
Presiedere o dirigere?
Nel linguaggio comune per autonomia si intende la capacità di una persona di disporre in piena libertà delle sue azioni il cui unico limite è l’etica ed il rispetto per gli altri. In altri termini, la persona o l’ente autonomi sono liberi da qualsiasi forma di condizionamento esterno e possono scegliere e decidere in piena indipendenza. Nel linguaggio giuridico la nozione di autonomia non ha univocità di significati perché il grado di scelta è regolato, di volta in volta, dalla legge.
Con la legge Bassanini, dal nome del primo firmatario, (L. 15 marzo 1997, n. 59) alle scuole viene concessa una seppur limitata autonomia amministrativa e normativa. La concessione dell’autonomia ha modificato notevolmente il mondo della scuola e le relazioni interne ed esterne. Siamo passati da una dimensione statica, determinata verticisticamente, ad una dimensione dinamica basata, anche, su provvedimenti presi a livello locale.
Prima della riforma, le scuole erano organi dello Stato. I decreti delegati del 1974 avevano riconosciuto a tutte le scuole un’autonomia amministrativa limitata alla gestione dei fondi assegnati annualmente per il funzionamento amministrativo e didattico, ma i bilanci erano sottoposti al controllo preventivo e successivo del Provveditore, così come ogni altro atto di particolare rilievo patrimoniale. Anche l’autonomia normativa era marginale e riguardava il Consiglio di Circolo o di istituto e l’adattamento del regolamento interno dell’istituto.
Tra tutte le modifiche introdotte dalla legge Bassanini e dal DPR 10 agosto 1999, n. 275 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59), in questo articolo ci occuperemo, con qualche riflessione personale, sul cambiamento di ruolo che ha innalzato il preside ed il segretario al ruolo, rispettivamente, di dirigente scolastico e di dirigente dei servizi generali ed amministrativi.
Il termine “preside” deriva dal verbo latino praesidere che letteralmente significa sedere davanti, ed indicava il funzionario direttivo (ex docente) preposto alla direzione degli istituti scolastici di istruzione media inferiore e superiore, inquadrato nello specifico “ruolo direttivo”. Il termine “dirigente”, deriva dal verbo dirigere che, a sua volta, discende dall’etimo latino dirigere, il cui participio passato è diretto, costituito dal suffisso di- e dal verbo regere. Il significato del verbo dirigere è, quindi, volgere in linea retta verso un obiettivo o uno scopo. Un dirigente, oggi, è un lavoratore dipendente pubblico o privato che fa parte della direzione di un’organizzazione e tale termine viene spesso utilizzato come sinonimo di manager. Nell’amministrazione statale, il dirigente è funzionario con funzioni direttive, che agisce a titolo legale, cioè in base ad attribuzioni che gli provengono dalla legge e non da delega del soprastante gerarchico, come era, invece, per il preside.
Da quanto appena detto è facile intuire che le funzioni richieste al preside ed al dirigente sono ben diverse. Infatti, il preside in estrema sintesi era un esecutore di ordini che venivano calati dall’alto (Provveditorato, Ufficio Scolastico Regionale, Ministero) ed il margine di manovra a lui riconosciuto era piuttosto limitato. La sua funzione era molto più imperniata sulla pedagogia e sulla didattica. Il preside molto spesso si poneva come colui o colei in grado di dare risposte professionali a quesiti in ambito professionale, era il riferimento certo e sicuro in tutte quelle condizioni in cui il docente si sentiva impreparato o poco fiducioso dei suoi mezzi.
Il fatto è che il preside era istituzionalmente preparato a svolgere il suo ruolo. Al dirigente, invece, le competenze manageriali che gli vengono richieste nell’esecuzione della sua funzione non gli sono state date, forse gli sono state richieste solo in fase di concorso. Per quanto lo si presenti con l’enfatico titolo di concorso, si tratta pur sempre di un esame e, come ben sappiamo, le competenze non possono certo essere valutate con un’attività puntiforme e decontestualizzata. Perché non pensare ad un periodo, di durata almeno annuale, di affiancamento per verificare le competenze eventualmente e realmente possedute? Alla fine del periodo di prova, però, la commissione esaminatrice dovrebbe avere il coraggio, quando necessario ed opportuno, di formulare un giudizio negativo.
