gli enti del terzo settore e con le organizzazioni di volontariato in particolare, all’approccio pedagogico del service learning che è in grado, per sua natura, di operare sintesi tra apprendimento e servizio alla comunità. Bisogna avere l’accortezza di lavorare sul piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. I grandi gesti possono andare bene per i media e per avere una visibilità maggiore, ma sono i piccoli gesti quotidiani che fanno la storia, che inducono cambiamenti.

Aprirsi all’altro non deve voler dire, però, rinunciare alle proprie radici, al contrario! È possibile accogliere l’altro e riconoscere senza problemi il suo apporto originale alla nostra crescita solo se e quando rimaniamo saldamente ancorati ai valori che caratterizzano il nostro popolo e la nostra cultura, perché una sana apertura all’altro non si pone mai in contrasto con la propria identità.

D’altra parte bisogna fare attenzione affinché l’identità a cui ci rivolgiamo non sia un’identità intesa come una qualche cosa che ci separi dagli altri. L’integrazione alla quale dobbiamo aspirare e verso la quale dobbiamo tendere ed orientare la nostra vita, non deve essere, infatti, un’integrazione per auto-esclusione o di sostituire una cultura altra alla nostra, sarebbe una semplice perdita di tempo perché servirebbe solo a spostare il problema, inoltre si configurerebbe come un vulnus che porterebbe all’annichilimento. Si deve trattare, invece, di una integrazione per arricchimento, di un’integrazione tra due entità diverse, saldamente ancorate alle rispettive radici, ma entrambe caratterizzate dalla determinazione ad incontrarsi ed a mettere in comune le peculiarità che le caratterizzano per il miglioramento dell’una e dell’altra.

Una simile apertura e disponibilità è la strada maestra da percorrere per progredire verso quella condizione che papa Francesco ha definito “amicizia sociale”. Tutto il discorso fatto finora, però, si basa sul concetto di cultura e non può esistere vera cultura se non si accolgono e non si vivono i valori universali, e sono proprio i valori universali le cose che sono in grado di rappresentare il collante tra culture diverse, il trait d’union tra società e popoli diversi, il filo rosso che dovrebbe attraversare tutte le comunità umane.

La paura dell’altro trova il suo nutrimento nel fatto che la società attuale ha rinunciato ai valori universali per abbracciare valori molto meno elevati, valori spesso finalizzati al disimpegno, all’egoismo ed alla chiusura. È anche questa una spiegazione della rinascita e del potenziamento dei tanti populismi e dei tanti nazionalismi che vediamo nascere in diverse nazioni ed in diversi ambienti. Il virus del razzismo è un virus che muta facilmente, ma che sembra non voler scomparire. È anche questa una spiegazione della mancata accettazione della solidarietà come stile consueto di vita e dell’assenza della disponibilità all’accoglienza dell’altro.

La solidarietà è frutto della consapevolezza dell’altrui fragilità e dal sentirla come propria, del farsene carico, dal sentirsene, in qualche misura, responsabile perché consapevoli di essere accomunati dallo stesso destino.

Una società basata su questi valori e su questi atteggiamenti sarebbe anche una società attenta all’ambiente perché l’ecologia umana porta a privilegiare anche l’ecologia della natura. È solo basandosi sui valori appena descritti che possiamo renderci finalmente conto che i danni provocati da uno si ripercuotono su tutti e che il bene altrui è anche il nostro. Una società simile comprenderebbe facilmente che la terra che abitiamo è una ed indivisibile, è un prestito fattoci dai nostri padri e che, quindi, dobbiamo lasciarla in eredità ai nostri figli, nelle stesse condizioni o in condizioni ancora migliori di quelle in cui l’abbiamo ricevuta.

Ecco allora che l’insegnamento di educazione civica assume un ruolo di primaria importanza nel processo di maturazione dell’alunno e di questo il docente deve avere chiara e completa consapevolezza.

Prima parte

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