Fare il dirigente prevede e richiede ben altre competenze. Sono richieste, infatti, una serie di soft skill o competenze chiave che richiamano alla mente le tre “I” di morattiana memoria: inglese, informatica e, soprattutto, impresa. Che piaccia o meno, la scuola deve tenere in considerazione molte delle caratteristiche che connotano l’impresa anche se la sua produzione è di tipo immateriale e difficilmente caratterizzabile nello specifico.
Personalmente penso che al primo posto ci deve essere la competenza del saper creare una squadra. Il dirigente, infatti, dovrebbe avere la capacità di creare attorno a sé un gruppo di persone motivate che vadano tutte nella stessa direzione, che siano in grado di confrontarsi in modo proattivo. In questo modo si riesce a creare ed a mantenere una identità che possa caratterizzare l’istituzione diretta rispetto alle altre. Si pensi alle squadre di calcio. Ogni squadra ha una sua fisionomia caratterizzante, una sua identità che si mantiene nel tempo. Cambiano il presidente e gli allenatori, cambiano con frequenza ancora maggiore i calciatori, ma il carattere della squadra rimane immutato, una connotazione costante, quasi uno stigma che si mantiene inalterato a dispetto di tutti e di tutto. Ebbene, un buon dirigente dovrebbe mirare a questo: a dare un’anima alla istituzione che dirige.
A solo titolo esemplificativo riporto alcune competenze ritenute di primaria importanza per un dirigente:
- Adattabilità intesa come la capacità di modificare il proprio comportamento in base a contesti o situazioni contingenti.
- Flessibilità legata all’adattabilità, perché sta a significare che non bisogna irrigidirsi su posizioni, abitudini e schemi consolidati. La flessibilità, ad esempio, consente di variare orari o mansioni senza fatica.
- Gestione del Tempo – Time Management La capacità di organizzare e gestire al meglio il tempo si basa sul principio dello svolgere ogni attività nel minor tempo possibile ottenendo il miglior risultato.
- Definizione degli Obiettivi – Goal Setting Definire gli obiettivi è il primo passo per impegnarsi a realizzarli, rendendo il proprio lavoro produttivo ed efficiente. Si traduce nella capacità di definire obiettivi reali e raggiungibili.
- Pianificazione Pianificare le attività lavorative significa redigere un piano dettagliato delle attività da svolgere giorno per giorno e coordinarlo con quello dei colleghi.
- Capacità di Concentrazione cioè lavorare su compiti precisi senza distrazioni o essere tentato a procrastinare.
- Capacità Decisionali è la capacità di prendere decisioni dopo aver analizzato accuratamente il contesto e le varie soluzioni possibili. Le decisioni non sono mai semplici, ma bisogna sempre fare la scelta giusta in maniera razionale.
- Organizzazione comporta gestire al meglio gli spazi ed i tempi, prendere nota di impegni e appuntamenti e incastrarli tra loro per riuscire a portarli tutti a termine.
- Creatività che è da intendersi come la capacità di risolvere problemi in maniera non convenzionale.
- Dinamicità finalizzata a prendere iniziative ed a proporre innovazioni. Una persona dinamica emana positività e forza e riesce molto più facilmente a coinvolgere gli altri.
- Resilienza una qualsiasi persona che abbia una funzione apicale deve necessariamente imparare a sopportare situazioni negative e reagire con positività. Una persona resiliente riesce a trovare opportunità e soluzioni anche negli angoli più bui e a districarsi in situazioni che sembrano essere vicoli ciechi.
- Calma certo, è difficile mantenersi calmi quando caratterialmente non lo siamo, ma è un’operazione che un dirigente dovrebbe imporsi se vuole ottenere i risultati sperati e creare un clima collaborativo.
A queste competenze, per così dire, primarie, se ne aggiungono altre che, in un certo qual senso, sono collegate alle prime, rappresentandone un completamento o una specializzazione:
- Autonomia
- Rispetto delle Scadenze
- Precisione
- Orientamento al Risultato
- Pazienza
L’elenco sarebbe ancora lungo ed accetto la critica che tutte le competenze elencate e quelle che seguiranno non riguardano soltanto il dirigente ma qualunque persona immersa in un contesto sociale. Però, chi svolge un ruolo di coordinamento, come un dirigente scolastico, deve possedere tali competenze ad un livello maggiore perché è sempre sotto gli occhi di tutti: docenti, personale ATA, alunni, famiglie, enti locali, comunità in genere.
Al dirigente è chiesta, anche un’attenzione continua ai dettagli perché sono spesso i dettagli a fare la differenza tra un rapporto efficace ed un rapporto minato da contrasti, tra un obiettivo pienamente raggiunto ed un obiettivo raggiunto in parte o addirittura mancato. Per sfruttare appieno le opportunità offerte dall’autonomia scolastica, poi, bisogna essere aperti alla sperimentazione, non avere paura di provare nuove strade e nuove organizzazioni lavorative e didattiche, previa la necessaria riflessione e la consapevolezza dei propri mezzi.
Ancora, ogni dirigente, come d’altronde ogni persona, deve avere fiducia in sé stesso, ma nel contempo deve essere consapevole dei propri limiti. Per questo deve avere l’intelligenza e la capacità di costituire un team affiatato che lo supporti nella sua azione.
Infine, una caratteristica che aiuta molto nella vita di tutti è senza dubbio l’ottimismo, cioè quella condizione mentale per cui si tende a vedere il lato positivo in ogni situazione, anche la più catastrofica.
Mi rendo conto che mi sto dilungando, ma si tratta di un argomento molto delicato e dalle innumerevoli implicazioni. L’autonomia scolastica, in effetti, pretende dal dirigente il possesso di competenze di gran lunga diverse e più elevate di quelle che erano richieste al preside.
Per concludere, vediamo di riassumere quali dovrebbero essere, a mio parere, le caratteristiche di un dirigente senza entrare nello specifico delle singole competenze. Per dirigere un’istituzione scolastica, o una qualsiasi altra organizzazione della stessa consistenza lavorativa, è necessario, sicuramente, avere la capacità di gestirsi senza dipendere da indicazioni esplicite da parte dei superiori. Bisogna prevedere la definizione dei propri e degli altrui compiti in maniera autonoma, appunto, ed organizzare il lavoro e gli impegni per fare in modo di raggiungere gli obiettivi programmati entro le scadenze definite. Questo implica essere una persona proattiva ed orientata agli obiettivi. Altra capacità dalla quale non si può derogare è quella di essere in grado di creare e mantenere buone relazioni con tutti, sia dipendenti, sia famiglie, sia alunni, sia ancora enti locali e soggetti sociali che gravitano attorno all’istituzione scolastica. Questa caratteristica permette di godere di una migliore reputazione e di poter coinvolgere le persone.
Infine, ultima non certo per importanza, è la capacità di sapere individuare le potenzialità personali e professionali delle persone che ci circondano e che lavorano con noi. In tal modo si otterrebbero almeno due grandi risultati. Il primo è quello che gli obiettivi programmati si otterrebbero in modo veloce ed efficace ed il secondo che ognuno sarebbe gratificato della propria attività perché fa quello che sa fare meglio. E non è poco! Dal punto di vista del dirigente ci deve, però, essere la capacità di guidare il team verso il successo con idee chiare, con traguardi adeguatamente ambiziosi, spronando i componenti del team ad un continuo miglioramento, per superare sempre nuove sfide. In tutta questa discussione sulle competenze di un buon dirigente, non possiamo dimenticare la corretta gestione dei conflitti, cioè sapere ascoltare le visioni contrapposte e trovare una soluzione accettabile e condivisa da entrambe le parti in causa. Si tratta, molto facile a dirsi e molto meno a farsi, di vedere e far vivere il conflitto non come uno scontro, ma come un’opportunità di confronto, di crescita e di possibile collaborazione. Il che comporta una capacità di mediazione che, anche se ne siamo forniti di natura, va coltivata e migliorata giorno per giorno.
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